Tra gli scritti più importanti di Nicola Fiorentino è da annoverare il proclama A’ giovani cittadini studiosi. Il proclama di Fiorentino è uno dei tanti, pubblicati nel pentamestre repubblicano, ed erano utilizzati come strumenti per allargare il consenso, cioè l’accettazione della rivoluzione come strumento per potersi liberare dalla tirannia, tramite l’istruzione. Il consenso e l’istruzione erano direttamente dipendenti l’uno dall’altro. Perché la Repubblica potesse essere accettata da tutti occorreva che la popolazione parlasse la stessa lingua dei rivoluzionari. L’istruzione doveva, quindi, essere secondo i principi illuministici pubblica, libera e gratuita; lo Stato e non più la Chiesa era il solo organismo in grado di assicurare una istruzione allargata a tutti gli strati della società, con il compito specifico di amalgamare la popolazione e preparare i nuovi quadri dirigenti.
Materia essenziale dell’insegnamento doveva essere la storia, quella del passato dei greci e dei latini ma anche, la storia relativa al territorio di Napoli e quella relativa ai testi sacri. Gli episodi storici dovevano rappresentare un esempio da emulare, per educare i giovani al rispetto degli altri, all’identità nazionale e al rispetto della Patria.
un’accorata esortazione alle giovani generazioni affinché i valori di libertà, di uguaglianza e di fraternità così duramente conquistati con la Rivoluzione, non siano vanificati dall’indifferenza e dall’egoismo. I destinatari erano, quindi, proprio i giovani, come egli stesso spiega: i fanciulli, dice Fiorentino, difficilmente dimenticano quanto hanno appreso in tenera età rispetto agli anziani, la cui memoria è più labile. Egli cerca, quindi, di inculcare quei principi di democrazia, di Stato, di uguaglianza fra i cittadini, che, assimilati in tenera età, entrano a far parte di un bagaglio culturale che li accompagnerà per tutta la vita.
Perché uno Stato possa reggersi, dice Fiorentino, deve essere amministrato da persone che antepongano al proprio bene quello della collettività. La monarchia, secondo Fiorentino, ha fallito nel momento in cui ha oberato il popolo con imposizioni fiscali, ha sperperato le risorse dello Stato per esaudire i propri capricci e i propri vizi e, soprattutto, quando si è scagliata contro la Francia, pur di conservare il proprio potere. Ormai l’unica strada, per Fiorentino, era la democrazia, il governo del popolo; con l’instaurazione della Repubblica, naturale conseguenza della democrazia, ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo per il bene della collettività.
Contro la corruzione, che potrebbe avvelenare anche la Repubblica, Fiorentino pone come soluzione gli esempi di virtù del passato, che appartenevano alla tradizione greca e che Napoli ben conosceva, traendo le sue origini proprio dalla Grecia. La propaganda giacobina utilizzava, infatti, proprio personaggi simbolici e positivi dell’antichità, per raccogliere il consenso presso la popolazione.
Se la corruzione costituisce un pericolo per la Repubblica, nondimeno lo è il lusso. Si raccomanda, quindi, la conduzione di una vita austera, spesa per il bene dei fratelli e libera da qualsiasi altra sovrastruttura: «la temperanza e la frugalità sono le doti necessarie, per conservarsi la Democrazia», dice Fiorentino. L’ultimo appello è contro l’Egoismo che, come Vertumno, può assumere anche le false sembianze della giustizia (Astrea) - ancora un richiamo all’antico. L’esortazione è quella di leggere proprio gli autori antichi da cui trarre ispirazione per le proposte di rinnovamento e per soddisfare le necessità della popolazione.
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