giovedì 26 luglio 2018

Nicola Fiorentino. 3. Il proclama "Ai giovani cittadini studiosi"

Tra gli scritti più importanti di Nicola Fiorentino è da annoverare il proclama A’ giovani cittadini studiosi. Il proclama di Fiorentino è uno dei tanti, pubblicati nel pentamestre repubblicano, ed erano utilizzati come strumenti per allargare il consenso, cioè l’accettazione della rivoluzione come strumento per potersi liberare dalla tirannia, tramite l’istruzione. Il consenso e l’istruzione erano direttamente dipendenti l’uno dall’altro. Perché la Repubblica potesse essere accettata da tutti occorreva che la popolazione parlasse la stessa lingua dei rivoluzionari. L’istruzione doveva, quindi, essere secondo i principi illuministici pubblica, libera e gratuita; lo Stato e non più la Chiesa era il solo organismo in grado di assicurare una istruzione allargata a tutti gli strati della società, con il compito specifico di amalgamare la popolazione e preparare i nuovi quadri dirigenti. 
Materia essenziale dell’insegnamento doveva essere la storia, quella del passato dei greci e dei latini ma anche, la storia relativa al territorio di Napoli e quella relativa ai testi sacri. Gli episodi storici dovevano rappresentare un esempio da emulare, per educare i giovani al rispetto degli altri, all’identità nazionale e al rispetto della Patria.
un’accorata esortazione alle giovani generazioni affinché i valori di libertà, di uguaglianza e di fraternità così duramente conquistati con la Rivoluzione, non siano vanificati dall’indifferenza e dall’egoismo. I destinatari erano, quindi, proprio i giovani, come egli stesso spiega: i fanciulli, dice Fiorentino, difficilmente dimenticano quanto hanno appreso in tenera età rispetto agli anziani, la cui memoria è più labile. Egli cerca, quindi, di inculcare quei principi di democrazia, di Stato, di uguaglianza fra i cittadini, che, assimilati in tenera età, entrano a far parte di un bagaglio culturale che li accompagnerà per tutta la vita. 
Perché uno Stato possa reggersi, dice Fiorentino, deve essere amministrato da persone che antepongano al proprio bene quello della collettività. La monarchia, secondo Fiorentino, ha fallito nel momento in cui ha oberato il popolo con imposizioni fiscali, ha sperperato le risorse dello Stato per esaudire i propri capricci e i propri vizi e, soprattutto, quando si è scagliata contro la Francia, pur di conservare il proprio potere. Ormai l’unica strada, per Fiorentino, era la democrazia, il governo del popolo; con l’instaurazione della Repubblica, naturale conseguenza della democrazia, ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo per il bene della collettività. 
Contro la corruzione, che potrebbe avvelenare anche la Repubblica, Fiorentino pone come soluzione gli esempi di virtù del passato, che appartenevano alla tradizione greca e che Napoli ben conosceva, traendo le sue origini proprio dalla Grecia. La propaganda giacobina utilizzava, infatti, proprio personaggi simbolici e positivi dell’antichità, per raccogliere il consenso presso la popolazione. 

Se la corruzione costituisce un pericolo per la Repubblica, nondimeno lo è il lusso. Si raccomanda, quindi, la conduzione di una vita austera, spesa per il bene dei fratelli e libera da qualsiasi altra sovrastruttura: «la temperanza e la frugalità sono le doti necessarie, per conservarsi la Democrazia», dice Fiorentino. L’ultimo appello è contro l’Egoismo che, come Vertumno, può assumere anche le false sembianze della giustizia (Astrea) - ancora un richiamo all’antico. L’esortazione è quella di leggere proprio gli autori antichi da cui trarre ispirazione per le proposte di rinnovamento e per soddisfare le necessità della popolazione. 

giovedì 19 luglio 2018

Nicola Fiorentino. 2. Le "Riflessioni sul Regno di Napoli"

Le Riflessioni sul Regno di Napoli furono composte da Fiorentino nel 1794, periodo in cui egli era ancora legato alla monarchia. La dedicò, infatti, a Tommaso D’Avalos De Aquino, un personaggio molto vicino al re Ferdinando IV. In quest’ opera erano affrontati i problemi suggerendo le possibili soluzioni che un sovrano illuminato era chiamato ad affrontare: la questione dell’educazione scolastica, il feudalesimo e quindi lo sviluppo dell’agricoltura, l’amministrazione della giustizia, l’incremento del commercio . 
 Il provvedimento del 1224 di Federico II di fare dell’Università di Napoli il centro propulsore della cultura nel Regno di Napoli portò con il passare del tempo ad una graduale decadenza della stessa Università. Sempre più spesso la formazione scolastica e quindi culturale venne affidata ai Collegi dei Gesuiti, fino a quando nel 1767 , in seguito alla soppressione dell’Ordine dei Gesuiti da parte di Ferdinando IV, su suggerimento di Tanucci, molte scuole vennero chiuse. 
L’Illuminismo portò un nuovo modo di concepire l’educazione scolastica e l’insegnamento, che non doveva consistere in una mera e pedissequa quantità di nozioni da impartire e da imparare, ma nella formazione di una mente critica, svincolata soprattutto dalla religione. Di notevole importanza era, poi ritenuta la diffusione dell’educazione scolastica tra gli strati più bassi della popolazione. Infatti venne avviata da Carlo di Borbone prima e da Ferdinando IV poi una politica che favorisse una più ampia diffusione dell’educazione scolastica sul territorio. 
Nicola Fiorentino suggerisce che gli scopi più importanti dell’insegnamento fossero quelli di infondere i concetti di giustizia e di umanità negli alunni e, soprattutto, quello di fatica attraverso la quale si raggiunge il benessere sia fisico che morale. Un’altra necessità era quella di introdurre le conoscenze agrarie nelle scuole di tutti i livelli e nelle aperture di Accademie agrarie dove insegnare le tecniche più avanzate dell’agricoltura, che costituiva il motore dell’economia del Regno.
Fiorentino, legato alle teorie fisiocratiche di Quesnay, poneva al centro delle attività economiche dell’uomo l’agricoltura. Molti, infatti, erano gli ostacoli che non ne permettevano lo sviluppo pieno: innanzitutto un sistema feudale che soffocava la libera iniziativa e, in secondo luogo, la dottrina mercantilistica, su cui era fondata da qualche secolo l’economia, avendo oscurato l’agricoltura. 
Secondo Fiorentino l’unica ricchezza era costituita dalla terra ma, per rendere produttivo questo bene, occorrevano dei seri provvedimenti: la limitazione del fedecommesso e dei diritti feudali, la distribuzione di terre da dare in affitto ai contadini per un periodo di almeno dieci anni e un allargamento della partecipazione politica a quei proprietari o fittuari le cui rendite erano pari ad almeno venti ducati. Il voto censitario secondo Fiorentino avrebbe stimolato una maggiore partecipazione alla vita politica e avrebbe favorito più investimenti nell’agricoltura. Questi provvedimenti, insieme all’introduzione di bonifiche, di canali d’irrigazione, di nuove tecniche di coltivazione e di nuovi strumenti agricoli, avrebbero determinato il surplus , vera ricchezza della nazione destinato ad essere venduto con un notevole aumento della moneta. 
La ricchezza quindi, per Fiorentino, non era rappresentata dalle riserve monetarie o di materiali preziosi, come per la teoria mercantilistica, ma dalla sovrabbondanza dei prodotti dell’agricoltura che davano luogo così al commercio. Una diminuzione poi, dei dazi doganali avrebbe dovuto abbassare il costo, favorendo una maggiore circolazione dei prodotti. Un altro passo fondamentale delle Riflessioni sul Regno di Napoli, riguarda l’amministrazione della Giustizia, come valore etico, è un diritto irrinunciabile degli uomini. I suggerimenti di Nicola Fiorentino erano molto semplici: dalle leggi chiare e accessibili anche per gli strati della popolazione meno acculturata alla decentramento dei tribunali nelle province, uniti alla presenza di un maggior numero di magistrati sul territorio delle province.

giovedì 5 luglio 2018

Storici Lucani. 12. Domenico Appio da Matera (Veronica Robertini)

Dottore in utroque jure e patrizio materano, Appio apparteneva ad una notevole famiglia del patriziato materano, documentata nella città murgiana sin dal XIV secolo, «nell'antica terra d'Ugiano, e dopochè questa fu rovinata, passava in Ferrandina, poco da essa distante,e successivamente in  Grottole ed in Matera, ove da dugendo anni persiste e venne aggregata alla prima piazza de' Nobili». Suo padre Claudio, avvocato ed accademico, avrebbe scritto un Juris promptuarium al quale contribuì anche Domenico, che in seguito sposò Beatrice Cornice, dalla quale ebbe un figlio, Giuseppe.
Tra le numerose opere scritte dall'Appio, oltre alla Cronologia historica della città di Matera (1701), si dedicò alla retorica, con una Selva erudita utilissima ai predicatori et ad ogni amatore delle belle lettere (scritta a Matera negli anni 1699-1702 e posseduta in forma manoscritta dalla famiglia Gattini), oltre ad un Repertorium iuris (1702). Il manoscritto della Cronologia di Appio si presenta con una prima parte riguardante le «Riflessioni politiche e morali sopra le vite degli arcivescovi, e conti di Matera», raccolte da lui stesso dai manoscritti del frate Antonino Ulmo, suo zio; la seconda parte, che è preceduta dalla vita di sant'Eustachio, protettore di Matera, è la vera e propria «Cronologia istorica della città di Matera tradotta da varie scritture antiche», come egli stesso confermava alla fine della prima parte:

Sin qui ho trovato da suoi manuscritti, atteso gl'altri si sono dispersi dalla morte di D. P. Bacelliero Fr. Antonino Ulmo mio zio. Io D. Domenico Appio ho scritto come sopra manu propria […] seguitando appresso una cronologia istorica sopra la città di Matera mia Patria, con molte curiose notizie raccolte me da varie scritture antiche-- e prima la vita del glorioso S. Martire Eustachio protettore della città di Matera cronologia.

La prima sezione si presenta, come dice il titolo stesso, con una serie di riflessioni di tipo metodologico; infatti è possibile constatarlo sin dall'inizio dell'opera, in cui è presente un pensiero riguardante Matera, nel quale Appio metteva in evidenza la mancanza di fonti necessarie a una migliore autorappresentazione della comunità. Sono, altresì, caratteristiche dell'Appio le riflessioni morali, come, ad esempio, nella trattazione degli scontri di successione dei conti normanni.
È possibile affermare che l'opera di Appio, tralasciando la prima parte, rientri pienamente nel genere della storiografia cittadina settecentesca, situandosi tra descrizione, autorappresentazione e storia. Egli, infatti, per ricostruire l'identità comunitaria, si avvalse dei metodi classici quali il racconto delle origini, il santo patrono, la descrizione della città, i personaggi illustri. In effetti, prima della cronologia propriamente detta, si situa l'agiografia del «glorioso S. Eustachio» protettore di Matera, in cui viene descritta la sua vita, iniziando dalle apparizioni che egli ricevette mentre cacciava, la sua conversione e infine il martirio. La cronologia, invece, è suddivisa in tre libri e a sua volta in capitoli: nel primo libro, si tratta di origine e descrizione di Matera (ff. 45r-62v) e, dopo che, nel secondo, vengono propriamente narrati eventi storici del Regno nei quali era coinvolta Matera (ff. 62v-74r), il terzo libro chiudeva l'opera con una carrellata di personaggi illustri (ff. 74r-113r).