giovedì 8 agosto 2024

Il Mezzogiorno moderno. 28. L'abolizione della feudalità nel Regno di Napoli (Antonio Cecere)

Già durante il 1799 repubblicano si era pensato all'abolizione della feudalità nell'intero Mezzogiorno, c due progetti di legge che si fronteggiarono: il primo radicale, favorevole all’abolizione assoluta e integrale sia dei titoli che delle terre dei baroni; il secondo, moderato, favorevole alla restituzione dei titoli feudali ma non delle terre, che si proponeva di dividere i beni allodiali soggetti alle imposte ordinarie gravanti sulle proprietà private. Alla fine a prevalere fu un terzo progetto definito di mediazione, ma, in realtà, più moderato del secondo. Il testo di legge non divenne subito operativo perché il generale francese McDonald si riservò di concedere la ratifica solo dopo aver avuto chiarimenti dal comitato di legislazione. Apportate le dovute modifiche, il testo venne approvato il 25 aprile e pubblicato il giorno successivo. 

«La feudalità era il primo anello della società a dover essere spezzato per dare il via ad un mutamento nelle forme di potere», sosteneva Gaetano Filangieri opponendosi a coloro che giustificavano le funzioni giudiziarie e politiche del baronaggio come unica sicurezza contro il dispotismo. 

Fu, tuttavia, con Giuseppe Bonaparte che l’abolizione del sistema feudale, premessa necessaria a rendere uniformi l’amministrazione dei comuni e le riforme finanziarie e fiscali, divenne legge, emanata il 2 agosto 1806 (Bullettino delle leggi del Regno di Napoli 1806, Stamperia della segreteria di Stato, Napoli, 1813, Legge n. 130 del 02.08.1806, pp. 257-261).

Essa determinò la caduta di ogni distinzione tra comuni soggetti alla giurisdizione regia e quelli soggetti alla giurisdizione feudale, mentre tutti i cittadini e tutte le proprietà erano uguali di fronte alla legge; da ciò l’introduzione dell’imposta unica. Perché questa potesse essere applicata, però, necessitava di un catasto fondiario attendibile di cui non si disponeva; molti furono gli abusi e la stessa imposta unica non potè essere mantenuta. Di contro, furono reintrodotte molte altre contribuzioni per far fronte alle spese dell’esercito e dell’amministrazione.

Tale provvedimento rispondeva ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture socio-politiche, anche per il mutato clima intellettuale, che mal tollerava i diritti e le immunità accordati ai rappresentanti di una istituzione antiquata e oppressiva. Questa legge ebbe fondamentale importanza nel Mezzogiorno, stretto nella morsa della feudalità più di ogni altro; la sua rilevanza crebbe ancor di più nella provincia di Basilicata, dilaniata da baroni assenti ed esigenti oltre che possessori, tra beni burgensatici e feudali, della quasi totalità delle terre adibite a pascolo e coltura. Tali leggi non colpivano solo i nobili feudatari; infatti, con il seguire dei provvedimenti anche il clero venne fortemente colpito. L’azione del decreto non fu rapida, gli ostacoli furono moltissimi perché oltre all’opposizione dei baroni e del clero si doveva affrontare un situazione demaniale irregolare, sia a livello di differenze territoriali, quanto, e di più, a livello di irregolarità amministrative. 

La ricognizione dei beni demaniali dovette affrontare numerosi ostacoli che andavano dalle terre occupate con la forza, fino alle richieste delle popolazioni locali, che si appellavano al principio dell’ubi feuda, ibi demania, che trovarono la loro naturale evoluzione nella concessione degli usi civici delle terre. Oltretutto i contenziosi tra i Baroni e le vecchie Università aumentarono a dismisura, obbligando l’amministrazione centrale all’istituzione di una magistratura ad hoc, la commissione feudale. 

Il processo di “defeudalizzazione” sarebbe stato tutt’altro che semplice, come evidenziato dalle questioni demaniali irrisolte che si trascineranno per anni, portando spesso a soluzioni dai contorni poco chiari. E alla fine, anche se sottoposta ad un’evoluzione che ne aveva profondamente mutato i caratteri, la feudalità continuò ad esistere nel vecchio regime.



Personaggi. 33b. Mario Del Treppo, gigante tra Medioevo e Modernità

Si è spento il 7 agosto 2024, all'età di 95 anni, lo Storico italiano Mario Del Treppo, nato a Pola il 29 marzo 1929. Allievo di Ernesto Pontieri, fu professore universitario dal 1968, insegnando storia medievale alla Federico II di Napoli (in cui si era laureato nel 1952), dove fu professore emerito.

Del Treppo era coetaneo di Giuseppe Galasso e con il collega e amico aveva condiviso discussioni intellettuali e percorsi accademici: i due si erano conosciuti proprio sui banchi universitari e li legava una profonda stima reciproca, fatta talvolta anche di divergenze. 

Socio nazionale dei Lincei; accademico corrispondente della Real Academia de Buenas Letras de Barcelona (dal 1973) e socio ordinario della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Napoli e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, si è occupato prevalentemente di storia economica dell'Italia meridionale nel periodo aragonese. 

Mario Del Treppo partecipò con entusiasmo alla fondazione della rivista “Nord e Sud” insieme con Francesco Compagna e Giuseppe Galasso, ma indirizzò il suo impegno etico e civile soprattutto verso l’insegnamento e la ricerca, nel segno dell’innovazione metodologica e della “libertà della memoria” (così si intitola un suo celebre saggio) rispetto a qualsiasi condizionamento interiore ed esteriore nello studio del passato

Tra i suoi numerosi studi sono da ricordare in particolare: I mercanti catalani e l'espansione della corona aragonese nel secolo XV (1967); Amalfi medioevale (1977, in collaborazione con Alfonso Leone); il saggio Il re e il banchiere. Strumenti e processi di razionalizzazione dello Stato aragonese di Napoli (1986); Prospettive mediterranee della politica economica di Federico II (1996); Storiografia del Mezzogiorno (2007).

domenica 4 agosto 2024

Personaggi. 33a. Mario Trufelli, storia del Giornalismo Lucano

Nato a Tricarico il 5 luglio del 1929, Mario Trufelli era di origine marchigiana. A Tricarico la sua formazione viene influenzata dalla stretta conoscenza con tre grandi uomini del luogo, Monsignor Delle Nocche, Rocco Scotellaro e Rocco Mazzarone.

Lasciata Tricarico, dopo alcuni anni trascorsi alla redazione del Popolo e dell’Avvenire di Roma,  fu chiamato dalla RAI per organizzare la redazione della nuova sede della Basilicata, nata nel 1960. Dal 1961, dagli studi della RAI di viale della Pineta, condusse il telegiornale della Basilicata delle ore 14.00. Il 23 novembre 1980, in diretta radiofonica, annunciò il sisma, informando l’Italia intera della gravità dell’evento soprattutto, nei giorni successivi, con reportage, tra i quali famoso quello a Balvano, per i cui morti scrisse la celebre Lamento per Rosetta.

Trufelli fu responsabile della sede Rai Basilicata dal 1969 al 1994, collaboratore della trasmissione Rai Check-Up, autore di numerosi reportage all’estero, oltre che Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata e Amministratore unico dell’Apt Basilicata. 

Importantissima anche la sua attività letteraria. La produzione poetica raccolta in Prova d’addio (Scheiwiller, 1991), ha vinto il superpremio Ennio Flaiano e il Regium Julii; suoi racconti sono in Lo specchio del comò (Alfredo Guida Editore, 1990); prose di viaggio sono raccolte nel volume L’ombra di Barone. Viaggio in Lucania (Osanna Edizioni, 2003); da ricordare, infine, il “romanzo” Quando i galli si davano voce (Edizioni della Cometa, 2013). Ha pubblicato anche Amore di Lucania, in collaborazione con G. Appella (Edizioni della Cometa, 1983) e L’erbavento (Rocco Curto Editore, 1997), rispettivamente serie d’interventi sulla cultura lucana e antologia di scritti vari.

Mario Trufelli muore a 95 anni, nella sua casa di Potenza, il 3 agosto 2024.