Nel 1740, nella regione del Vulture, venne ritrovato un sarcofago, di tipo attico con rappresentazione di scena mitologica proveniente precisamente da Atella, che porta sul lato principale una dedica a Metilia Torquata.
Il sarcofago, lungo 2,5 mt ca. e largo più di 1 mt per un’altezza di 1,12 mt è stato rinvenuto, insieme ad altri reperti archeologici di età romana, in località Serra di Atella all’incirca a 2,5 km a nord-est della città. La scena rappresentata è riconducibile all'epica omerica narrata da Stazio nell’Achilleide e mostra Ulisse che scopre Achille travestito da donna tra le figlie di Licomede re di Sciro, dove era stato inviato dalla madre Teti, nel tentativo di sottrarlo alla spedizione troiana.
Balza subito all’occhio che il tema decorativo indubbiamente “maschile” della rappresentazione lascia sospettare che la deposizione femminile al suo interno attestata dall'iscrizione non fosse quella inizialmente prevista al momento dell'acquisizione del manufatto o comunque da colui il quale scolpì l’opera.
Questo sarcofago, proveniente da una delle botteghe attiche che rifornivano la capitale fra II e III secolo, è senza ombra di dubbio e con il supporto di dati prosopografici riconducibile e un personaggio di notevole rango.
Non sorprende, la Metilia Torquata destinataria del monumento. Il suo nome ricorre spesso nelle epigrafi della vicina Venosa ed è stata già qualche decennio fa collegata con l'albero genealogico di Erode Attico, indicato con una certa efficacia quale “miliardario antico”, sposato con Annia Regilla (radicata nell'élite canosina e certamente con notevoli interessi fondiari nella zona), a cui, non a caso, l'imperatore Antonino Pio affida la deduzione della colonia a Canusium, a meno di 60 km a nord-est di Atella. Nell'agro della città angioina in un'area ricca di acque compresa lungo la fiumara, affluente dell'Ofanto, doveva trovarsi un praedium dei Metilii con la presumibile villa a cui doveva appartenere il sacello che includeva il sarcofago in questione.
Sulle “sorti” del manufatto dopo il ritrovamento, interessante è lo studio, condotto da Antonio Piacentini di Barile. Il geologo e storico De Lorenzo riferisce che il sarcofago di Atella, trovato nel 1740, nell’ex proprietà De Robertis, prospiciente il “tratturo regio” che portava a Venosa, inizialmente fu deposto nella chiesa di San Nicola, presso la porta cittadina verso Rionero. Durante il suo trasporto in paese su un carro agricolo il pesante blocco di marmo si «ammuccò», cioè si rovesciò di lato, finì nel ruscello Imperatore e si produsse sullo stesso una lesione visibile sul fianco sinistro. Successivamente venne portato a Barile nel palazzo del principe di Caracciolo Torella, di cui i Cittadini erano amministratori.
L’abate napoletano Domenico Tata (1723-1794), professore di fisica e matematica presso l’Università partenopea, vinto dal desiderio di «vedere la patria di Orazio Flacco», compì nella primavera del 1777, all’età di 54 anni, un viaggio nella zona del Vulture poiché invitato dal principe di Torella, duca di Lavello e signore di Barile, Giuseppe Caracciolo. Il Tata ebbe modo di ammirare e far riprodurre per primo uno schizzo del sarcofago riproponendosi di illustrarlo, una volta rientrato a Napoli.
Qualche anno dopo Richard Keppel Craven, ebbe modo di ammirare e divulgare la «sensazionale scoperta». Archeologo ed ex ciambellano della principessa del Galles, Keppel Craven, durante il suo viaggio in Basilicata effettuato nel 1832, rimase a tal punto incantato dalla bellezza dell’opera funeraria che decise di farla conoscere a tutti i cultori della materia, inviando il suo disegno all'Istitut de Correspondance Archeologique.
Anche il Lombardi fece eseguire un disegno che inviò all'Istituto, ma con qualche variante. Infine, l'archeologo e numismatico francese Raoul Rochette e successivamente lo studioso prussiano Panofka (nel 1852), uno dei direttori del museo di Berlino, scrissero delle recensioni per far conoscere in tutto il mondo il sarcofago, divenuto ora, anche un po’ di Barile.
Il Sarcofago di Atella rimase oltre un secolo in una delle stanze del palazzo signorile del principe Caracciolo «custodito più che dal guardiano del palazzo, da uno degli Antenati del Principe, che ritrattato in tela, si stava in quella medesima stanza e il cui volto severo mettea terrore in chiunque affissava in esso gli sguardi».
Nel 1889, lo storico Angelo Bozza conferma la presenza del sarcofago nell'antico palazzo baronale divenuto di proprietà della famiglia Cittadini. In seguito, su sollecitazione del Sindaco di Barile, preoccupato circa lo stato conservativo del reperto, venne poi venduto da Antonio Cittadini, nel 1897, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e classificato al n. 124325 della IX sala.
Oggi, per un anno, dopo ben 123 anni, è tornato a casa, tra i sette colli del Vulture, ed è ospitato in via del tutto eccezionale all’interno del Museo Archeologico Nazionale del Melfese nei locali al piano terra del castello di Melfi.