Sabrina Cieri e Margherita Scavone sono due studentesse potentine del Liceo delle Scienze Umane "Rosa-Gianturco" di cui siamo lieti, in occasione del 43mo anniversario del terremoto irpino-lucano del 23 novembre 1980, di ospitare un breve post sulla questione idrica a Potenza tra Età moderna e contemporanea (NDR).
Al momento dell'elevazione a capoluogo di provincia, Potenza era servita da un antico acquedotto «a pelo libero che portava l'acqua potabile dalle sorgenti site in località Botte a circa tre chilometri dall'abitato, alla fontana pubblica dell'«Ancilla vecchia», dopo aver attraversato i «piani di Santa Maria». L'acquedotto correva in parte sotto terreni agricoli, in parte lungo strade pubbliche, costantemente esposto a danneggiamenti e manomissioni; piuttosto che ripristinare il vecchio impianto, ci si pose in un primo tempo l'obiettivo ambizioso di portare l'acqua direttamente in città con un nuovo acquedotto forzato in «tubi di pietra»; nel 1811 il Comune aggiudicò un appalto che prevedeva non solo di riattivare l'Ancilla vecchia, ma di raggiungere l'abitato entro breve tempo. I lavori terminarono nel 1813 quando fu completato il tratto dall'Epitaffio alla Croce di S. Maria. Nell'ultimo tratto si continuò ad utilizzare il vecchio acquedotto di fabbrica. Nel 1814 si decise il prolungamento dell'impianto verso la sorgente, ma dopo pochi anni di utilizzo, ai primi del 1822, l'acqua che arrivava alla fontana pubblica era nuovamente scarsa e torbida: ciò era in massima parte dovuto a carenze tecniche.
Nel 1831 il Decurionato decise di realizzare un nuovo acquedotto, rivelatosi insufficiente; ma i lavori furono sospesi nel 44 poiché si voleva realizzare la possibilità di far giungere l'acqua più vicino all'abitato. Tale compito fu affidato al Brancucci: secondo l'ingegnere si poteva procedere oltre la vecchia fontana, facendo seguire all'acquedotto un percorso ad anello attorno all'abitato, a mezza costa, in modo da poter impiantare altre sette fontane pubbliche nelle vicinanze della città e da essa grosso modo equidistanti, Ma il Decurionato si limitò ad approvare il completamento dell'acquedotto fino all'Ancilla vecchia, allo scopo di riattivarla al più presto. Tuttavia quest’ultima venne demolita e la nuova fontana venne ricostruita sullo stesso sito e con il medesimo orientamento della precedente, ma a quota più elevata per renderla meglio visibile dalla provinciale, ed entrò in funzione nel corso del 1848.
La fontana pubblica, oggi non più esistente, è citata nell'elenco delle strade comunali del 1871 come termine delle due vie di S. Gerardo e S. Giovanni, ed ancora riportata nella mappa catastale di impianto.
Nel 1888 la Società Italiana per Condotte d'acqua realizzerà, su progetto dell'ingegnere Giorgio De Vincentiis, un impianto capace di sfruttare, oltre alle antiche sorgenti della Botte e della Torretta, quelle di Montocchino, di Val dell'Emma e di S. Giovanni.
Prima della realizzazione, fra il 1859 e il '63, del condotto fognario lungo via Pretoria, la città non era del tutto priva di sistemi di smaltimento delle acque piovane e dei liquami tanto che i rifiuti venivano gettati direttamente nelle strade. Solo negli anni di amministrazione del duca della Verdura il tema igienico-sanitario divenne oggetto costante di attenzione e di iniziative concrete. La questione fu ripresa soltanto dieci anni dopo, allorché il 15 marzo 1856 l'ingegnere Salvatores, direttore delle opere pubbliche provinciali, trasmise all'intendente Ciccarelli il getto di un «basolato lungo la via Pretoria in questo Capoluogo, e del condotto ad essa sottoposto» in esecuzione di un incarico dell'anno precedente: si sarebbe così rafforzato il ruolo del l'arteria quale asse stradale moderno ed infrastrutturato, dotato da un diverso carattere funzionale ed ambientale rispetto al resto della maglia viaria urbana. I lavori, intrapresi nel '59, furono portati a termine nel '63, nel corso dell'intervento fu realizzata, per la prima volta, l'integrale basolatura di via Pretoria, da Portasalza all'ospedale S. Carlo.
Si dovrà attendere il nuovo secolo e il regime fascista, comunque, per la creazione di un'efficiente rete di servizio all’interno del centro urbano.
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