Nel giugno 1906 la promozione a maggiore e l'assegnamento al 1° reggimento granatieri di Sardegna segnarono il primo punto di svolta nella carriera di Giuseppe Pennella. Il comando della brigata dei granatieri diede un forte impulso ai suoi studi in materia di military training e di tattica, oltre che a legarlo indissolubilmente a quella specialità dell'arma di fanteria.
L'anno successivo pubblicò Saggi di tattica applicata per minori reparti delle tre armi (I-III, Roma 1907), seguito nel 1908 dal suo più importante lavoro editoriale Il vademecum dell'allievo ufficiale di complemento (Roma 1908). Questo testo fu ristampato in oltre ventuno edizioni (con circa 125 mila copie vendute) e divenne uno dei più diffusi e utilizzati per l'addestramento degli ufficiali di complemento per tutta la durata della Grande Guerra. Nel vademecum emerse il carattere conservatore della visione tattica di Pennella: secondo l'autore «la parte disciplinare è quella veramente sostanziale da cui scaturisce l'attitudine all'azione collettiva» (ivi, p. 15) e per questo l'ufficiale, soprattutto se di complemento, doveva mantenere un distacco rispetto ai soldati e pretendere assoluta ubbidienza dai propri sottoposti. Per Pennella l'impatto della tecnologia bellica e della produzione industriale era ancora minoritario in una guerra dove l'elemento morale imperava su quello materiale: nella sua concezione tattica l'assalto all'arma bianca era giustificato in quanto «la baionetta è sovratutto un'arma morale; simboleggia la ferma decisione di andare fino in fondo» (ivi, p. 19). Pennella si schierò, quindi, con la scuola ‘offensivista’, maggioritaria nell'ambiente dello stato maggiore italiano e delle altre potenze europee in quegli anni, per cui la difesa poteva essere tollerata solamente se aveva la controffensiva come «suo obbiettivo supremo e finale» (ivi, p. 24).
Dopo un periodo nel corpo di stato maggiore della divisione militare di Bari fra il 1908 e il 1911, Pennella fu promosso colonnello nel luglio 1911. Nell'aprile 1915, a ridosso dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa, venne nominato capo ufficio dello scacchiere occidentale presso il corpo di stato maggiore, grazie anche ad alcune ricognizioni topografiche svolte in gioventù nell'area del confine italo-francese. All'ordine di mobilitazione del 23 maggio Pennella fu richiamato presso il comando supremo, prima, in quanto responsabile dell'ufficio armate, poi, come capo ufficio del generale Luigi Cadorna nel luglio 1915. La vicinanza e il rapporto stretto con Cadorna gli permise, nel novembre dello stesso anno, di farsi assegnare come comandante della brigata granatieri di Sardegna, che mantenne, dopo essere stato promosso maggiore generale nel marzo 1916, fino al maggio 1917. In quel periodo si distinse per il comando nella battaglia di Monte Cengio, svoltasi fra il 29 maggio e il 3 giugno 1916, e nei combattimenti attorno al Lenzuolo Bianco, nei pressi di Gorizia nell'agosto dello stesso anno, dove rimase gravemente ferito al viso, perdendo l'occhio destro. Durante l'esperienza bellica al fronte Pennella mantenne una fitta corrispondenza con la moglie Elisa e le figlie Maria e Antonietta.Sulla sua esperienza durante quella prima fase della Grande Guerra, Pennella scrisse altresì un lungo memoriale intitolato Dodici mesi al comando della brigata granatieri (Roma 1923).Nel maggio del 1917 gli venne conferito il comando della 35ª divisione di fanteria, che combatteva al fianco delle altre truppe dell'Intesa nel Montenegro. A causa di evidenti disaccordi con il comando francese del corpo di spedizione, fu rimpatriato in Italia e, dopo la promozione a tenente generale nell'agosto 1917, fu assegnato al comando dell'XI corpo d'armata. Nel marzo 1918 fu messo al comando della 2ª armata, poi rinominata 13ª armata, e nel giugno 1918 si distinse per la difesa del Montello, durante la battaglia del Solstizio; in quello scontro Pennella e i suoi uomini riuscirono a contenere lo sfondamento dell'offensiva austro-ungarica anche a costo di notevoli perdite e di un utilizzo draconiano della disciplina. La sua fama crebbe molto per la vittoria riportata, superando i confini della penisola fino a essere indicato l'8 settembre 1918 dal quotidiano francese Le Petit Journal, assieme a Giuliano Ricci, come il vincitore della battaglia del Solstizio.
A causa di profondi dissapori con il capo di stato maggiore Armando Diaz, Pennella fu esonerato dal comando della 13ª armata e fu ricollocato alla testa del XII corpo d'armata il 25 giugno 1918. Durante l'offensiva di Vittorio Veneto Pennella e le sue truppe liberarono i paesi di Pergine Valsugana e Giavera del Montello, dove rimase forte la memoria dell'evento e dove, dopo la sua morte, fu eretta una statua in suo onore.
Nell'agosto 1919, a guerra finita, fu assegnato al comando della zona militare di Trieste e, successivamente, gli fu conferito il comando del corpo d'armata di Firenze. Nel primo dopoguerra mantenne per un periodo limitato contatti con uomini politici, tra i quali Leonida Bissolati, ma successivamente fu emarginato da Diaz e dai nuovi comandi. A causa di questo allontanamento e della conseguente marginalizzazione, la sua salute fisica deteriorò velocemente; Pennella si rinchiuse in uno stato di quasi isolamento nella sua villa di Fiesole. Per questo motivo molti dei suoi ex commilitoni lo soprannominarono ‘il generale silenzioso’.
Morì a Firenze il 15 settembre 1925.
FONTE: Voce di M. Cristante, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2015, vol. 82.