giovedì 30 novembre 2023

Il Mezzogiorno moderno. 25. L’editoria di Stato nel Decennio francese

La breve stagione del Decennio francese segna, per Napoli, la cruciale transizione dall'antico regime tipografico alla più avanzata condizione del lavoro editoriale nel quadro delle generali trasformazioni operate dai Napoleonidi. Il tema editoriale mostra, infatti, ulteriormente l’attenzione dei Napoleonidi ai linguaggi ed alle forme comunicative con l’istituzione di una vera e propria industria editoriale di Stato, tendente alla specializzazione grazie alla divisione di compiti tra privati appaltatori e Stamperia Reale e mirante in primis ad allargare il pubblico, formando quell’opinione pubblica mancata nell’esperimento repubblicano del 1799 a Napoli. 

Proprio l’esempio della vera e propria rinascita della Stamperia Reale, rilanciata da Giuseppe Bonaparte premettendovi a capo Francesco Daniele, consente di mostrare il rilancio di un organismo editoriale fondamentale per l’immagine dei sovrani presso un più vasto pubblico.  

Nato, nel 1740, presso la piccola frazione di San Clemente di Caserta, Daniele si trasferì a Napoli per intraprendere gli studi universitari. Singolari furono i suoi interessi per la filosofia, l’oratoria e la giurisprudenza, ma ancora più importanti furono le sue frequentazioni con noti intellettuali del tempo, come Antonio Genovesi, Antonio Cirillo e Matteo Egizio. I suoi interessi letterati iniziarono dopo aver curato, nel 1762, un’edizione delle opere di Antonio Telesio, zio del più famoso Bernardino. Il successo ottenuto gli procurò non pochi consensi intellettuali, tanto da essere incaricato, poco dopo, come responsabile della pubblicazione di alcuni componimenti poetici di Marco Mondo, padre di Domenico, pittore di corte dei Borbone. Dopo una breve esperienza come avvocato, fece ritorno presso la casa natale per occuparsi di alcune proprietà familiari. Questa nuova responsabilità gli diede, però, la possibilità di portare avanti i suoi studi classici, acquisendo specifici documenti e oggetti antichi provenienti dal territorio casertano. Contestualmente, diede vita a una ricca biblioteca. Verso la fine del secolo produsse una serie di libri, di cui alcuni dedicati alla trattazione critica della storia della città di Caserta. La fortuna ottenuta da tali lavori gli venne altresì riconosciuta dal marchese Domenico Caracciolo, che lo riconvocò a Napoli per fargli assumere l’incarico di Regio Istoriografo.


Successivamente entrò a far parte dell’Accademia della Crusca, ma soprattutto divenne censore della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere. Ancora, gli venne conferito l’onere di sistemare la prestigiosa raccolta di volumi della Biblioteca Farnese e venne, inoltre, associato all’Accademia Ercolanense, sodalizio con cui doveva realizzare dei volumi dedicati alle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei. Con lo scoppio della rivoluzione del 1799, fece ritorno a San Clemente, dove si impegnò nello studio delle monete in uso nell’antica Capua.

Durante l’epoca napoleonica, gli vennero restituite tutte le cariche precedenti e, in particolare, venne nominato segretario perpetuo della Nuova Accademia di Storia e di Antichità, ma anche, come detto, direttore della Stamperia Reale. La sua fama giunse pure all’estero, tanto da essere associato alla Royal Society di Londra e, qualche tempo dopo, all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.

Dalla stampa del Codice di Commercio agli Herculanensium Volumina, Daniele riavviò con forza l’attività editoriale della Reale, nel contempo servendo egregiamente agli scopi dei Napoleonidi. Tale ripresa, stimolata ai massimi livelli da Gioacchino Murat tra il 1810 ed il 1811, portò la Stamperia Reale a trasformarsi in Stamperia Reale di Arti e Lettere, lasciando il «Bullettino delle Leggi del Regno di Napoli» e vari testi di tipo giuridico alla Stamperia della Segreteria di Stato, mentre diversi, capaci privati venivano incaricati di stampare manuali e materiale didattico per l’Accademia della Nunziatella.

Un progetto, dunque, di attivo e sostanziale coinvolgimento di intelligencja e risorse socio-imprenditoriali nella costruzione del consenso e di classi altamente professionalizzate, che ebbe ripercussioni anche nei territori napoleonici settentrionali.


giovedì 23 novembre 2023

Potenza. 7. Acque pubbliche e rete fognaria a Potenza (Sabrina Cieri-Margherita Scavone)

Sabrina Cieri e Margherita Scavone sono due studentesse potentine del Liceo delle Scienze Umane "Rosa-Gianturco" di cui siamo lieti, in occasione del 43mo anniversario del terremoto irpino-lucano del 23 novembre 1980, di ospitare un breve post sulla questione idrica a Potenza tra Età moderna e contemporanea (NDR).


Al momento dell'elevazione a capoluogo di provincia, Potenza era servita da un antico acquedotto «a pelo libero che portava l'acqua potabile dalle sorgenti site in località Botte a circa tre chilometri dall'abitato, alla fontana pubblica dell'«Ancilla vecchia», dopo aver attraversato i «piani di Santa Maria». L'acquedotto correva in parte sotto terreni agricoli, in parte lungo strade pubbliche, costantemente esposto a danneggiamenti e manomissioni; piuttosto che ripristinare il vecchio impianto, ci si pose in un primo tempo l'obiettivo ambizioso di portare l'acqua direttamente in città con un nuovo acquedotto forzato in «tubi di pietra»; nel 1811 il Comune aggiudicò un appalto che prevedeva non solo di riattivare l'Ancilla vecchia, ma di raggiungere l'abitato entro breve tempo. I lavori terminarono nel 1813 quando fu completato il tratto dall'Epitaffio alla Croce di S. Maria. Nell'ultimo tratto si continuò ad utilizzare il vecchio acquedotto di fabbrica. Nel 1814 si decise il prolungamento dell'impianto verso la sorgente, ma dopo pochi anni di utilizzo, ai primi del 1822, l'acqua che arrivava alla fontana pubblica era nuovamente scarsa e torbida: ciò era in massima parte dovuto a carenze tecniche.

Nel 1831 il Decurionato decise di realizzare un nuovo acquedotto, rivelatosi insufficiente; ma i lavori furono sospesi nel 44 poiché si voleva realizzare la possibilità di far giungere l'acqua più vicino all'abitato. Tale compito fu affidato al Brancucci: secondo l'ingegnere si poteva procedere oltre la vecchia fontana, facendo seguire all'acquedotto un percorso ad anello attorno all'abitato, a mezza costa, in modo da poter impiantare altre sette fontane pubbliche nelle vicinanze della città e da essa grosso modo equidistanti, Ma il Decurionato si limitò ad approvare il completamento dell'acquedotto fino all'Ancilla vecchia, allo scopo di riattivarla al più presto. Tuttavia quest’ultima venne demolita e la nuova fontana venne ricostruita sullo stesso sito e con il medesimo orientamento della precedente, ma a quota più elevata per renderla meglio visibile dalla provinciale, ed entrò in funzione nel corso del 1848.

La fontana pubblica, oggi non più esistente, è citata nell'elenco delle strade comunali del 1871 come termine delle due vie di S. Gerardo e S. Giovanni, ed ancora riportata nella mappa catastale di impianto.

Nel 1888 la Società Italiana per Condotte d'acqua realizzerà, su progetto dell'ingegnere Giorgio De Vincentiis, un impianto capace di sfruttare, oltre alle antiche sorgenti della Botte e della Torretta, quelle di Montocchino, di Val dell'Emma e di S. Giovanni.

(FONTE: A. BUCCARO (a cura di), Le città nella storia d'Italia: Potenza, Roma-Bari, Laterza, 1999. 

Prima della realizzazione, fra il 1859 e il '63, del condotto fognario lungo via Pretoria, la città non era del tutto priva di sistemi di smaltimento delle acque piovane e dei liquami tanto che i rifiuti venivano gettati direttamente nelle strade. Solo negli anni di amministrazione del duca della Verdura il tema igienico-sanitario divenne oggetto costante di attenzione e di iniziative concrete. La questione fu ripresa soltanto dieci anni dopo, allorché il 15 marzo 1856 l'ingegnere Salvatores, direttore delle opere pubbliche provinciali, trasmise all'intendente Ciccarelli il getto di un «basolato lungo la via Pretoria in questo Capoluogo, e del condotto ad essa sottoposto» in esecuzione di un incarico dell'anno precedente: si sarebbe così rafforzato il ruolo del l'arteria quale asse stradale moderno ed infrastrutturato, dotato da un diverso carattere funzionale ed ambientale rispetto al resto della maglia viaria urbana. I lavori, intrapresi nel '59, furono portati a termine nel '63, nel corso dell'intervento fu realizzata, per la prima volta, l'integrale basolatura di via Pretoria, da Portasalza all'ospedale S. Carlo.

Si dovrà attendere il nuovo secolo e il regime fascista, comunque, per la creazione di un'efficiente rete di servizio all’interno del centro urbano.

mercoledì 15 novembre 2023

Paesi lucani. 66. I caduti di Bella della Grande Guerra (Simone Pignataro)

Simone Pignataro, di Bella, è uno studente che frequenta attualmente la classe Quinta del Liceo delle Scienze Umane "Rosa-Gianturco" di Potenza, indirizzo Economico-Sociale. Siamo lieti e onorati di pubblicare la sua ricerca relativa ai caduti della Grande Guerra, effettuata con rigore e metodo storico. (NDR)

Caduti e decorati

Durante la Prima Guerra Mondiale, Bella, come molte altre città italiane, fornì contingenti di soldati che si unirono all'esercito italiano per combattere sul fronte alpino e sul fronte italiano. Questi soldati affrontarono condizioni estremamente difficili in montagna, tra gelo e cattive condizioni meteorologiche. La Prima Guerra Mondiale ebbe un impatto significativo sulla vita dei cittadini di Bella, portando perdite umane e cambiamenti nella società e nell'economia della città. 

La partecipazione di Bella alla Grande Guerra è un aspetto importante della sua storia, che merita di essere studiato e commemorato come parte del patrimonio della città.


Il Parco della Rimembranza

“In un piccolo prato, in cui fioriva e fiorisce, simbolo di purezza, di amore e di gratitudine, la margherita, a cento metri dalla chiesetta della Madonna delle Grazie, … a pochi metri dalle prime case abitate, una meravigliosa opera di poesia è sorta, che si chiama Parco della Rimembranza, e trentasette alberi lo compongono, e ciascuno di essi porta un nome”. Il Parco della Rimembranza di Bella fu realizzato grazie all’opera del comitato per il Parco presieduto dall’insegnante Franco Lorenzo, che ricoprì anche la carica di presidente del Parco stesso. Furono piantati 37 alberi di olmo, disposti su un rettangolo di ottanta metri per venticinque. Gli alberi furono concessi gratuitamente dalla Reale commissione straordinaria per la Provincia di Potenza e prelevati dalle scarpate stradali. Il Parco fu inaugurato con la benedizione del Vicario generale Mons. Giovanni Vizzini l’8 aprile 1923 e nel corso della cerimonia furono solenni e carichi di poesia i discorsi del presidente Franco Lorenzo, del signor Vito Amoroso, dell’avvocato Lorenzo Lanzetta e del sindaco di Bella Giuseppe Falco. Documenti relativi agli anni dal 1929 al 1932 testimoniano l’attenzione dell’Amministrazione comunale per la manutenzione e custodia del Parco.  



(Fonte: Cento anni di vita. Foto album della  Comunità Bellese  dal 1881 al 1980
 curato da Mario Martone).   

Attualmente gli alberi votivi sono stati tutti abbattuti per lasciare posto ad un’area giochi, dequalificando il Parco della Rimembranza a Villa comunale, nonostante la sua memoria sia custodita nei cuori di molti cittadini bellesi.  
Sicché il Parco della Rimembranza di Bella è stato trasformato in villa comunale, le cui ultime risistemazioni hanno completamente stravolto l'immagine storica del parco. Oggi la villa si presenta come un'ampia area pavimentata, con delle aree verdi coltivate a prato e con alberi a chioma e a tronco medio. Sul prato è stata recentemente realizzata un’area di gioco, dotata di pavimentazione in gomma colata antitrauma, circondata lungo tutto il perimetro da una staccionata in legno. Ogni gioco è collocato sull’area nel rispetto dei parametri stabiliti in materia di sicurezza, in conformità alla normativa UNI EN 1176. Nel progetto, recentemente inaugurato il 1° agosto 2018, si è fatta particolare attenzione ai dettagli, quali la varietà dei colori o la presenza di giochi interattivi per stimolare i piccoli fruitori. Esso è stato concepito come un parco accessibile a tutti, che favorisce l’interazione e l’integrazione dei bambini. Tutte le strutture installate in villa sono concepite e realizzate nel rispetto dell’ambiente e fatte per durare nel tempo, con un notevole vantaggio in termini economici. Oltre all'area verde attrezzata vi è anche un’ampia area lastricata, dotata di muretti in pietra e illuminazione a raso.

Lapide commemorativa


La lapide rettangolare marmorea termina nella sua parte superiore a semicerchio e presenta lungo tutto il suo perimetro una sottile cornice a rilievo. L’opera è caratterizzata in alto dall’ iscrizione dedicatoria a rilievo, mentre subito sotto è l’elenco dei caduti e dispersi della città di Bella nel corso della Grande Guerra.
La città possiede un ulteriore monumento ai caduti costituito da una stele di piccole dimensioni in marmo dedicata ai caduti di tutte le guerre realizzata negli anni '60 del XX secolo.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Mario Martone, Storia della Comunità di Bella, s.l., s.e., vol. 8. STORIA CIVILE, pp. 261-263. 
Mario Martone, Storia della Comunità di Bella, s.l., s.e., vol.9. AMMINISTRATORI COMUNALI E LORO OPERATO, pp. 166 e 171. 
Franco Noviello, Bella nella storia: territorio e società, Muro Lucano, Comunità Montana Marmo Platano, 1983.  
Ufficio Anagrafe del Comune di Bella 
https://catalogo.beniculturali.it/ 
https://www.cadutigrandeguerra.it/ 



 
 
 
 
 
 
 
 
 



giovedì 9 novembre 2023

La cultura meridionale. 4. Fra tradizione e modernizzazione: il “Saggio storico” di Giuseppe Maria Arrighi (1809-1813)

Il Saggio Storico per servire di studio alle rivoluzioni politiche e civili del Regno di Napoli dell’Arrighi (Napoli, Stamperia del Corriere, 1809 [vol. I-II] 1813 [vol. III]), fu definito da Croce, al pari delle opere del Botta e del Colletta, come un’opera di «storiografia anacronistica», rivolta a considerare il passato con le lenti deformanti del presente.

Giuseppe Maria Arrighi, nato nel 1769, si recò a Napoli su invito di Cristoforo Saliceti, ministro di polizia di Giuseppe Bonaparte. Ritornato in Corsica nel 1815, vi morì nel 1834. Arrighi (probabilmente còrso, in quanto dedicò l’opera al patriota Pasquale Paoli) era, peraltro, stato già autore de La felicità, i diritti e le virtù sociali nella cattolica religione (in Roma, per Michele Puccinelli a Tor Sanguigna, 1794), nella quale, pur imbastendo una polemica anti-illuminista a difesa del papato, si era distinto per una notevole conoscenza dei philosophes, citando ampiamente La Mettrie, Helvetius, Bayle.

Con tale background, Giuseppe Maria Arrighi compose una storia che, arrivando al gennaio 1799, si imperniava su quello che Criscuolo ha definito come una sorta di “monarchismo repubblicaneggiante” nel quale, rivalutando – sulla scorta del Muratori – il regno longobardo ed ispirandosi al repubblicanesimo classico nell’esaltare le repubbliche medievali, il sovrano veniva inteso come garante della libertà del popolo. In tale ottica, l’Arrighi propugnava una monarchia ispirata al modello romano, nella quale la concessione delle libertà civili si unisse al compito di formare una coscienza ‘nazionale’ anche grazie al ruolo dell’esercito. 

Tuttavia, proprio su tali premesse, si può evidenziare come, nel III volume del Saggio, nell’ambito di una riflessione sul problema del «carattere nazionale» come base verso un’indipendenza italiana, comparissero alcune critiche al modello militare napoleonico, visto come eccessivamente professionalizzato e poco legato al tessuto cittadino, pur se l’Arrighi riconosceva, fin dalla prefazione, il regno di Murat come un’importante occasione di modernizzazione per il Regno di Napoli.