giovedì 24 marzo 2022

Potenza. 3. Tra Medioevo ed Età moderna


Alfonso d’Aragona, il 12 giugno 1435, concesse Potenza come possesso feudale a Inigo de Guevara. La cura da parte del conte per il miglioramento e la fortificazione della cinta muraria fu certamente una risposta a una reale situazione di degrado, pur rientrando nell’ambito di un più vasto programma strategico-militare del governo aragonese. 

Sotto la dominazione dei Guevara furono, infatti, ricostruiti la chiesa di Santa Maria del Sepolcro e il chiostro di San Francesco, ma ci furono anche interventi edilizi di maggiore interesse pubblico, come le ricostruzioni del palazzo del Seggio e di quello baronale e infine, nel 1453, la costruzione di un acquedotto, voluto dalla marchesa de Guevara, moglie del conte Inigo. La cinta delle mura venne ampliata, infatti, quando Inigo, nel 1445, dispensò i cittadini dal pagamento dei tributi al Regio fisco, donando ai cittadini dieci tarì per la ricostruzione, “rifare le muraglie”. Nelle mura furono aperti nuovi accessi come la Porta Mendola, il Portiello de lo Mancoso, la Porta Bucceria o Beccheria, la Porta della Trinità o Tassiello, la Portasalza, vicina ad un forte pendio e, perciò, dotata di un ponte levatoio da cui prese il nome. Il tracciato della cinta, rifatto su ordine del conte Inigo, resta in parte visibile ancora oggi a partire dall’attuale piazza XVIII agosto, per proseguire fino alla Torre, che dal nome della famiglia è nota come Torre Guevara, in posizione strategica di vedetta sulla vallata che guarda verso il pianoro dell’Epitaffio. 

Altra parte delle mura, che ingloba il Palazzo Vescovile, mostra come la cinta giungesse a svilupparsi lungo l’altra estremità, comprendendo Porta San Giovanni e finendo a Portasalza. Inigo permise anche l’aumento della popolazione grazie all’immigrazione di contadini e artigiani, che si insediarono nella zona occidentale del centro, mentre la popolazione tradizionale rimaneva concentrata nella zona orientale, intorno ai fondamentali poli della cattedrale e del palazzo, oltre che alla piazza del Sedile, sede dell’assemblea cittadina, di botteghe e locali commerciali e del mercato settimanale. 

Nel 1456, Inigo Guevara ebbe un contrasto legale con il principe di Melfi, che stabilirono come confine tra i loro territori la chiesa di san Nicola di Pietragalla e la strada che ne usciva tra Potenza e Pietragalla. Il secondogenito di Inigo, Antonio, ereditò la contea alla morte del padre, nel 1471, e nel 1483 ebbe dal re Ferrante il possesso anche di Pignola, Vietri e Anzi. 

Suo figlio Giovanni, poi, aggiunse alla contea anche Rocca Imperiale, Torre di Mare (Metaponto) e Vietri. Secondo le cronache, Giovanni partecipò alla guerra di Urbino e di Ravenna, alla presa della Mirandola e all’assedio di Pavia; si distinse, inoltre, nell’invasione fatta da Lautrec nel Regno di Napoli, quando fece fondere la sua argenteria per pagare i soldati. 

Anche il figlio di Giovanni, Carlo, fu un valente uomo d’armi, che partecipò alla presa di Ugento e all’impresa di Algeri con Carlo V, oltre a difendere Taranto dai Turchi, uccidendone, secondo le cronache, circa trecento. Fece costruire, inoltre, molti forti lungo le coste, ampliò le strade pubbliche e si occupò di combattere il banditismo. Carlo viene, inoltre, ricordato per una ventennale controversia con il clero per incamerare quanto le chiese e alcuni privati avevano riscosso, fino al 1542, sulle terre di Rivisco, sostenendo che facevano parte di antichi beni feudali. Dopo vent’anni di cause, il vescovo Nino de Ninis portò la questione davanti alla Regia Camera della Sommaria, tribunale speciale della Capitale, dove il feudatario potentino rischiò una scomunica e il pagamento delle spese del processo. Il conte, a quel punto, ritirò formalmente la causa, dichiarando che i beni contestati erano sicuramente di pertinenza feudale, ma che, in nome delle antiche tradizioni familiari, le lasciava in beneficio al clero. Carlo sposò Porzia Tolomeo del Balzo, dalla quale ebbe cinque figli; con Alfonso II Guevara, suo nipote, si estinse il ramo potentino della famiglia, poiché il conte, che aveva sposato Isabella Gesualdo, non ebbe eredi maschi e lasciò la contea a Porzia, che sposò Filippo II De Lannoy, principe di Sulmona, morto nel 1600, dopo aver confermato nel 1596 gli statuti cittadini già accordati dal suocero nel 1579. Ma questa, come diciamo sempre, è un’altra storia.

giovedì 10 marzo 2022

Potenza. 2. L'età medievale

Passeggiando nel centro storico di Potenza si scoprono tante vestigia del travagliato Medioevo che Potenza ebbe a vivere. 

Infatti, già se si percorre Via Pretoria, si comprende il tracciato della “strata pubblica”, affiancato da un nuovo collegamento dalla cattedrale alla chiesa di San Michele. Al Duecento, poi, risale la testimonianza della costruzione di una Porta Nova, che si aggiungeva a quelle verosimilmente edificate nel periodo romano e che faceva parte dei beni della parrocchia di San Gerardo, probabilmente situata tra il monastero di San Luca e la cattedrale. 

La cinta muraria, che faceva di Potenza un centro estremamente compatto, quasi chiuso, aveva, poi, numerosi accessi che mettevano la città in comunicazione con il contado. Delle sei porte medievali di Potenza, due, i cosiddetti “portielli “(Porta Mendola e Porta Iola), erano porte minori situate rispettivamente sul lato meridionale e settentrionale della collina; altre due (Porta Nova e Porta Canonica) non furono più utilizzate dopo il Trecento. Le entrate maggiori nella città erano Porta San Luca, importante sbocco sul versante meridionale verso il borgo di San Rocco; Porta Salza, nella parte occidentale del pianoro, abbattuta il 2 ottobre 1817 e limite estremo dell’espansione cittadina; Porta San Giovanni e Porta San Gerardo, entrambe sul versante settentrionale, con l’importante funzione di porte maggiori della città. La prima, dal pendio nord, scendeva verso la cappella della Santissima Annunziata fino ad arrivare alla chiesa di Santa Maria del Sepolcro. Porta San Gerardo, invece, fungeva da entrata preferenziale per chi potesse attraversare i possedimenti del vescovo. 

Ulteriore polo di aggregazione era la chiesa di San Michele, intorno alla quale si sarebbe sviluppato, nell’ultimo quarto del Quattrocento, un borgo extramurale. Oltre a San Gerardo e a San Michele, terzo polo della città era la centrale parrocchia della Santissima Trinità, anche se la maggiore concentrazione di edifici importanti era intorno all’antica parrocchia di San Gerardo, nella zona est di Potenza. 

Al limite estremo del centro abitato si trovava, infine, l’antico castello – risalente presumibilmente al periodo normanno –, del quale resta solo una torre cilindrica, probabilmente con una funzione di avvistamento e di controllo della vallata sottostante. 

Sin dalla metà del XII secolo Potenza venne insignita del titolo demaniale: nel 1157, infatti, repressa la rivolta che faceva capo al conte di Loretello, il re Guglielmo II la dichiarò città regia con Melfi e Acerenza, condizione che essa mantenne sotto gli Svevi. Tuttavia, nel dicembre 1220 Federico II ridimensionò l’autonomia cittadina e, nel 1240, ordinò alle comunità di Potenza e di Melfi di inviare i propri rappresentanti all’assise convocata a Foggia. Potenza rimase sempre fedele agli Svevi, insorgendo contro Carlo I d’Angiò e il suo vice Guglielmo de la Lande e parteggiando per Corradino. Dopo la battaglia di Tagliacozzo del 1268, tuttavia, nemmeno la sollevazione operata dal popolo contro l’aristocrazia filosveva capitanata dai conti di Rivisco valse a salvare la città dalla vendetta degli Angioini. Ne seguì la distruzione delle mura (di cui, infatti, restano pochissimi tratti), con la dispersione di molti potentini nelle terre circostanti. 

Il periodo della crisi della dinastia angioina e dell’ascesa degli Aragonesi (1382-1443) fu, poi, tumultuoso anche per Potenza, possesso del conte Ugo Sanseverino, che nel 1384 vi riunì i baroni napoletani filoangioini per giurare fedeltà a Luigi II contro la famiglia Angiò-Durazzo che, salita al potere, la passò di feudatario in feudatario, finché la città riconobbe come nuovo sovrano Alfonso d’Aragona che, nel 1444, la concesse a Inigo de Guevara. Ma questa, come si dice, è un’altra storia che vi racconteremo presto.

Le perle lucane. 4. Maratea

 «Dal Porto di Sapri, che aperto è fama inghiottisse la celebre Velia, raccordata dal Poeta dopo Palinuro, nel golfo di Policastro, à dodeci...