giovedì 19 ottobre 2023

Il Mezzogiorno moderno. 24. Il murattismo nel Mezzogiorno del XIX secolo

Il murattismo è un’altra categoria politica di difficile e varia interpretazione. Murat, infatti, più che per scelta, fu riformatore malgré lui: isolato, infatti, nel sistema imperiale-dinastico di Napoleone, Murat cercò di trovare una propria solidità come sovrano sulla base delle élites locali, riprendendo moduli operativi tipici del riformismo borbonico ma, nel corso del suo regno, trovando forti resistenze nelle richieste di costituzione avanzate da tali gruppi dirigenti, che avrebbero portato alla grande crisi del 1814-15 e sarebbero, a lungo termine, sfociate nei moti costituzionali del 1820-21.

Se a fine Ottocento, nel corso della stagione crispina, la stagione murattiana venne vista come punto d’origine del risanamento meridionale e di base per il processo unitario, essa non era stata, tuttavia, interpretata sempre come un momento positivo nel processo di partecipazione del Mezzogiorno d’Italia ai moti ottocenteschi. 

Fino al 1848 ed oltre, infatti, il Decennio napoleonico era stato additato come esempio di espansionismo, connotato da trasformismo e tendenza ad un centralismo conservatore e liberticida. Una tendenza interpretativa, questa, ampiamente condivisa dalla storiografia post-unitaria che, nel generale recupero del «pantheon dei martiri dell’Unità», significativamente mostrava quella che si può definire una vera e propria ‘gallofobia’, non evidenziando alcun contributo degli uomini del Decennio alla causa dell’Unità nazionale. 

Il recupero del murattismo a fine Ottocento, tuttavia, fu espressione della delusione derivata dalla politica piemontese tesa alla marginalizzazione delle rappresentanze meridionali: di fronte al molto offerto dal Mezzogiorno d’Italia alla causa nazionale, infatti, si percepì una risposta ampiamente evasiva, se non addirittura penalizzante, sicché, in una sostanziale accettazione dell’Unità, emergevano nuove istanze della rappresentanza politica meridionale ed il recupero di una stagione, quella murattiana, vista come premessa di un’Italia più ampia e pluralista, obliterata dal ‘compromesso’ mazziniano. Superando la taccia di «passatismo» legata al Decennio, Giacomo Racioppi, ad esempio, legava tale accusa piuttosto al borbonismo: pur mantenendo un basilare anti-murattismo, egli recuperava i Napoleonidi come premesse di un federalismo che meglio avrebbe potuto inserire il Mezzogiorno nel complesso del Regno d’Italia, in una sostanziale, accesa critica alla Destra Storica.


giovedì 5 ottobre 2023

La cultura meridionale. 3. Donato Venusio da Matera

 Lo studio di struttura, metodi e fonti della storiografia materana del xviii secolo offre un punto di vista di peculiare fruttuosità nella ricostruzione e lettura della cultura e pratica politica dei gruppi dirigenti della Matera vicereale e del primo periodo borbonico. Una realtà, quella materana, ormai pienamente dentro il ruolo di sede della Regia Udienza provinciale, nella quale il patriziato urbano risultava perfettamente integrato, come visibile nelle strutture urbane e, per quanto concerne il governo interno, profondamente radicato nella gestione del locale capitolo cattedrale. Per quanto riguarda la parte inerente la storia della città, è possibile riscontrare, in effetti, nella storiografia locale materana settecentesca, una topica strutturazione narrativo-argomentativa di tipo apologetico, basata sulle distruzioni di Matera (con il vero e proprio plagio “comune” dell’episodio per cui la città subì tanta fame che una madre fu costretta a mangiare il proprio figlio), il succedersi di popoli che ambivano a possederla, episodi riguardanti la diocesi – questi ultimi soprattutto in Donato Venusio, che incentrava (per lo scopo della primazia materana) la propria trattazione sulla cronotassi.

Il Venusio risulta, infatti, di notevole rilevanza per il suo percorso di cultura e di pratica nella gestione della Chiesa. Egli, infatti, apparteneva ad una famiglia originaria di Amalfi e con notevoli legami con l’ordine dei Gerosilimitani. Entrò (sicuramente in quanto figlio cadetto) nella carriera ecclesiastica fin da giovane, sicuramente dopo il 1663, data della dislocazione di Matera da Terra d’Otranto in Basilicata: 

Essendo stata questa nostra città dismembrata dalla prov. D'Otranto, e fatta Capo della prov(incia) di Basilicata ove risiedeva il preside con li Regi uditori, essendo il nostro arciv(escovo) Spinola andato in Roma (a far la renunza dell'arciv[escovo]) rappresentò al papa di mandarmi per vicario apostolico un qualche uomo di sperimentata virtù per opporsi ai pregiudizi che contro l’unità Ecclesiastica tentavano i regii ministri di fare per il re la S. Congregazione vi mandò Giulio Lamadei Marchegiano.

Canonico del Capitolo Cattedrale di Matera, fu dottore in utroque jure e autore di una Cronaca di Matera sino al 1711 con un appendice di Notizie appartenenti alla città e Chiesa di Matera, raccolte da varj autori, un’opera sulla Chiesa di Matera, con un sommario di documenti relativi all'oppugnata Diocesi e delle Institutiones astronomicarum Libri tres, iuxta Tyconis Brahé compilate nel 1698. 


Venusio fu uno dei protagonisti nelle vicende del contrasto primaziale tra Acerenza e Matera, poiché gli fu affidato il compito di tutelare le ragioni della chiesa materana; sicché, per svolgere il suo mandato, il canonico abbandonò gli studi di astronomia, cui si era dedicato con passione dopo essersi addottorato in utroque jure ed in teologia, e, raccolte notizie e documenti a sostegno della Chiesa di Matera, nel 1707 si recava a Roma per illustrare, davanti alla Sacra Rota, una ampia e documentata memoria per la Chiesa di Matera con un sommario di documenti relativi «all'impugnata diocesi». Dopo questa prima ricognizione documentaria, tornò a Matera nel 1707 e si dedicò, nei quattro anni successivi, alla stesura di una cronaca di stampo ecclesiastico, terminata nel 1711: 

Per non star dunque ozioso in Roma sintanto che si faceva la compulsa, e perchè venivo richiamato dal mio padre di felice memoria ritornai inso l'ultimo dal 1707 in Matera dove perchè fui destinato come inteso delle scritture ad accudire, e regolare la compulsa, giache sin adesso che è l'anno 1711 per castigo di Dio con […] accaduta tra gli nobili, e civili per la lite della nobiltà, e la poca unione de preti e per altri motivi che si devon tacere no è fattan detta compulsa hò proposta di riferir qui tutte le scritture confacenti alla nostra caosa e dove quella pronto aversi, e si conservano.

Il manoscritto della sua Cronaca è caratterizzata da una struttura a colonne, in cui la parte destra del foglio è dedicata alla narrazione, mentre la parte sinistra è destinata o alle precisazioni della narrazione - forse successivamente aggiunte -, o anche per indicare la fonte da cui aveva ricavato l'informazione; questo viene richiamato attraverso dei segni diversi come «# ± +» e altri. Venusio utilizzava, inoltre, nel racconto una serie di abbreviazioni delle parole: ad esempio utilizza «x» per indicare per, o i mesi settembre, ottobre e novembre, li indica apponendo il numero corrispondente alla parola: «7mbre», «8bre», «9mbre»; o anche «nt» o doppia n o m, il che farebbe pensare ad un testo rimasto, nonostante la commissione, nell’ambito della circolazione privata.

È possibile dividere l'opera in tre parti: una prima parte dedicata alla fondazione di Matera (ff 1-12); una seconda incentrata sulle vicende ecclesiastiche, successioni di papi, arcivescovi e vescovi, diocesi, intervallata da episodi politici che riguardano re, conquistatori o uomini illustri (ff. 12-59); una terza, riguardante la cronotassi dei vescovi e l’elenco delle fonti da cui Venusio aveva attinto (ff. 60-85).

La parte iniziale dell'opera esamina, come detto, l'origine di Matera e del suo nome. In particolar modo, è raccontata la fondazione della città di Matera, riconoscendone l'origine in Metaponto e dai pilii di Nestore, in quanto, come riferisce Venusio, le notizie antiche di Matera non sono reperibili se non attraverso le menzioni di Metaponto o Acherontia. Sicché, esprimendo le «cose notabili» di Metaponto, Venusio cercò di legare l’antica e documentata città magno greca alla sua, facendone la madrepatria materana: si spiega, dunque, l’ampia messe di riferimenti a teatri, templi e statue, il passaggio dal dominio greco a quello romano, l'origine di Eraclea e le città abitate dai metapontini, Metaponto e, appunto, Matera. L’origine del nome di Matera era altrettanto spericolatamente dedotta:


dice che Matera fu edificata dà Achirone compagno di Nestore; potendo ben credersi, che no essendo capace quel luogo di tanti popoli Pilis, che da Troia nemmeno si fussero divisi altri sotto la condotta di Nestore; altri d'Achirone, ed edificarono due città col nome di Metaponto; e la nostra fu poi così detta Matera, o da' Meteoros greco, che in latino suona sublime, o' da' mater eris, come molto riuda, overo Mater terrs, per il gran territorio, che tiene, conforme dice il Mazzella nella discussione del Regno di Napoli, opure fù così chiamata dall'esser stata poi accresciuta dai popoli dell'altra Metaponto, e di Eraclea doppo che queste furono distrutte, quali venuti frà di loro à contesa del nome, con il conseglio di Bittasio che allora viveva correndo l'Olimpiade 68 e gl'anni del mondo 3470 preferendo com'è costante tradizione riferita dà Ugheglio al tom. 7 della sua Italia Sacra tre lettere dal nome d'una città MET e altre tante dall'altra HERA e così Metera fu chiamata, il che maggiormente vien accertato dall'impresa che fa la nostra città del Bue ch'era insegna d'Eraclea edificata dai Boezi, con le spiche in bocca delle quali si vedano impresse le monete di Metaponto per la fertilità de suoi campi.


Il canonico materano, a tal proposito, si appoggiava su una memoria di Tommaso Stigliani appunto per confermare il fatto che Matera fosse colonia dei metapontini («simile sito ha nella Puglia amena l'antica Metaponto hoggi Matera»), in una contorsione, si potrebbe dire, delle fonti, quali Strabone, Livio, Trogo ed anche Leandro Alberti, dal quale ultimo riprendeva una rappresentazione delle monete di Metaponto, in quanto la città, essendo molto fertile, veniva rappresentata con spighe o con grani e con la testa di Cerere e, intorno alla moneta, in epigrafe la scritta «Res publica Metapontina». Il mantenimento della presenza sul sito di Matera veniva, ulteriormente dimostrato, per l’età romana, con il ricorso ancora alla numismatica, facendo riferimento al ritrovamento di una moneta vespasianea con un'immagine di un bue con tre spighe di grano in bocca e, sempre per legare la città a Roma, Venusio risaliva alla menzione di Meteola in Plinio il Vecchio, legando con una paretimologia l’etimo della città alla « torre metellana edificata, come dicono da Metello». 

Un ulteriore legame al passato più remoto era quello con Acerenza, certamente recuperato dal Venusio per mostrare come, delle due “contendenti” diocesane, la propria città vantasse diritto di primazia, trovandosi ad essere addirittura l’originaria Acerenza, tanto da dire che anche in diplomi e bolle papali Matera veniva chiamata così, soprattutto dopo l'unione delle chiese di Matera e Acerenza, nel 1086: poiché, infatti, i pontefici nelle bolle si servivano del solo titolo acheruntino, «tutti li fatti di Matera e della sua diocese si son confusi sotto il nome d'Acheruntino, con forme altre volte con diversi nomi è stata chiamata or Metella, or Metera, or Mateola ed or Matera».

Fatta opportuna (ancorché confusa) menzione del racconto di fondazione della città, Venusio passava, come di consueto nella storiografia locale, a descrivere, come altro segno d’onore, la collocazione geografica e la conformazione del territorio di Matera:

vien Matera situata vicino al fiume Carrapro, forse altro non può intendersi che per la gravina, che passa da una parte della città, dove sbocca il graviglione, o gran vallone che sia essendo questo un nome antico ed ositato nel regno, mentre in un privilegio del re Ruggiero fatto al vescovo di Castellaneta dal'un gravina nell'anno 1150 che vien riferito da Ughelio, parlando d'alcuni confini così dice: Et capit Aquam currenten de Graviglione.

Esponeva, poi, un elenco dei domini che «l'hanno signoreggiata», ancora per mostrare la costanza del popolamento cittadino: dagli aborigeni ai Romani, ai Goti, bizantini, Longobardi, saraceni, fino all’Impero spagnolo, onde evidenziare che Matera fosse nel mirino delle diverse dominazioni per la presenza della «Miniera del Bolo Armenio, il Salnitrio naturale e della terra sigillata».

La parte centrale dell'opera, comunque, si configurava come una storia ecclesiastica riguarda tutto ciò che è inerente alla vita ecclesiastica, iniziando con una considerazione di Leone Ostiense e di Baronio: «Materam interim munitissimam illorum urbem capiens igne illam fervente consumpsit. E da ciò si ricava esser stata Matera Città forte ed antica, e perciò decorata della fede vescovale». Legando elementi ecclesiastici e politici, il Venusio insisteva proprio sull’antichità della sede episcopale materana:

Stando dunque la nostra città sott'il dominio de greci nel temporale, asieme con altri luoghi circonvicini, volle anche il patriarca di Costantinopoli usurparsene la giurisdizione nella spirituale secondo dice Liutprando nella sua Relazione riferita dal Baronio […] ed è da notarsi che non dice eligendi episcopatum, ma episcopus conservandi, il che suppone, che in questa città fussero già Catedrali.

A tal proposito, l’autore citava il fatto che, dopo la dominazione bizantina, Matera avesse perso la cattedra vescovile, il che indicava che l’avesse prima, come sede, tra l’altro, metropolitana, insieme a Bari, ma non come Acerenza (della quale pure gli acheruntini vantavano l’antica metropolia), «né potrei cognietturare perchè l'Acerenza doveasi eligere il Vescovado e no Matera, quando quella sin dà tempi di Orazio fu piccola e simile ad un nido, come cantò il medesmo nell'ode 5 al lib. 4».

Si spiega, dunque, la frequenza quasi ossessiva di cronotassi episcopali intrecciate a cronache, introdotte da “formulette” quali «Fiorì in quei tempi» o «prese il possesso» o anche «fu fatto arcivescovo», che introducono spesso la menzione delle onorificenze a personaggi illustri ecclesiastici e non, collegandoli anche ai loro “avi”, come risulta, tra gli altri esempi, nel caso dell'abate del monastero di San Vincenzo Stilario di Matera, che diventò abate nel 1011:

Il quale fu huomo ripieno d'ogni virtù, e di vita si santa, che per li suoi gran meriti operò il Signore molti miracoli, come nella cronica a quello si hà (Cronica di S. Vincenzo Veorila nel tom. I par. 2 dalla raccolta de scrittori d'Italia de Muratori, al di cui lib. V sul principio parla dell'A.te Stilario Cittadino di Matera) Impetrò amplissimi privilegii per lo suo monastero da Sergio 4 Papa, da Arrigo Imperatore, e da altri principi, che d'honor ed'utilitàgrande li furono. Fece habitar i castelli di Sicinoso, di Colle Stefano, et alcuni casali di terra: fè anche a maraviglia dipingere tutta la sua Chiesa, e ne ristorò molt'altre, ornandole di paraponti, ed ogni altra cosa al divino culto necessaria e concedè a certi soldati del contado di Valva figlioli di Ansero le terre di Alfidena, e di Monte negro ordine libezzario secondo l'uso di quei tempi.

O ancora l’arcivescovo Bartolomeo Orsignano, che aveva istituito la festa della Madonna della Bruna a Matera:

Doppo la morte di d(etto) Arciv(escovo) fù creato Arciv(escovo) Bartolomeo Orsignano da Nap(oli) nel 1363 fù gran legista secondo Leodoro Niem e Vice Cancelliero per il Card(inale) di Pamplona<;> ebbe per vicario l'Abb(at)e Bisanzio Marrelli Arcip(re)te di Matera da Greg(orio) XI fu trasferito a Bari a 8 aprile 1377 e doppo un anno eletto sommo pontefice col nome di Urbano VI. Questo Pontef(ic)e per impetrare dal cielo l'unione della chiesa La istituì la festa della Visit(ation)e della B(eata) Vergine, e perciò li nostri maggiori cominciano a celebrare la festa della Bruna titolo della nostra cathedrale in d(ett)a festa della Visitazione come istituito da detto pontefice che era stato prima nostro arcivescovo, quale per fine morì a 15 Genn(aio) 1389.

Notevole è, in questo caso, sempre nel solco apologetico della primazia di Matera su Acerenza, l’insistenza su un episodio distesamente riportato dal Venusio:

sospettando dunque il principe che per opera di Manfredi non si fusse da prendere di nuovo la città procurò che i materesi ed altre tre terre diocesane del suo dominio li avessero negato l'obbedienza, sorrogario egli in suo luogo in un certo fra Madio d'Otranto de minori osservanti sia confessare in sin che avesse ottenuto dal papa un amministratore. Fu prima del principe Manfredi a rappresentare ad Eugenio come Matera che era terra della sua diocese con altre quattro ribellandosi e negando l'obbedienzia s'avevano eletto per solo un tal Madio. Onde Eugenio convinse al vescovo di Tricarico che prendesse di ciò informazione, e la stando avesse costretto Matera con altre quattro terre all'obedienza di Manfredi. Che cosa ne sortì non si sa, quel che avesse fatto il vescovo di Tricarico li acheruntini nemmeno lo sanno come dice la decisione che cosa dunque pretendono li acheruntini da questa Bolla […] perché dunque il papa a[…] di Manfredi disse che Matera era tale, lo costò il vescovo di Tricarico che era terra sig(norile) no perché non la ridusse all'obbedienza di Manfredi perché fra tanto mandò il principe dato e supplicando al papa, e provata la persona di Madio, esser sospetto questo deputò in amministat(ore) di Matera e della sua diocese il vescovo Ladislao con facoltà di sostituir a loro no sospetto al principe, et ivi […] la cosa del sospetto di Manfredi per le guerre.

Come infatti il vescovo per la facoltà concessali sostituì d. Fra Madio e detta sostituzione fu confermata da Eugenio. Manfredi intanto vedendosi deluso con il primo falso esposto ne fe un altro molto diverso del primo come si legge dalla seguente bolla.

Lodato sia pur il cielo che Matera non è più terra della diocese acheront(ina). Come si temeva, anzi che tiene la prep(osta) Diocese, mentre quando alcune le terre ivi enunciate sono della diocese Acher(untina) dunque non sono tutte dunque alcune di queste è della diocese di Matera. […] Toccherebbe alli Acheruntini portare l'esito di quel che si fece dal vescovo di Melfi mentre la parola loro è contro, e si suppone che tutte fossero state eministrate e governate da Madio fintanto che morto Manfredi nel mese di luglio 1444 e costato il sospetto Eugenio rinvocò d(ella) decisione di Madio provvedendo Marino de Pansis da Caivano in arcivescovo dell'una e dell'altra, Acheruntino e materano; […] dal 1439 sino adesso quando è stata fatta Matera eretta in Arcivescovado; dunque se nelle bolle di Marino dice che ambedue le chiese mancavano per Manfredo, è certo che Manfredo era arcivescovo di ambedue le chiese onde Matera no era terra diocesana.

Il che dimostra anche come molto spesso Venusio riportasse le diverse titolature dell’arcidiocesi che ritrovava nelle bolle. In alcuni casi, altresì, il canonico cedeva all’aneddotica, certamente ricavata dalle sue fonti – peraltro esplicitamente dichiarate in questi casi:

Fu di gra' fortezza di corpo in quei tempi Fra Benedetto monastero Benedettino che oltre aver ammazzato con un pugno un altro monaco spezzava con le mani due ferri di cavallo uniti, teneva con un dito della mano […] e a tempo che nel piano della chiesa cathedrale si facevano li giuchi del ferro fugendone uno si scontro con questo allo stretto del portone della Piazza, quale aspettandolo animosamente e, presolo per le corna lo tenne sin tanto che sopragiungendo li giocatori l'ammazzarno, fu anche questo sottil maestro di far orologi suddetto si legge nelle Croniche del Verricelli. […] In tempo di questo arcivescovo morì in Roma nel mese di Febb(raio) 1651 Frà Tommaso Stigliano Cavalier di Malta nostro cittadino Poeta celebre la di cui vita fu descritta da Girolamo Ghilini sul teatro de'gli uomini letterati diede alla luce più libri e fra gli altri le rime in otto libri […] et intorno al rimare hà scritto un opera di preggio e degna di luce il qual or'è frà quei patri che della Poetica, e della Lingua italiana possono parlar come scientiati [...] li suoi versi no abbiano avuto dolcezza tuttavia le sue opere e rime stavano composte con tutta l'arte, né hanno potuto gl'altri emuli eguagliarlo.

In questa carrellata non mancavano i viri illustres, come Francesco D'Acono, Marcio Melvindi, Alessandro Gattini, Marco Malvindi, Giovan Ferrante Ungaro, non a caso provenienti dal patriziato cittadino ed esponenti del ceto togato che a Matera, come detto, emerse prepotentemente nel corso del xvii secolo, quando fiorì, peraltro, la ristrutturazione urbana della città, come evidenziato dallo stesso cronista, in significativo legame, soffermandosi sulla «chiesa nuova cattedrale con il campanile all'uso moderno che finche mentre la g[…] era a modo bulico», o ancora sulla fondazione di nuovi conventi ad esempio quello di Sant’Agostino, o anche sul celebre «conte Tramontano (che) murò la città con li borghi e fece il castello fuori della città in somiglianza di castel nuovo di Napoli tutto a spese de poveri cittadini in tempo che la giornata così d'un uomo che d'un cavallo andavano grava […]se; onde vi furono spesi ducati 25 mila».

Inoltre Venusio raccontava, sempre a scopo apologetico, dei numerosi sinodi della diocesi, fra cui particolare spicco era dato a quello del 1607 nella città stessa, in cui intervennero arcipreti, canonici e vicari di tutte le terre della diocesi e quello del 1627 convocato da Giovanni Antonio De Fiori, inizialmente a Matera e poi spostato ad Acerenza per comodità, finché nel 1628 fu decretata la primazia di Matera per la convocazione dei sinodi.

Successivamente, Venusio esponeva le lunghe vicende della dominazione dei Sanseverino e delle loro vicende, ad esempio mettendo in evidenza il fatto che i Sanseverino avessero ottenuto la giurisdizione feudale di Matera dalla fine del Duecento; quest’insistenza a prima vista strana potrebbe essere stata motivata dallo stesso motivo per cui il Venusio si era soffermato sulla cronotassi “intrecciata”: mostrare gli elementi distintivi che facevano di Matera una città “primaziale” in tutti i sensi, come, del resto, mostrava attraverso l’elencazione di una serie di privilegi concessi a Matera da re e papi, fino ad arrivare agli anni in cui Matera passò dalla dominazione francese a quella spagnola. 

La parte finale dell'opera era caratterizzata da una serie di elenchi, probabilmente redatti in una fase precedente del lavoro e allegati dal Venusio come una sorta di catalogus sul modello di molti altri che venivano allegati alle costituzioni sinodali fin dal xvii secolo: nei fogli 59-60r, dunque, si ritrova il catalogo dei vescovi di Acerenza e Matera, seguito dalla cronotassi dei vescovi di Matera prima dell'unione. Infine, come detto, nei ff. 62-85 l’autore riportava le fonti da cui aveva attinto le informazioni, in ordine cronologico.

Le perle lucane. 4. Maratea

 «Dal Porto di Sapri, che aperto è fama inghiottisse la celebre Velia, raccordata dal Poeta dopo Palinuro, nel golfo di Policastro, à dodeci...