La rivolta del 1647 delle popolazioni lucane ebbe portata e mire diverse da quelle che suscitarono i moti capeggiati da Masaniello a Napoli. Nelle province, e in Basilicata in particolare, oltre che per uno straordinario sgravio fiscale, si lottava per liberarsi dall’abbraccio mortale dei baroni, sempre più esigenti e arroganti. La rivolta, che vide in Matteo Cristiano e in alcuni capopopolo come Giovanni Vinciguerra da Tricarico i suoi esponenti più in vista, assunse connotati da vera guerriglia, difficilmente controllabili da parte dell’esercito regio o dalla neonata Regia Udienza di Basilicata.
La ragione di questi spiccati caratteri assunti in Basilicata dal moto rivoluzionario è da ricercarsi essenzialmente – oltre che nelle generali condizioni di vita delle campagne meridionali – anche in rapporto al fatto che proprio in Basilicata lo Stato centrale era anche fisicamente assente, essendo questa provincia alle dipendenze delle autorità viceregali della provincia di Salerno, e nella particolare distribuzione dei centri abitati in un ambiente orograficamente accidentato, che non poco impediva gli spostamenti ed i soccorsi delle truppe contro-rivoluzionarie verso le località dove più aspro era lo scontro.
Don Pedro Alvarez de Toledo durante il lungo governo vicereale (1532-1553) conferì carattere di priorità alle riforme dell’amministrazione della giustizia, al fine di ricondurre la normalità nel paese, travagliato da innumerevoli episodi di criminalità e di malcostume nell’ambito dei rapporti sociali e amministrativi. Egli promulgò rigide prammatiche per rendere più operante l’osservanza delle leggi. Il ristabilimento della giustizia fu esteso anche alle Province: si specificarono nella “Cronologia prefissa al primo tomo delle Prammatiche” i provvedimenti riservati alla competenza dei Tribunali Provinciali. Si trattava però di un’amministrazione ugualmente centralizzata con un’Udienza che era insieme intendenza amministrativa e corte di giustizia di appello sovrapposta alle giurisdizioni feudali e locali, e tante precettorie dipendenti dalla Regia Camera della Sommaria.
La Basilicata alla fine del Cinquecento, diversamente dalla maggior parte delle province del Regno, aveva confini incerti ed era ancora amministrativamente incardinata nel Principato Citra, rendendo oggettivamente complessa la sua gestione da parte di Napoli. Infatti, è noto che la provincia basilicatese, sebbene fosse stata un antico Giustizierato autonomo di epoca normanna, a metà Cinquecento risultava di difficile amministrazione. La Basilicata, infatti, non aveva un autonoma amministrazione e non costituiva una distinta Udienza Provinciale; sin dal 1557 da Salerno, sede della Regia Udienza di Principato Citra e di Basilicata, il suo Preside veniva rappresentato in Basilicata da un Governatore preposto di seguire regolarmente quello che avveniva nei paesi della provincia. Quest’ultimo, però, aveva serie difficoltà a raggiungere la maggior parte dei paesi che richiedevano intere giornate di cammino e impedivano al Preside di Salerno di inviare a Napoli tutte le informazioni relative alla provincia di Basilicata.
Qui risultava più facile per i baroni usurpare funzioni giurisdizionali spettanti al potere centrale e sfuggire al controllo dei funzionari regi. E’ noto che in quel periodo arrivarono a Napoli numerose lettere accorate inviate da parte degli amministratori delle Università di Basilicata, per supplicare che si provvedesse quanto prima a reprimere gli abusi baronali, attraverso la presenza di funzionari regi che avessero la propria sede nella provincia , ed è noto quanto in Spagna si fosse consapevoli che soltanto una nuova ripartizione territoriale delle province avrebbe potuto risolvere, del tutto, la questione.
A Napoli si discusse sin dalla seconda metà del XVI secolo dell’istituzione di un’autonoma Udienza per la provincia di Basilicata. Juan de Zuniga, principe di Pietrapersia, viceré di Napoli dal 1579 al 1582, si dichiarò a favore della nascita di una nuova Udienza provinciale. L’ipotesi di una separazione tra le Udienze di Principato Citra e di Basilicata formò per due volte oggetto di una riunione del Consiglio del collaterale, il 29 maggio del 1581 e il 23 maggio del 1582. In entrambi i casi, i notabili, che pure conoscevano i risultati di un’inchiesta sull’argomento disposta dal visitatore generale Lopez de Guzman nel 1551, non arrivarono a nessuna decisione concreta. Una divisione delle due Udienze, per quanto conveniente da un punto di vista dell’amministrazione della giustizia, non risultava opportuna per gli elevati costi che avrebbero gravato sul bilancio del Viceregno.
Il nuovo viceré Ossuna, Pietro Tellèz, tra il maggio 1583 e il maggio 1593, propose, sempre in Collaterale, un compromesso che in teoria avrebbe dovuto contemperare le esigenze del fisco con quelle delle Università: la Basilicata avrebbe avuto un’Udienza, sottratta alla giurisdizione del Preside di Salerno, ma composta soltanto da un Governatore, Carlo Gambacorta, e da due Uditori. Tale decisione incontrò la protesta decisa dei togati e commercianti di Salerno, centro universitario e giurisdizionale di notevole importanza, che considerava un’onta la sottrazione della giurisdizione sulla Basilicata al suo Tribunale. e Madrid espresse a riguardo parere sfavorevole preferendo temporeggiare: l’istituzione di una nuova Udienza importa spese che Madrid non intende ancora affrontare.
La Spagna degli anni Novanta del Cinquecento era sull’orlo del declino del proprio sistema imperiale, in particolar modo causato dalla crisi economica agricola che aveva portato all’ultima bancarotta di Filippo II nel 1596.
La questione torna alla ribalta proprio in quell’anno, grazie a una proposta del conte di Olivares che tende a comporre in modo diverso le province del Regno, unendo i due Principati nell’Udienza di Salerno e istituendo un’autonoma Udienza di Basilicata e una di Terra di Lavoro. Le spese di funzionamento per queste sarebbero state coperte da quelle previste per l’Udienza di Principato Ultra, accompagnate da un brusco taglio dei salari dei Magistrati dell’Udienza e l’invio in Basilicata di un solo commissario-Uditore da Salerno, come delegato, per tutelare gli interessi della Corona, ma l’unica concessione fu l’ampliamento dei poteri del Governatore. Con un provvedimento dell’aprile 1624 gli si concedeva la “potestas ad modum belli”, la facoltà di comminare pene corporali e pecuniarie, di infliggre ai maschi la pena della galera, alle donne quella dellafustigazione. Un pote eccezionale che però rimaneva sotto il controllo del governo centrale. Il Governatore di Basilicata poteva, inoltre, concedere indulto a qualsiasi delinquente, previa aurtorizzazione del sovrano.
Una situazione nuova consiglia l’istituzione dell’Udienza di Basilicata: con la Lega di Rivoli stipulata nel luglio 1635 ai danni della Spagna, si presenta il pericolo che forze francesci possano minacciare direttamente il viceregno per cui, allo scopo di difendersi contro ogni eventuale minaccia, si torna ad esaminare la possibilità di sottrarre la Basilicata al preside di Salerno e affidare l’amministrazione della giustizia e il comando militare ad un ufficiale destinato esclusivamente al governo di questa provincia e responsabile soltanto di fronte al viceré.
Il problema fu risolto soltanto da Remiro Nuñez de Guzman duca di Medina giunto viceré a Napoli nel novembre 1632, al quale le università lucane, inviarono un memoriale il 30 settembre 1639 in cui chiedevano al viceré, che aveva interessi in Lucania per aver sposato Anna Carafa, «per chiedere che l’Udienza fosse portata nella loro provincia» con ministri non soggetti al preside di Salerno. Il memoriale, cui fa riferimento la Intorcia, è sottoposto al Consiglio Collaterale che il 7 febbraio del 1640 esprime parere favorevole per l’istituenda Udienza lucana. Madrid, omettendo l’ipotesi di una fusione tra province, che unisse il Principato Citra e il Principato Ultra, ritenne valida l’ipotesi di impiantare un nuovo capoluogo e una nuova Udienza in Basilicata e, contrariamente al passato, durante la seduta del 7 febbraio 1640, concesse al Consiglio Collaterale di esprimere parere favorevole sull’istituenda Udienza di Basilicata. Il Medina Las Torres, dunque, fu quasi costretto a riconsiderare l’idea di scorporare definitivamente la Regia Udienza di Principato Citra da quella di Basilicata, per rafforzare il controllo militare sulle coste ioniche e nel basso Tirreno, nonché quello politico e fiscale nelle aree interne.
Nel giugno 1641 il Consiglio Collaterale richiese al segretario del Regno di ottenere la documentazione relativa all’Udienza che fu istituita in Basilicata solo tra il 1642 ed il 1643. Relativamente alla prima composizione di ministri che la costituirono, a seguito di un lungo iter burocratico che terminò nel 1642, il viceré, secondo una tesi risalente ai cronisti dell’epoca e ripresa pedissequamente fino a tempi recenti, «elesse Preside don Carlo Sanseverino di Chiaromonte, assegnandogli per luogo di residenza Stigliano» una città che lo stesso viceré aveva ricevuto in dote dalla moglie Anna Carafa.
Il primo Preside della Regia Udienza di Basilicata fu, tuttavia, non il Sanseverino, avendo egli rivestito la carica successivamente e cioè negli anni 1654-1655, ma Geronimo Marques, al quale, infatti, andarono tutte le missive spedite nel 1643 dalle Segreterie del viceré, compreso “l’ordine di passare subìto a Montepeloso col Tribunale dell’Udienza”.
La Regia Udienza fu istituita in Basilicata il 17 luglio 1643 per volontà del viceré Ramiro Felipe Nuñez de Guzmàn, duca di Medina las Torres (1637-1643), già principe di Stigliano, congiuntamente con la creazione di quella dell’Abruzzo Ultra, con sede all’Aquila, per conferire un assetto più razionale alla divisione territoriale del Regno e rendervi più agile la prassi giurisdizionale..
La ricerca della sede per i nuovi uffici provinciali fu lunga ed estenuante, e si dovetterpo superare non poche difficoltà insorte soprattutto in quanto né i baroni, né le autorità ecclesiastiche tenevano molto alla presenza degli uffici provinciali, che, di fatto, avrebbero attenuato la loro autonomia o il loro arbitrio.
Si passò quindi da Stigliano a Montepeloso (Irsina), a Tolve, a Potenza, a Vignola, poi ancora a Montepeloso, a Potenza fino al 1657, a Vignola (dove la Regia Udienza si insediò due volte) e infine a Matera, città demaniale che, benché appartenesse all’estrema Terra d’Otranto, era lontana da Lecce, trovandosi lungo il confine della Basilicata, e in questa provincia aveva parte del proprio territorio cioè Timmari e la Refeccia:. Il viceré Gasparo Bragamonte y Guzman, conte di Peñeranda (1658-1664), da poco arrivato a Napoli, decise di adottare questa soluzione proprio approfittando del fatto che alcune contrade della città ricadevano in territorio lucano, così nel 1663 a Matera è attestato il Preside, Andrea Strambone.
Il Volpe così commenta la conclusione di questo lungo peregrinare:
“Finalmente il detto Vicerè Peneranda osservando che tutti cotesti luoghi offrivano i medesimi disagi; che per lo spazio di pressochè 23 anni non altro aveva fatto il Tribunale, che vagare di paese in paese, e che i monti, che compongono la Basilicata non offrivano un luogo atto ai comodi della vita, ed all’esattezza della giustizia, onde risiedere con decoro il Tribunale, si determinò sortire dalla Provincia. Si volse l’attenzione sulla Terra d’Otranto, finitima alla Basilicata, e si fissò sopra Matera in modo che una porzione del di lei territorio, cioè Timbari e la Refeccia, apparteneva alla Basilicata. Quindi il detto Viceré la smembrò da quella provincia, e l’unì a questa, costituendo di lei capitale. Perciocchè poi in tutte le partizioni del Regno, principiando da quella che si effettuò nel 1669, Matera andò annoverata in Basilicata” (F.P. VOLPE, Memorie storiche profane e religiose sulla Città di Matera, Matera 1818, p. 176).
Il governo spagnolo a Napoli, anche per la piega che nella provincia di Basilicata, avevano preso gli avvenimenti, ritenne di provvedere finalmente ad una sistemazione amministrativa meno labile del proprio potere decidendo di sganciare la provincia lucana dal legame amministrativo con la provincia di Salerno e di crearvi un capoluogo autonomo. Com’è noto la Basilicata si caratterizzò come epicentro della rivolta delle campagne, che da Napoli si era allora diffusa in tutto il territorio meridionale. L’inquietudine, covata per un lungo periodo dalle comunità locali, trovò l’occasione di esplodere negli anni della rivoluzione di Masaniello a Napoli nel 1647-48.
Veniva così a cadere un elemento di assenza e di disgregazione dello Stato centrale, che aveva direttamente sollecitato altre forme di autorità meno controllabili. L’istituzione del nuovo capoluogo era apparsa una vera necessità, sia per gli avvenimenti insurrezionali precedenti, sia perché si giudicò ormai non più governabile una provincia senza un suo centro amministrativo, giudiziario e di polizia.La necessità di una presenza di autorità e truppe a Matera si era sentita nei precedenti avvenimenti del 1647-1648, quando furono scomunicati e minacciati di carcere gli amministratori comunali che avevano interpretato quel movimento come la richiesta di una più giusta politica fiscale, ed avevano conseguentemente eliminato i privilegi fiscali a favore del clero locale, coperto da franchigie persino sulla gabella della farina.
Quando nel 1663 la scelta cadde su Matera, la città quindi cessò di far parte della provincia di Terra d’Otranto e fu aggregata alla Basilicata, divenendone il capoluogo di provincia, cioè il centro politico ed amministrativo, sede della Regia Udienza Provinciale e di tutti gli altri uffici ed acquartieramenti legati a quella nuova funzione. Ciò costituì un vantaggio notevole per la città e per il suo territorio. La Basilicata veniva sempre più ad assumere un proprio volto, senza dipendere per ogni questione dalla lontana Regia Udienza di Salerno e Matera si vedeva promossa da centro periferico della Terra d’Otranto, lontano le mille miglia da Lecce, a centro più importante di una provincia che aveva accentuato la propria autonomia e che si chiamò, da allora, provincia di Basilicata o di Matera
La città di Matera era situata ai limiti estremi della Terra d’Otranto, era sempre sfuggita al pieno controllo dell’autorità regia, e sembra credibile che anche tale stato di fatto abbia avuto un peso nella decisione. Matera, inoltre, era considerata una terra cospicua, non era sottoposta al giogo baronale, superava, per numero di abitanti, qualsiasi terra in Basilicata: contava 12 mila anime, contro le 4 mila di Ferrandina e le 3 mila e 500 di Potenza.
A ciò, si aggiunsero ragioni marcatamente militari, in relazione al ruolo bellico assunto dalle coste pugliesi durante i secoli XVI e XVII. Nella strategia generale dell’Impero, infatti, la Puglia assunse un ruolo fondamentale, soprattutto per quanto riguardava il versante adriatico, nel programma di difesa bellico contro i Turchi e contro Venezia. Già nel 1481 Matera era stata scelta come quartier generale dell’armata cristiana in vista della controffensiva organizzata per la riconquista di Otranto da parte degli Ottomani.
Adesso, dunque, non rappresentava più una roccaforte per la provincia d’Otranto, ma il centro di raccordo politico, istituzionale, economico e militare di tutta la Basilicata. La posizione geografica di Matera, “di confine” tra più province, concorse di fatto ad offrire al suo tribunale la possibilità di esercitare la “supervisione” anche su centri urbani geopoliticamente appartenenti ad altre province, ma effettivamente poco distanti dall’Udienza. Alcune città di Terra di Bari, come ad esempio, Altamura e Santeramo, rientrarono molto spesso nella giurisdizione di Matera, tanto che in più occasioni il viceré ordinò al Preside e agli Uditori materani di intervenire in quei luoghi.
La scelta del viceré non fu gradita dai materani stessi, preoccupati per i gravami inevitabili necessari per mantenere i ministri dell’Udienza. Anche le altre Università non paiono sottoscrivere la scelta del viceré.
Di queste lamentele si rende interprete presso il viceré, Giovanni Battista Brancaccio, preside a Matera nel 1665; ma non fu presa in considerazione la grazia invocata dai materani perché il sovrano conceda che l’Udienza di Basilicata non risieda più nella città di Matera e restano inascoltate le lamentele delle Università della provincia per l’inopportuna scelta della sede della loro Udienza.
Dando uno sguardo all’ordinamento amministrativo della provincia si rileva un fenomeno di congestione che deriva dall’accentramento di tutte le attività nel capoluogo di provincia.
Quando la Regia Udienza fu trasferita definitivamente a Matera, la città divenne oggettivo punto di riferimento per le 117 Università della provincia, accogliendo il Tribunale annesso ed i tanti rappresentanti degli uffici amministrativi e giudiziari che vi gravitavano intorno, Si assistette così ad un’intensificazione delle attività urbane per soddisfare nell’immediato le tante necessità che si verificarono.
Componevano la Regia Udienza un Preside militare, un Caporuota, due Uditori, un Fiscale, un Avvocato dei poveri, un Segretario, un Maestro di Camera, un Mastrodatti, i loro subalterni, e la squadra detta di campagna, composta di soldati a cavallo ed a piedi, comandati dal Capitano, dal Tenente e dai Caporali sotto gli ordini del Preside dell’Udienza.
Inizialmente la Ruota del Tribunale fu allogata in un’ala del vecchio convento S. Francesco dei “Minori Conventuali” in via delle Beccherie, mentre i sotterranei furono destinati a carceri. Ma presto i locali si rivelarono non idonei e si manifestarono episodi di evasioni dalle carceri non abbastanza sicure. Alla fine di ovviare a questi gravi inconvenienti il Preside d. Vincenzo dè Toledo Villar ed il Capo-ruota d. Aniello Fabbricatore fecero costruire le carceri nella vicina piazza; sopra di esse, nel Giudicato Vecchio, si era già trasferito il Tribunale.
Così nel 1740 la Ruota del Tribunale iniziò la nuova attività, “sotto il Presidiato del Sig. D. Nicola Rosso, l’Avvocazia Fiscale del Sig. D. Domenico Cito, e gli Uditorati de’ Sig. D. Nicola Lombardi, e D. Carlo Cirino”.
L’organizzazione dei servizi si disvelò subito complessa, essendo il Tribunale della Regia Udienza investito di giurisdizione diretta per la cognizione delle cause di appello e del potere di controllo e sorveglianza per la sicurezza pubblica dell’intera regione. Quest’ultima funzione d’istituto rappresentava il compito più arduo per la lontananza dal capoluogo di moltissimi comuni e soprattutto per le segrete intese tra i rappresentanti del barone e le Corti Locali, perché esse quasi sempre ratificavano supinamente gli innumerevoli atti di arbitrio e prepotenza.
Quella scelta, comunque, ebbe un certo peso nello sviluppo sociale e urbanistico di Matera. Dalla seconda metà del Seicento infatti la popolazione di Matera riprese ad aumentare, superando alla fine del Settecento le 13.000 anime; si costruirono nuovi enumerosi edifici, e le classi sociali si arricchirono di nuovi professionisti, che non furono più – come per il passato – espressione della classe dominante, ma si organizzarono come gruppo autonomo, con funzioni primarie e ben precise nell’ambito della vita locale: molti furono i professionisti immigrati, ad esempio, venuti a Matera per esercitarvi la professione di avvocato presso i Tribunali della Regia Udienza, in un peridodo in cui tra comuni, baroni e cittadini venne a ingaggiarsi una intensa attività giudiziaria, per le troppo numerose questioni legali sorte a proposito di usi civici, diritti particolari, usurpazioni, ecc..
L’aver stabilito una sede per l’Udienza della provincia non risolve i problemi che avevano indotto le Università della provincia a chiedere l’istituzione di un’autonoma Udienza di Basilicata. Perdurarono gli abusi ed i soprusi feudali che spinsero alla ribellione e al banditismo chi non nutriva alcuna fiducia nella giustizia regia e baronale.
Il Volpe scrive che tra il 1675 e il 1679 si contavano 3137 banditi.
Le popolazioni invocavano dalle autorità provvedimenti di rigore per riassicurare tranquillità alle loro famiglie, terrorizzate dagli innumerevoli atti di banditismo.
Questa situazione di illegalità fu denunciata a Bernardo Tanucci in occasione della sua venuta a Matera, quando accompagnò Carlo III per visitare la città, il 17 gennaio 1735. Il ministro fu informato delle inquietudini e degli inconvenienti accaduti nella città durante le feste per l’avvento al Trono di Carlo, l’Infante di Spagna.
Tanucci incaricò l’Avvocato Fiscale presso la Regia Udienza di Matera, Rodrigo Maria Gaudioso, di redigere un’esatta descrizione di questa provincia e di puntualizzare soprattutto le entrate Regie e l’attività dei Tribunali con i loro Ministri e salari di ciascuno. Il Gaudioso assolse con diligenza il mandato ed elaborò una relazione particolareggiata ponendo in risalto l’esosità dei tributi gravanti sulle popolazioni nonostante le loro misere condizioni economiche.
Alla stregua di questi risultati egli denunciò l’avidità dei baroni, i quali possedevano molti corpi feudali e fiscali che davano rendite da ducati fino a 5000, mentre nei paesi più poveri in luogo del versamento dei ducati si richiedevano i prodotti del suolo per ragion di terratico. Queste gravità mostrano a quali eccessi si trasportasse il potere baronale e quanto fossero inefficaci le misure del governo per reprimerlo.
In un’indagine della Rosiello emerge che le Università della provincia riconoscevano nel capoluogo un punto di riferimento e di salvaguardia, ma contemporaneamente avvertivano il vincolo di essere controllate da vicino e, più di ogni altra cosa, vedersi spesso imposte tasse eccessive.
E’ innegabile che, come avvenne per la maggior parte delle Province del Regno, Madrid intrecciasse numerosi e diretti rapporti di natura fiscale con la Regia Udienza di Matera. Le modalità attraverso le quali ciò avveniva erano generalmente le medesime: l’udienza era sollecitata esplicitamente ad inviare a Napoli una determinata somma, molto spesso enorme rispetto alle possibilità della provincia. Nella maggior parte dei casi si trattava – com’è noto – di denaro destinato a far fronte alle imprese militari e alle spese straordinarie dell’Impero. Sul piano più generale, soprattutto negli anni a cavallo tra i secoli XVII e XVIII il governo cittadino ebbe modo di costatare che la presenza dell’Udienza a Matera non rappresentava il temuto limite alla propria giurisdizione e che anzi, al contrario, ne garantiva il buon funzionamento, esaltandone il valore nel viceregno.
BIBLIOGRAFIA: G. INTORCIA, Problemi del governo provinciale: L’Udienza di Basilicata nel Seicento, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», CII (1984); T. PEDIO, La R. Udienza provinciale di Basilicata: dalla sua istituzione alla scelta della sua sede a Matera (1642-166), in “Bolletino Storico della Basilicata”, VII (1991), n. 7; N. DE RUGGIERI, Il Tribunale della Regia Udienza di Basilicata in Matera, appunti per uno studio, Matera, Giannatelli, 1994.