Un blog sulle "microstorie" della Basilicata e sulla Storia che ad esse si intreccia.
giovedì 27 agosto 2020
giovedì 20 agosto 2020
La Calabria. 3. Diamante nel Settecento
DIAMANTE, terra in Calabria citeriore, in diocesi di Sannarco, distante da Cosenza miglia 54.
E' situata in una penisola in luogo piano, aprico, e delizioso, che viene quasi la sua estremità dal mar re. Il di lei territorio confina da levante con Belvedere, da tramontana con Cirella, e dalla parte superiore con quelli di Buonvicino. Vi passa un fiume, che pasce appunto in una montagna di essa terra di Buonvicino, che chiamano Serapollo, sei miglia distante dal Diamante.
Il detto territorio è molto ristretto. Vi è un picciol bosco del principe di Belvedere alla distanza di circa un miglio dall'abitato.
Le produzioni consistono in olio, poco vino, di ottima qualità, che in Napoli si ha in molto pregio, e vi sono molti celsi per l' industria, che hanno quei naturali di nutricare i bachi da seta. Gli agrumi vi allignano ancor bene.
Il mare dà agli abitanti quantità di alici ; ma il fiume per la sua rapidità non produce pesce di sorta alcuna. Non essendovi boschi, non vi è caccia di quadrupedi, eccetto di quella di pochi volatili. Gli abitanti ascendono al numero di 1400 in circa.
Nel 1648 furono tassati per fuochi 50, e nel 1669 per 69.
Le famiglie, che vi abitano son quasi tutte forestiere. Si possiede dalla famiglia Carafa del Principi di Belvedere.
FONTE: L. Giustiniani, Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoili, s.e., 1802, tomo IV, p. 208.
(Foto L. Della Corte, A. Cauteruccio)
martedì 18 agosto 2020
A margine di un recente libro del 2020
Il 1848 fu un anno cruciale per l'intera Europa. Le forme e i conflitti dell’associazionismo politico nel corso della “Primavera dei popoli” coinvolsero l'intero continente, con particolare rilevanza al Regno delle Due Sicilie, caratterizzato da forti contrasti interni tra la corrente politica moderata e quella radical-democratica; ancora di più nelle aree interne quali Basilicata e Puglia, con aspri dibattiti manifestati soprattutto in occasione della Dieta Federale del 25 giugno 1848 a Potenza.
Ovviamente, particolare attenzione è stata finora rivolta a tali contrasti e, in seguito, alla messe di processi e di condanne che segnarono la repressione ferdinandea che, tuttavia, non riuscì ad estirpare i fermenti democratici ed unitari nel Mezzogiorno.
In maniera inevitabile gli attori del 1848 sono di una generazione diversa da quelli del 1820. Una classe che con la “Primavera dei popoli” determinò un passaggio intermedio in vista del 1860. Moderati e radicali avrebbero visto fallire le loro idee ispiratrici e, inevitabilmente, furono costretti a correggere il percorso politico ideale, in modo da supportare un programma più attuabile e perseguibile, che dopo gli eventi del ‘48-’49 avrebbe avuto il volto della dinastia sabauda.
Un ruolo di primo piano svolsero, come nei precedenti snodi risorgimentali, i giornali. Ma stavolta fu un'altra storia, un altro modo di scrivere e di intendere la comunicazione quotidiana. Abbandonati gli aulicismi, le effusioni retoriche, la stampa si avviò a diventare quella che sarebbe stata in Età contemporanea, e un ruolo fondamentale fu svolto dal lucano Ferdinando Petruccelli della Gattina con il suo "Mondo Vecchio e Mondo Nuovo", pubblicato in edizione critica e con una densa introduzione dei due giovani studiosi Antonio Cecere e Luisa Rendina, che in tal modo rendono un servizio alla comunità pubblicando uno dei maggiori desiderata dagli studiosi.
L'introduzione evidenzia, con opportune e mirate citazioni dal giornale, come il periodico, di impronta democratica radicale, seguisse un’idea progressista, evidenziando il crollo del vecchio mondo e delle sue ineguaglianze, sostenendo la coesione di politica e incorruttibilità, proponendo un sistema di impieghi su base meritocratica che valorizzasse le competenze e premiasse le intelligenze della nazione. Petruccelli, anticlericale, preoccupato da una possibile restaurazione che sfociasse in una svolta reazionaria e ben cosciente che le insoddisfazioni dei contadini potessero trovare delle risposte nelle idee sanfediste più radicali, sostenne le masse. Confermò l’inaccettabilità del sistema di voto basato sul censo, esplicitando la necessità di un nuovo patto sociale. Una corrente del liberalismo aveva già parlato, tramite il «Nazionale» di Spaventa, di una possibile guerra nel Lombardo-Veneto, aprendo ad un possibile intervento in vista di una lega italiana; le stesse idee riguardanti l’adesione alla lega italiana erano supportate da «Mondo Vecchio e Mondo Nuovo»: Petruccelli della Gattina, come ben evidenziato da Cecere e Rendina, aveva riportato la possibilità di adesione in più numeri del suo periodico proiettando Napoli e il regno in una prospettiva ben più ampia di quella meridionale. Dopo la chiusura del suo giornale, considerato troppo sovversivo, Petruccelli della Gattina coordinò l’attività cospirativa calabrese e i suoi contatti con le organizzazioni settarie lucane.
La lettura dei due giovani studiosi, ben fondata sull'ampia bibliografia classica e recente e su studi di vario carattere, contestualizza l'operato del giornale in un più generale contesto non solo meridionale (come testi anche recenti si ostinano a fare, soprattutto in ambito regionale), ma anche, e soprattutto, nazionale. I due studiosi mostrano come il Mezzogiorno si ponesse come il centro dell’azione in vista dei successivi eventi storici. Il 1848 aveva mutato la preparazione della coscienza comune in vista del 1860 ed anche dovendo ammettere che gli eventi che avrebbero portato all’Unità avrebbero seguito in realtà il modus operandi della rivoluzione calabrese del 1848, restava la nuova consapevolezza politica acquisita tramite l’esperienza dei circoli locali e del dibattito politico in una nuova forma di periodico, che produsse un lascito solido su cui poggiare il processo unitario nel Sud. Dopo gli eventi del 1848, evidenziano Cecere e Rendina, tutti furono coscienti dell’ormai insopportabile convivenza tra i Borbone e i loro sudditi; il contesto politico del Regno delle Due Sicilie era gestito univocamente dal sovrano, le forze in campo della penisola ora sapevano direttamente che gran parte delle popolazioni del sud erano scontente dei governanti.
Il volume, assai corposo, raccoglie, oltre a questa notevole introduzione, l'intero giornale, riproposto, tra l'altro, in veste grafica leggibile e scientificamente corretta, volendo offrire, appunto, un prodotto che gli studiosi e gli appassionati desideravano da tempo. Di grande interesse, dunque, questa pubblicazione da parte di un editore lungimirante, che dà alla comunità scientifica una fonte di primaria importanza, con i giusti strumenti per accostarsi ad essa.
giovedì 6 agosto 2020
La Calabria. 2. Il sisma del 1783
Il terremoto del 1783 fu una catastrofe di dimensioni tali da non essere superata nemmeno dal terremoto del 1908. I morti per i crolli furono circa 40.000 (l’8% della popolazione del tempo), ma altre 1500 persone, che si erano riparate sulla spiaggia per sfuggire ai crolli, morirono perché spazzate via dalle onde di maremoto che seguirono le scosse principali, e altre 18.000 morirono l’estate successiva per un’epidemia di febbri dovute alla situazione di degrado innescata dal terremoto.
La crisi sismica cominciò la notte del 5 febbraio 1783 e durò per ben tre anni, contrassegnata da cinque scosse tra il decimo e l’undicesimo grado, scaglionate nei primi due mesi, con epicentri che si spostavano dalla zona dello stretto verso quella di Catanzaro. In particolare, tra il 5 febbraio e il 28 marzo si verificarono 5 scosse fortissime (5 febbraio, 6 febbraio, 7 febbraio, 1 marzo e 28 marzo 1783) e diverse centinaia di scosse minori, i cui effetti complessivi furono devastanti sulla maggior parte del territorio calabrese e in Sicilia nord-orientale. Le scosse più violente colpirono dapprima (5 e 6 febbraio) la Calabria meridionale, investendo tutta l’area dell’Aspromonte e dello Stretto di Messina, poi (7 febbraio, 1 e 28 marzo) la Stretta di Catanzaro, cioè l’area compresa tra il golfo di Sant’Eufemia e il golfo di Squillace.
Gli effetti distruttivi si estesero a tutta la Calabria centro-meridionale, a Messina e al suo circondario. Furono totalmente distrutti 182 paesi, dei quali 33 ricostruiti altrove; si formarono ben 200 laghi ed un’intera montagna precipitò in mare nei pressi di Scilla. Le scosse del 5 e del 6 febbraio causarono uno tsunami, con grandi ondate che investirono estesi tratti di costa. In particolare, il tratto di costa tirrenica compreso tra Scilla e Bagnara Calabra fu colpito dal catastrofico maremoto che seguì la seconda, forte scossa, quella avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 febbraio: le fonti storiche del tempo, Vincenzo Sarconi [1784] e Nicola Vivenzio [1788], parlano di un’onda alta tra i 6 e gli 8 m che travolse le barche, le baracche e le tende che ospitavano la popolazione di Scilla, rifugiatasi sulla spiaggia in seguito alla scossa del giorno precedente. L’area in cui erano compresi i danni più gravi si estendeva per tutta la Calabria meridionale, dal Vibonese allo Stretto di Messina, ma i suoi massimi effetti raggiunsero il grado XI della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) nella Piana di Gioia Tauro. La scossa fu avvertita in un’area vastissima, estesa a tutta la Sicilia e a gran parte dell’Italia meridionale, fino alla costa amalfitana e al Salento (Fonte: DBMI11).
In gran parte della provincia, la vita sociale ed economica rimase totalmente paralizzata, e la popolazione fu ridotta alla fame.
L’opera di soccorso fu immediata ed esemplare: dalla capitale il re Ferdinando IV di Borbone, nominando Vicario generale delle Calabrie il conte Francesco Pignatelli, con l’incarico di organizzare i primi soccorsi e seguire la lunga fase della ricostruzione, mandò ingenti somme e ingegneri per la ricostruzione, che per la prima volta venne fatta in modo pianificato e sulla base delle prime norme antisismiche emanate dal governo proprio in occasione di questo evento sismico.
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La cultura meridionale. 7. Contadini del Sud di Rocco Scotellaro
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