Un blog sulle "microstorie" della Basilicata e sulla Storia che ad esse si intreccia.
giovedì 28 giugno 2018
giovedì 21 giugno 2018
giovedì 14 giugno 2018
Il Viceregno spagnolo. 5. Declino e caduta (Maria Pia Belfiore)
Il declino meridionale si può spiegare in parte con le conseguenze
della «crisi generale» del secolo XVII, ma non nel senso che esso è l’aspetto
estremo di una generale tendenza alla depressione. Mentre in una parte
dell’Europa -ed anche in alcune zone italiane- il periodo di difficoltà
congiunturali dette l’avvio all’ ultima fase del passaggio da un’economia
feudale ad una economia capitalistica, nell’Italia meridionale si ebbe una vera
decadenza, la spinta progressiva venne annientata in coincidenza con il
mutamento della congiuntura.
Il 6 aprile 1648 è stato assunto come termine finale dei moti
detti di Masaniello: sembrò che per il Mezzogiorno d’Italia dovesse essere pace
per sempre, con un tranquillo possesso per gli Spagnoli. E invece si avviò, in
uno stillicidio di attacchi e contrattacchi, un periodo di progressivo
allentamento del controllo di Madrid sulle sue province dell’Italia
meridionale, nel quadro del progressivo indebolimento della Spagna nel concerto
degli Stati europei e della fine della centralità ispano-asbrugica. Il Regno di
Napoli, allora, divenne specifico oggetto delle mire francesi, con speranze di
invasione sempre puntualmente frustate, e destinato a rimanere coinvolto nella
serie di guerre che avrebbero interessato la dominante: dall’ultimo segmento
della guerra dei Trent’Anni (conclusasi nel 1659 con la Pace dei Pirenei), alla
guerra di devoluzione (1667-1668, Pace di Aquisgrana), alla guerra d’Olanda
(1672-1678, pace di Nimega), alla guerra della Lega d’Augusta (1686-1697, pace
di Rijswijk); finchè, in seguito alle guerre di successione, spagnola
(1701-1714, paci di Utrecht e Rastadt) e polacca (1733-1738, pace di Vienna),
la vecchia tradizione dinastica spagnola entrò in crisi e tramontò, e diverse
dinastie s’alternarono nei regni dell’Italia meridionale; per cui alla fine,
dopo il breve viceregno austriaco, nel 1734 una nuova monarchia, finalmente
autonoma, fu chiamata a reggere, libera e indipendente verso altri Stati, i
Regni di Napoli e di Sicilia. E sarebbe stata l’ultima regnante su questi
Regni, fino alla loro estinzione nel Regno d’Italia del 1860.
Il trattato dei Pirenei (7 novembre 1659) pose termine alla
guerra, che durava ormai da un quarto di secolo, tra Francia e Spagna.
L’intento di Mazzarino di ridurre la
Corona cattolica ad una potenza sostanzialmente di
second’ordine fu in pratica raggiunto: la Francia si impadroniva della Cerdagne e del
Roussillon a ridosso dei Pirenei, e quindi conseguì il confine naturale
meridionale, nonché di buona parte delle Fiandre e dell’Artois a nord; Luigi
XIV sposa Maria Teresa, figlia del re di Spagna Filippo IV; rinunziando però ad
ogni pretesa di successione dinastica in Spagna, dietro la promessa del
pagamento integrale. Tutta la struttura statale spagnola subì un logoramento
eccezionale.
Fiscalismo, rivolte separatiste, dissanguamento demografico,
paralisi del potere centrale dopo il pugno di ferro dell’Olivares, predita
pressochè completa del controllo dell’Atlantico, immobilismo nel Mediterraneo e
decadenza progressiva delle Fiandre spagnole, dove del resto la presenza di
arciduchi austriaci come governatori apriva la strada ad una sostanziale
autonomia: questi gli elementi principali di un tramonto che ha tutte le
caratteristiche di un avvenimento definitivo. Solo con la pace dei Pirenei si
ridussero i ruoli della Spagna in Europa e sulla scena internazionale: non
tanto per le perdite territoriali subite, quanto per il riconoscimento della
superiorità francese, premessa per la formazione della politica ‘imperiale’ di
Luigi XIV. Dopo le paci di metà secolo –Vestfalia, Pirenei e Oliva -, la
monarchia spagnola visse solo pochi anni in una condizione di relativa tregua.
Il Regno di Napoli era uscito indenne da una prova di forza durata tanti anni,
ma ormai era la dipendenza di una potenza in declino.
Sia il fronte catalano sia la crisi siciliana del 1647-1648
dimostrarono che lo scacchiere del Mediterraneo era particolarmente importante
e al tempo stesso per la strategia espansionistica di Luigi XIV e per la
conservazione dell’impero dei Re Cattolici.
Tra aprile e maggio del 1656 divampò a Napoli quella che sarebbe
rimasta negli annali del paese come una delle sue più tragiche esperienze: la
peste, che fu affrontata con decisione solo alla fine di maggio dalla
Deputazione della Salute all’uopo costituita, che ebbe la collaborazione di
tutta una serie di deputati minori per scoprire gli ammalati e farli
trasportare nei luoghi di cura pubblici, il cui numero fu accresciuto. Ma
nonostante tutti gli sforzi, dalla fine di giugno alla metà di agosto i decessi
salirono a cifre fra i 2000 e i 5000 al giorno;e solo dalla metà di agosto si
cominciarono a notare i segni di una effettiva flessione dell’epidemia e di un
ritorno dell’apparato di governo a una maggiore efficienza. L’8 dicembre si potè
dichiarare terminato lo stato endemico.
Se la capitale fu il luogo
più battuto dall’epidemia, tutto il Regno subì, però, l’impatto della grande
peste. .
Solo la
Calabria Ulteriore e la Terra d’Otranto, e, in minor misura, la Terra di Bari rimasero immuni
dal contagio. In tutto si è potuto valutare la strage epidemica a circa 900.000
persone: alquanto più del 20% dell’ammontare della popolazione del Regno e
della metà di quella della capitale.
A Madrid, il 17 settembre 1665 morì il re Filippo IV, e le
conseguenze per il Regno di Napoli non furono insignificanti. Diventava ora re
di Spagna un bambino di appena quattro anni, Carlo II: per disposizione
testamentaria del defunto Sovrano, venne istituita una Giunta di reggenza
composta dalla regina madre Maria Anna d’Austria, da quattro titolari
protempore di altrettante alte cariche, cioè l’Inquisitore generale di Spagna,
cardinal d’Aragona (da poco distolto dal viceregnato di Napoli), il vescovo di
Toledo e Primate di Spagna cardinal Sandoval, il Presidente di Castiglia Ramon
de Moncada marchese D’Aytona, il cancelliere d’Aragona Cristofaro Crespi, ai
quali si aggiungevano i due recenti ex viceré di Napoli, cioè il Conte di
Castrillo e il Conte di Peñaranda. Senonchè, morto il Sandoval, la regina
nominò vescovo di Toledo il cardinal d’Aragona da poco nominato inquisitore
generale; il quale, quindi, si era trovato investito di due successive cariche
benchè s’attardasse ancora a Napoli: e quì venne a sostituirlo, l’8 aprile del
1666, il fratello Piero Antonio d’Aragona, già ambasciatore dei Re Cattolici a
Roma. Nel consiglio di reggenza, dunque, dei sei membri che assistevano la
regina madre, ben tre erano rappresentati dagli ultimi viceré di Napoli: il
Castrillo, il Peñerada e il cardinal d’Aragona.
Un conflitto di natura locale si innestò sulla guerra tra Francia
e Spagna che coinvolse anche il Regno di Napoli, che fu appunto chiamata a
sostenere uno sforzo di natura finanziaria e militare notevole nel moto di
Messina del luglio 1674. Il viceré Antonio Alvarez marchese d’Astorga,
subentrato nel 1672 a
Don Pietro d’Aragona, all’indomani di un breve interregno di Don Federico di
Toledo marchese di Villafranca (1671-1672), procurò d’impegnarsi a sostegno
della Monarchia madrilena contro il notabilato ribelle di Messina.
Oltre alla flotta napoletana, furono impegnati contro Messina un
esercito al comando di Marcantonio di Gennaro, le truppe napoletane di stanza
in Sicilia, altre truppe che operavano in Calabria e in Terra d’Otranto:
disorganizzazione e incapacità dei comandi spiegano la sconfitta della flotta
spagnola nelle acque di Lipari che consegnò Messina alla Francia. Nell’aprile
1675 la città proclamava la sovranità di Luigi XIV. Lo smacco per la Spagna fu gravissimo sia in
termini politici sia in termini finanziari. Per Napoli i costi furono
altissimi: solo nel primo anno di rivolta la città versò per Messina 1 milione
e 800 mila ducati.
L’Astorga aveva sperato di uguagliare le gesta dell’Oñate nella
conduzione di una guerra con sforzo prevalentemente personale e del Regno. Ma i
tempi erano mutati, con la
Spagna ormai in grosse difficoltà anche economiche, e la Francia più che mai
sull’onda della propria espansione, il Regno sottoposto, ancora e sempre, a
durissime necessità finanziarie e con notevoli ritardi anche di tecnologia
militare. In questa situazione anni e anni di inefficienza e malversazioni non
potevano
essere facilmente recuperati: e intanto, agevolato anche dagli
emissari di Francia, il banditismo fioriva nel Regno. Sebbene già nel 1683, riaccendendosi
la contesa franco-spagnola, i Francesi dimoranti nel Regno sperimentassero
l’ennesima espulsione, il Mezzogiorno non venne più direttamente coinvolto
nelle guerre e sembrò che un cinquantennio di fermenti avesse veramente fine,
mentre era al suo zenit l’espansionismo della Francia, che s’accompagnava alla
decadenza, ormai conclamata, della Monarchia spagnola travagliata da delicati
problemi dinastici. La lunga agonia di Carlo II sembra quasi il riflesso della
inarrestabile decadenza della Spagna. L’incertezza stessa sul futuro della
monarchia, quando fu chiaro che il debole sovrano non avrebbe avuto eredi
diretti, ispirava il senso di una decadenza ormai fatale e inarrestabile. Alla
morte di Carlo II, infatti,
Ma ecco che, tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, il
Regno di Napoli venne ad essere coinvolto nella non breve serie delle guerre di
successione. Considerata l’imminente fine della dinastia degli Asburgo di
Spagna per via della malferma salute e della sterilità di Carlo II, senza che
sopravvivessero altri diretti eredi maschi, era stato previsto che il Regno di
Napoli dovesse andare, insieme con quello di Sicilia e con i Presidii, al
Delfino di Francia: si apriva così per Parigi la possibilità di ottenere per
vie pacifiche un possesso vagheggiato da duecento anni.. Ma morto nel 1699 il
principe Giuseppe Ferdinando, figlio dell’Elettore di Baviera, ed erede
prescelto dal declinante Carlo II quale sovrano di Spagna, s’era reso
necessario arrivare a una seconda spartizione, mentre più vivace si faceva a
Madrid la pretesa del partito filofrancese legato alla maggioranza dei grandi
di Spagna: ma il Regno di Napoli, vecchio sogno della Monarchia d’Oltralpe,
restava attribuito al Delfino (e la
Spagna era riservata all’arciduca Carlo, secondogenito
dell’Imperatore).
Ma Carlo II, per mezzo di un suo codicillo, fece appena in tempo a
lasciare erede dei suoi domini europei ed americani Filippo duca d’Angiò,
nipote del Re di Francia Luigi XIV, figlio del gran delfino Luigi di Borbone e
di Maria Anna di Baviera : il 1° novembre 1700 Carlo II venne a morte e il
nuovo re, che prese il nome di Filippo V, della dinastia borbonica, venne
designato suo successore. Una clausola importante del testamento vietava a
Filippo di unire la Corona
di Spagna con quella di Francia
Per il Regno di Napoli il passaggio di dinastia, tutto sommato,si
preannuzniava abbastanza indolore; ma l’esplodere della guerra di successione
spagnola (1701-1713) non potè non coinvolgere questa porzione dei dominii di
Spagna, cioè di uno stato rimasto quasi isolato, a parte il naturale
collegamento con la Francia ,
davanti a tutti i potentati d’Europa.
A Filippo V si oppose l’imperatore d’Austria Leopoldo I, che aveva
sposato la sorella di Carlo II, e che sosteneva la candidatura del figlio
Carlo. Gli Asburgo videro la possibilità di restaurare l’impero di Carlo V, di
riprendere l’antico disegno della monarchia universale.
Nel 1706 l’arciduca Carlo d’Asburgo entrava a Madrid, ma ne era
ricacciato. Nel 1707 le truppe austriache entravano a Napoli: finiva, dopo
oltre due secoli, la dominazione spagnola nel Regno di Napoli. Gli austriaci vi
sarebbero rimasti fino al 1734. I perdenti, Francia e Spagna, avevano molti
motivi di conflittualità tra di loro, che presto si sarebbero trasformati in
aperta ostilità. La Spagna
avrebbe cercato di recuperare i domini perduti in Italia a spese dell’Austria.
Alla stessa Austria era sfuggito uno dei più ambiti domini spagnoli in Italia,
il Regno di Sicilia, guadagnato dai Savoia.
Le vicende della politica
internazionale, dopo aver allontanato la Spagna da Napoli nel 1707 e permesso un breve
periodo di sudditanza del Regno al ramo viennese degli Asburgo, porteranno nel
1734 alla restaurazione dell’autonomia dinastica napoletana. Si sarebbe visto
allora che il Mezzogiorno, pur con tutti i secolari problemi di disgregazione,
di miseria e di arretratezza che ne affliggevano la vita politico-sociale e
l’economia, era, tuttavia, un paese tutt’altro che povero di interne energie:
un paese che, nel giro di pochi decenni, sarebbe stato in grado di affrontare
un profondo sforzo di rinnovamento e di esprimere una cultura e un personale
politico di rilievo europeo, provando che due secoli di faticoso travaglio
all’ombra del trono di una dinastia straniera non erano trascorsi invano e che
il Regno del 1734 non era più né quello del 1501 né quello del 1647-48.
giovedì 7 giugno 2018
La Basilicata moderna. 26. Le occupazioni di terre nella Basilicata del 1848 (R. Sansa)
R. Sansa, Cento anni prima: le occupazioni del terre in Basilicata nel 1848, in "Archivio Storico per la Calabria e la Lucania", LXVI (1999), pp. 147-170.
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