giovedì 25 giugno 2015

Il Viceregno spagnolo. 3. La Camera della Sommaria

Estremamente ampio e composito era l'ambito di competenza della Regia Camera della Sommaria. Esso spaziava dalla redazione e dalla approvazione dei bilanci pubblici ai censimenti di città, terre e villaggi, dalle verifiche contabili alla vendita degli uffici regi, dalla definizione delle imposte feudali all’amministrazione delle diocesi e chiese di patronato regio, dalle richieste di cittadinanza alla numerazione delle pecore nella transumanza. Particolarmente rilevante, infine, la supervisione su altri organismi finanziari, quali la Tesoreria generale e la Scrivania di Razione. 
Come organo giurisdizionale, la Regia Camera era competente in tutte le ipotesi in cui il fisco fosse attore in altri tribunali. In quest’ultimo caso, i procedimenti venivano rimessi, a pena di invalidazione, alla Camera. Le cause tra privati erano, invece, assolutamente escluse dalla giurisdizione camerale, anche se gli ufficiali della Sommaria tentarono di acquisirne la competenza. Nelle cause discusse nel Sacro Regio Consiglio, ove fosse emerso il timore di un pregiudizio, anche secondario e remoto, per il fisco, sorgeva una competenza incidentale della Sommaria, che partecipava al giudizio con l’assistenza dell’avvocato fiscale e, eventualmente, di più presidenti. Si applicava la medesima procedura quando il processo era direttamente avocato dalla Camera. La Sommaria era, infine, corte di ultimo appello per i tribunali minori di natura finanziaria. I suoi decreti, che avevano valore di legge circa il regime dei beni patrimoniali, erano reclamabili in via straordinaria o mediante una supplica al sovrano, ma, come nel caso del Sacro Regio Consiglio, l’esecuzione non veniva interrotta.
Un ruolo di estrema importanza ricopriva l’avvocato fiscale, ufficio istituito per la Camera della Sommaria intorno al 1530. A metà strada tra un pubblico ministero e un giudice ordinario, egli fungeva da referente diretto della corte madrilena.

giovedì 18 giugno 2015

Il Viceregno spagnolo. 2. Il Sacro Regio Consiglio

Istituito in età aragonese come organo giurisdizionale sovraordinato a qualunque altro, il Sacro Regio Consiglio, proprio in virtù della sua origine, godeva di una preminenza pari a quella del sovrano e le sue decisiones, che consistevano in immensi repertori della giurisprudenza raccolti e commentati dagli stessi magistrati, si ponevano, perciò, come interpretazione autentica del diritto. L’appellativo di “Sacro” derivava, infatti, dall’essere tradizionalmente il luogo dove il re in persona amministrava la giustizia, sedendo in aula e ascoltando l’esposizione delle cause, sulle quali poi pronunciava una sentenza definitiva. Quando il principe delegò stabilmente ai suoi consiglieri la potestà giurisdizionale, questo divenne l’unico tribunale che giudicava in suo nome. Per questo motivo perdurò la prassi d’intestare le suppliche, che introducevano i processi, Sacre Regiae Maiestati, anche se il sovrano non presenziava da secoli al Consiglio. Quella presenza ideale conferiva una particolare solennità alla lettura delle istanze davanti al presidente, che in quel momento impersonava il re e, quindi, era superiore alle convenzioni formali. La cerimonia non poteva essere interrotta per nessun motivo, al punto da dar luogo a conflitti con alcuni rappresentanti della nobiltà, offesi per l’indifferenza ricevuta, in tali occasioni, al loro ingresso in Consiglio.
Di fatto il Sacro Consiglio si caratterizzò come un organo eminentemente tecnico, in cui la funzione giudiziaria veniva esercitata da giuristi assurti ai massimi livelli di professionalità. La definizione formale dell’avvenuto cambiamento si ebbe con un provvedimento del viceré don Pedro de Toledo che nel 1533, recependo la prammatica XLI de officio Sacri Regij Consiliarij, aumentava ad otto i Doctores che componevano il tribunale, suddividendoli in due Aulae.
Veniva sancita formalmente la compressione dei poteri del presidente, la cui funzione più rilevante rimaneva quella di distribuire le cause tra le due ruote, affinché avessero lo stesso carico di lavoro da smaltire in pari tempo. Il ruolo, politico e giudiziario, del presidente del Sacro Consiglio era stato ridimensionato perché non facesse ombra alla praestantia, sempre in ascesa, dei reggenti del Collaterale. Nel complesso si può dire che il Sacro Consiglio, espurgato da valenze politiche, fu specializzato come supremo organo giurisdizionale.

giovedì 11 giugno 2015

Il Viceregno spagnolo. 1. I viceré

Il 12 marzo 1505 Ferdinando il Cattolico dava alla città di Napoli comunicazione ufficiale del conferimento di nuovi poteri al viceré. L’evento non si poneva come un puro atto di amministrazione, bensì costituiva, sotto il profilo sostanziale, nella tipica visione giuridica dell’epoca, il perfezionamento di un processo rapido, ma completo, di trasformazione istituzionale. Quella data rappresentò così, per il Regno di Napoli, il termine iniziale di un periodo di oltre due secoli caratterizzati omogeneamente, almeno sotto l’aspetto formale, da uno status politico-giudiziario sensibilmente diverso rispetto al passato. A quel nuovo assetto gradualmente corrispose l’adeguamento, talora tardo e tormentato, di tutti gli istituti giuridici, che in varia misura e tempo, risentirono del mutato clima politico.
Fu rinnovata l’architettura statuale, attraverso la spoliazione del potere dei Sette Grandi Uffici. Risalenti alla dominazione normanna e affidati a esponenti della nobiltà feudale, essi costituivano, in quanto curia principis, il primo abbozzo di un’amministrazione centrale. Al Connestabile ed all’Ammiraglio competevano, rispettivamente, il comando dell’esercito e della flotta militare; il Protonotario (detto Logoteta) rogava gli atti dei Parlamenti; il Camerario aveva cura delle finanze regie; il Cancelliere collaborava con il sovrano negli affari di Stato, il Giustiziere era giudice ordinario d’appello, mentre il Siniscalco provvedeva all’approvvigionamento e alla gestione delle residenze reali. Il declino di queste cariche fu contestuale al sorgere dei nuovi organi, più congrui alla crescente articolazione dei poteri pubblici. Della struttura istituita dai normanni, sopravvissero i sette Ufficiali della Corona, uffici vendibili (a eccezione del comando delle milizie, di cui il viceré aveva assunto personalmente la titolarità in veste di Luogotenente generale), che continuarono a essere regolarmente nominati nel corso del Cinquecento e del Seicento. I Sette Grandi Uffici furono trasformati in investiture onorifiche e, spesso, in fonti di un cospicuo reddito, ma prive di un potere effettivamente incidente sulla realtà politica. Questi dignitari si limitavano a presenziare ai Parlamenti e alle manifestazioni ufficiali, portando le insegne reali e adornati di vesti purpuree.
Alla spoliazione del potere dei Sette Grandi Uffici corrispose l’istituzionalizzazione della carica di viceré. Egli in origine era un alter ego del sovrano. Dal punto di vista giuridico-formale l’istituto vicereale aveva un carattere transitorio, perché era inimmaginabile, per la teoria statuale del tempo, un ausentismo permanente del re, signore naturale. Dalla metà del secolo XVI, l’ascesa economica della Castiglia e la stabilizzazione della corte imperiale in questa regione, produsse l’istituzionalizzazione dell’ausentismo negli altri reinos e la trasformazione della figura del viceré in un alto magistrato permanente.