giovedì 23 marzo 2023

La Basilicata moderna. 44. Potenza post-napoleonica

La gestione di un capoluogo non fu mai, nella tarda modernità del Mezzogiorno d’Italia, una cosa facile, tanto meno in una provincia così vasta e con problematiche così ampie e complesse come la Basilicata. Fin dall’inizio del Decennio napoleonico, infatti, Potenza si trovò improvvisamente “catapultata” in un ruolo che la cittadina basentana non era preparata a svolgere, per evidenti limiti strutturali e per le spese che una riconfigurazione urbana ed amministrativa avrebbe (come di fatto avvenne) comportato. 

Analizzando Potenza dopo il 1820, emerge chiaramente come questi precondizionamenti influirono pesantemente sullo svolgimento dell’attività politico-istituzionale ed amministrativa, oltre che sui processi di sviluppo economico. Una «modernizzazione difficile» che investì tutte le energie del Decurionato e che, nel contempo, accelerò i processi di formazione della borghesia potentina, con stretti – e non sempre limpidi – intrecci familiari nell’ambito dell’amministrazione. Il decennio 1820-1830, infatti, fu un periodo vissuto all’insegna della difficoltà, tra imprevisti dettati dalle esigenze del potere centrale, lotte di potere all’interno della borghesia cittadina e oggettive difficoltà nell’adeguamento del progetto di città capoluogo. Città di “volontà”, più che pre-strutturata, Potenza visse un decennio di profondi mutamenti, contrassegnati dal cronico deficit del bilancio comunale, per cui ogni “imprevisto” finiva per essere percepito – e per essere, di fatto – come una vera e propria catastrofe per le casse comunali. Si pensi, ad esempio, che ancora il 10 novembre 1833 il sindaco Viggiani faceva riferimento agli eventi che avevano seguito la Rivoluzione del 1820-21 e che per Potenza segnarono una «triste epoca» sia dal punto di vista amministrativo che, soprattutto, economico, affermando: «nell’anno 1822 essendo giunti in questo Capoluogo le Imperiali, e Reali Truppe Austriache, la Comune a sue spese dovè somministrare le forniture, dimodoché erogò circa d. 3000, che deve ancor conseguire dalla Reale Tesoreria»

Queste esigenze centrali, come anche la necessità, oggettiva, di costruire il capoluogo incisero notevolmente sull’attività amministrativa ed economica di Potenza, dove, peraltro, gli intrecci tra le famiglie più in vista si facevano di anno in anno sempre più stretti, con una rete “invisibile” che costituiva un establishment connotato da scarso, quasi nullo, turnover delle cariche istituzionali-amministrative. In effetti, dal percorso risultano, scorrendo i registri delle delibere, nomi ricorrenti di famiglie in vista, dai Viggiani ai Castellucci, dai Maffei ai Giambrocono, dagli Amati agli Addone. Molti di essi, per non dire tutti, gestirono l’amministrazione comunale per decenni, senza soluzioni di continuità, disinvoltamente spostandosi nell’organigramma decurionale e, ove ciò non fosse oggettivamente possibile, partecipando all’attività gestionale attraverso importanti appalti “pilotati”, da quello dell’acquedotto a quello, fondamentale e assai redditizio, delle opere pubbliche. 

Eppure, in questo quadro “gattopardesco”, i problemi furono di fatto insormontabili, dovuti ai costi della gestione quotidiana, con cause e ritardi protrattisi per decenni, come, ad esempio, quelli relativi all’imposta fondiaria. Basti pensare che il 14 novembre del 1831 il Decurionato delegava Luigi Lavanga a rappresentare il Comune nella causa davanti al Consiglio d’Intendenza per la riscossione dell’imposta fondiaria non pagata dal comune stesso al Capitolo della Trinità dal 1813.

Una difficile modernizzazione, dunque, quella di Potenza, messa al banco di prova della gestione dell’attività del Capoluogo, un fattore di grande incidenza non solo rispetto al suo spazio e al suo assetto urbano, ma anche della sua identità in un percorso in cui la portata e l’incidenza delle scelte operate in età napoleonica sarebbero state più concretamente percepibili nel lungo periodo.


giovedì 9 marzo 2023

La Basilicata moderna. 43. Le resistenze antinapoleoniche

La Basilicata napoleonica non fu un'oasi di pace e di integrazione. Il governo napoleonico, specie nel periodo murattiano, dovette affrontare una situazione con risse, con ferimenti o uccisioni di soldati francesi e conflitti tra gendarmi e briganti o affissioni di cartelli sediziosi. Ed ancora, bande armate che infestavano il paese commettendo ogni sorta di violenze contro le persone e la proprietà, uccidendo, incendiando, saccheggiando e distruggendo ovunque. 

Qualche esempio dall'Archivio di Stato di Potenza potrà chiarire quanto affermiamo. Infatti, il fondo Atti e processi di valore storico contiene numerosi riferimenti utili a capire la violenta dialettica tra integrazione e resistenze.

Contro il Governo francese, ad esempio, si ebbe una rivolta a Spinoso già nel 1806 (proc. n. 154) e l'anno dopo, nel 1807, una congiura fu ordita a Rionero in Vulture da Savino Valenzano contro il Governo francese (n. 206), mentre a Sarconi 45 individui venivano processati come rei di brigantaggio e di sollevazione contro il Governo (n. 250), e a Roccanova veniva soffocata una ribellione contro le forze francesi (n. 253). 

E mentre trenta briganti a cavallo, armati di insegne e di em­blemi reazionari, facevano una scorreria ad Avigliano (n. 260), sempre nel 1807, a San Chirico Raparo si reclutavano uomini per combattere le truppe del Murat (n. 257). 

A Bella, nel 1808, venne processato don Gennaro Panari perché aveva diffuso voci atte a spargere il malcontento contro il Governo francese (n. 295).  


In ciò, comunque, un ruolo aggregante fu svolto dalla Carboneria, di cui conosciamo il primo processo contro i carbonari lucani conservato nell'Archivio di Potenza, ossia quello di Tricarico del 1815 (n. 418). Le circoscrizioni carbonare in Basilicata, in Campania e negli Abruzzi erano: Regione Lucana Occidentale, centro Salerno; Regione Lucana Orientale, cen­tro Potenza; Regione Irpina, centro Avellino; Regione Prepuziana, centro Teramo; Regione Amiteana, centro Aquila; Regione Marrucina, centro Chieti; Regione Sannitica Occidentale, centro Isernia. A Napoli risiedeva l'Alta Vendita a cui facevano capo tutte le vendite del regno. Ogni provincia era governata da un Senato, costituito da 12 membri, da una rappresen­tanza dell'intera comunità, carbonara della provincia (Gran Dieta), alla quale spettava il potere legislativo, e da una Magistratura alla quale spettava il potere esecutivo. In ogni Regione gli adepti erano distribuiti in Tribù e Famiglie, ossia Vendite e in Classi, cioè Gradi.

Non tutta la provincia, comunque, dipendeva dalla Vendita di Potenza: il Lagonegrese, il cui centro era in Tramutola, dipendeva dalla Vendita di Salerno, centro della Regione Lucana Occidentale.

Nella Basilicata, regione chiusa tra la Calabria, prevalentemente borbonica, e la Pu­glia, fautrice di re Gioacchino, prevalse nella setta carbonara un indirizzo filoborbonico, sebbene non fosse mancata, specie in Potenza, una corrente simpatizzante per Murat. Accanto alla Società Carbonara, comunque, sue filiazioni sorgevano nei paesi lucani nuove società segrete: l'Aurora Lucana a Moliterno, la Filarete Lucana a Lagonegro, la Neo Sparta Febea a Polla, la Consilina Cosmopolita a Sala Consilina, la Scuola dei Costumi a Marsico Nuovo, i Figli di Bruto ed il Vulture Illuminato a Melfi.

FONTE: T. PEDIO, Processi e documenti storici della sezione di Archivio di Stato di Potenza (PRIMA SERIE ANNO 1783-1864), in "Rassegna Storica del Risorgimento", XXX (1943), pp. 378-380.

martedì 28 febbraio 2023

DIECI ANNI DI "Di Storia, di storie"! (28 febbraio 2013-28 febbraio 2023)

La passione per la ricerca, per la rilettura e l’analisi delle proprie radici, è un tema che negli ultimi anni ho coltivato con ardore, amore e impegno costante. Tutto ciò per fare onore alla mia terra, la Basilicata, ormai definitivamente sottratta allo stereotipo di territorio chiuso e immobile. 

Iniziava così, con queste semplici parole, l'avventura di un blog nato con la volontà di divulgare frammenti più meno noti, testi, documenti relativi alla Basilicata ed al Mezzogiorno. Un blog che si avviava timidamente, con testi volutamente semplici, ma ben documentati, e che in dieci anni ha contato più di 30 collaboratori, positivi riscontri nazionali e internazionali da parte di lettori, studenti e appassionati, e un totale di 650 post. 

Siamo partiti in solitaria, per poi diventare un gruppo affiatato e combattivo, coadiuvato dal nostro Direttore Antonio D'Andria e dal Vicedirettore Antonio Cecere (anima dello staff e Presidente dell'ArcheoClub Vulture), sempre pronti a divulgare e dare suggerimenti di letture, visione di fonti note e meno note, contributi di studiosi, studenti e appassionati.

I nostri redattori sono cresciuti nel tempo, affinando le loro già notevoli capacità con iniziative editoriali di collaborazione, come il Dizionario degli Storici Meridionali, avviato nel 2019 in collaborazione con il portale Storia della Campania, o ancora il volume su Mondo Vecchio e Mondo Nuovo pubblicato dai nostri caporedattori Antonio Cecere e Luisa Rendina grazie a PhotoTravel edizioni.

Abbiamo dovuto affrontare mille sfide dovute a ignoranza e sospetto, non ultima quella che, circa tre anni fa, ci contrappose a docenti invidiosi e mediocri, che minacciarono, millantando non si sa quali occulti poteri, di farci chiudere per manifesta incompetenza. Ma si sa, omnia immunda immundis. E siamo ancora qui!


Un decennio di presentazioni di volumi di docenti di rilievo, di studiosi affiliati al nostro blog e ottimi collaboratori, come Antonio Cecere, Luisa Rendina e Ivan Larotonda, di iniziative di divulgazione e di colloqui con i nostri followers nel segno della divulgazione scientifica seria, ma volta a far riscoprire le radici della nostra storia senza inutili formalismi. 
Ancora, un prodotto notevolissimo è stata la pagina storica sul Vulture nel "Notiziario Ruvese" e, infine, da circa un anno, la collaborazione con l'associazione We love Potenza con cui, dalle pagine del free press "Come @ Potenza", contribuiamo con amore e passione a far riscoprire fatti e personaggi del capoluogo di Regione.
Ne approfittiamo per ringraziare i nostri collaboratori:

Antonio Cecere
Ivan Larotonda
Giovanni Ambrosecchia
Caterina De Canio
Rosangela Restaino
Rocco Raimondi
Gianni Palumbo
Luisa Rendina
Maddalena Albano
Ambrogio Quinto
Claudia Pingaro
Roberta Sassano
Grazia Pastore
Veronica Robertini
Maria Pia Belfiore
Marina Corsini
Martina Summa
Margherita Gaudiano
Angelo Carriero
Flavia Elettrico
Carlo Achillea
Giuseppe Ricciardone
Cataldo De Luca
Caterina Bevilacqua
Eufemia Smaldone
Carmen Cazzetta

Un grazie vivissimo a voi tutti che ci leggete e sostenete con immutata passione, per un altro decennio ancora!


La Redazione


giovedì 9 febbraio 2023

Bibliografie essenziali. 43. I consigli provinciali e distrettuali napoleonici

  • A. SCIROCCO, I problemi del Mezzogiorno negli atti dei consigli provinciali (1808-1830), in «Archivio Storico per le Province Napoletane», terza serie, vol. IX (1971), pp. 115-138
  • ID., I corpi rappresentativi nel Mezzogiorno dal “decennio” alla restaurazione: il personale dei consigli provinciali, in «Quaderni storici», XIII (1979), n. 37 (genn.-apr.), Notabili e funzionari nell’età napoleonica, a cura di P. Villani, pp. 102-125
  • M. S. CORCIULO, Dall’amministrazione alla costituzione. I Consigli generali distrettuali di Terra d’Otranto nel Decennio francese, Napoli, Guida, 1992
  • M. COPPOLA, L’organizzazione periferica dello stato murattiano, Il Consiglio provinciale di Principato Citeriore, Salerno, Pietro Laveglia editore, 1983
  • M. S. CORCIULO, Sugli atti dei Consigli provinciali e distrettuali di Principato Citra durante il decennio francese. 1806-1815, in «Clio», XXV (1989), 1, pp. 105-122
  • EAD., I Consigli generali e distrettuali di Terra d’Otranto dal 1808 alla rivoluzione del 1820-21, in A. MASSAFRA (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario. Economia, società e istituzioni, Bari, Dedalo, 1988, pp. 393-410
  • P. NUZI, La presenza borghese nei Consigli Generali e Distrettuali di Abruzzo Ulteriore II (1808-1830), ivi, pp. 411-427
  • N. ANTONACCI, I Consigli provinciali di Terra di Bari e Capitanata tra amministrazione e costituzione, in ID., Dalla Repubblica napoletana alla monarchia italiana. Politica e società in Terra di Bari (1799-1860), Bari, Edipuglia, 2000, pp. 71-110
  • L. CALABRESE, Il Mezzogiorno attraverso gli atti dei Consigli Provinciali (1808-1830), Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2003
  • ID., Il personale politico dei consigli provinciali, in «Bollettino Storico della Basilicata», 17 (2001), pp. 59-88

giovedì 26 gennaio 2023

Bibliografie essenziali. 42. Studi recenti sul Decennio francese


  • R. CIOFFI et alii (a cura di), Due francesi a Napoli. Atti del colloquio internazionale di apertura delle celebrazioni del Decennio francese (1806-1815), Napoli, Giannini editore, 2008
  • A. M. RAO (a cura di), Cultura e lavoro intellettuale. Istituzioni, saperi e professioni nel Decennio francese. Atti del primo seminario di studi “Decennio francese (1806-1815)”, Napoli, Giannini editore, 2009
  • R. CIOFFI-A. GRIMALDI (a cura di), L’idea dell’antico nel decennio francese. Atti del terzo seminario di studi “Decennio francese (1806-1815)”, Napoli, Giannini editore, 2010
  • A. BUCCARO-C. LANZA-P. MASCILLI MIGLIORINI (a cura di), Il Mezzogiorno e il Decennio. Architettura, città, territorio. Atti del quarto seminario di studi sul decennio francese, Napoli, Giannini editore, 2012
  • C. D’ELIA (a cura di), Stato e Chiesa nel Mezzogiorno napoleonico. Atti del quinto seminario di studi “Decennio francese (1806-1815)”, Napoli, Giannini editore, 2011
  • R. DE LORENZO (a cura di), Ordine e disordine. Amministrazione e mondo militare nel Decennio francese. Atti del sesto seminario di studi “Decennio francese (1806-1815)”, Napoli, Giannini editore, 2013
  • S. RUSSO (a cura di), All’ombra di Murat. Studi e ricerche sul Decennio francese, Bari, Edipuglia, 2007
  • A. SPAGNOLETTI (a cura di), Il governo della città, il governo nella città. Le città meridionali nel Decennio francese. Atti del Convegno di Studi. Bari 22-23 maggio 2008, Bari, Edipuglia, 2009
  • L. MASCILLI MIGLIORINI (a cura di), Italia napoleonica. Dizionario critico, Torino, UTET Libreria, 2011

giovedì 12 gennaio 2023

Bibliografie essenziali. 41. Il periodo della reggenza borbonica

  • M. VINCIGUERRA, La reggenza borbonica nella minorità di Ferdinando IV¸ in «Archivio Storico per le Province Napoletane», 40 (1915), pp. 576-591; 41 (1916), pp. 100-123; 337-353; 493-5151; 42 (1917), pp. 184-221
  • R. MINCUZZI, Bernardo Tanucci, ministro di Ferdinando di Borbone. 1759-1776, Bari, Dedalo, 1967
  • R. AJELLO, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli, Jovene, 1976
  • A. M. RAO, Il Regno di Napoli nel Settecento, Napoli, Guida, 1983
  • E. CHIOSI, Il Regno dal 1734 al 1799, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. IV/2, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Napoli, Edizioni del Sole, 1986
  • Bernardo Tanucci. Statista, letterato, giurista. Atti del Convegno internazionale di studi per il cento centenario (1783-1983), a cura di R. Ajello e M. D’Addio, voll. 2, Napoli, Jovene, 1988
  • G. GALASSO, La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli, Guida, 1989
  • M. G. MAIORINI, La Reggenza borbonica (1759-1767), Napoli, Giannini Editore, 1991
  • R. AJELLO, I filosofi e la Regina. Il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (1776-1786), in «Rivista Storica Italiana», 103 (1992), 
  • A. M. RAO, Lumi, Riforme, Rivoluzione. Percorsi storiografici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2011
  • A. M. RAO-A. POSTIGLIOLA (a cura di), Il Settecento negli studi italiani. Problemi e prospettive, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010

giovedì 29 dicembre 2022

La Basilicata contemporanea. 45. Emilio Colombo (Donato Verrastro)

Emilio Colombo nacque a Potenza l’11 aprile 1920, da Angelo, un impiegato della Camera di Commercio della città, originario di Reggio Calabria, e da Rosa Silvia Elvira (Rosina) Tordela.


Quarto di sette figli, si formò negli ambienti cattolici del capoluogo lucano, fondando, a quindici anni, la prima associazione studentesca di Azione cattolica. La frequentazione di quel mondo, negli anni del fascismo, oltre a consolidare in lui una chiara impronta culturale e ideologica, gli consentì di maturare una ferma opposizione al regime. Crebbe nel clima culturale e politico della parrocchia Ss. Trinità (nel centro storico di Potenza), alla scuola di monsignor Vincenzo D’Elia, compagno di studi di Eugenio Pacelli e referente lucano di Luigi Sturzo. D’Elia, d’altronde, era lo zio di don Giuseppe De Luca, lucano anch’egli, autore della Storia della pietà e fondatore delle Edizioni di storia e letteratura: raffinato intellettuale molto vicino alle gerarchie vaticane, sarebbe stato in seguito il confessore di Giovanni XXIII. A partire dal 1930 Colombo fu tra i giovani formatisi alla scuola del vescovo della Diocesi di Potenza e Marsico Nuovo, il mantovano Augusto Bertazzoni, che avrebbe retto a lungo la Diocesi lucana fino al 1966: con lui, suo mentore politico, Colombo avrebbe mantenuto sempre uno strettissimo rapporto.

Nel 1937, al termine della seconda liceale, Colombo conseguì con un anno di anticipo la maturità classica presso il liceo Quinto Orazio Flacco di Potenza, avendo come presidente di commissione Raffaele Ciasca, storico meridionalista, amico di Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini e senatore democristiano nelle prime due legislature repubblicane. Studiò giurisprudenza all’Università di Roma, laureandosi nel 1941 con una tesi in diritto ecclesiastico sulle chiese ricettizie e sulle collegiate (relatore Arturo Carlo Jemolo). Fu proprio studiando nella capitale che ebbe modo di frequentare il cenacolo culturale di De Luca, incontrando intellettuali di primissimo piano come Giuseppe Prezzolini, Giovanni Gentile, Giovanni Papini, Giuseppe Ungaretti, Carlo Bo, Vincenzo Cardarelli e Aldo Palazzeschi. Intenzionato a proseguire gli studi e puntando all’insegnamento universitario, intraprese il percorso di specializzazione in diritto canonico iscrivendosi, nel 1941, al Pontificium Institutum Utriusque Iuris, interrompendo gli studi al secondo anno poiché chiamato alle armi: fu di stanza prima presso il 39° Fanteria e in seguito al 32° Battaglione d’istruzione in Nocera inferiore (Salerno) per il 4° corso preparatorio di addestramento. Frequentò il corso per allievi ufficiali di complemento a Ravenna, congedandosi nel 1943 come sottotenente.

La caduta del fascismo, nel 1943, accelerò il suo rientro a Potenza e contribuì, nei fatti, alla modifica dei progetti iniziali, determinando un rapido ripiegamento sulla carriera politica; in quella fase, infatti, Colombo fu tra le giovani leve impegnate nell’azione di coagulo delle forze antifasciste maturate intorno al mondo cattolico potentino e all’azione del vescovo Augusto Bertazzoni, il cui ruolo fu centrale nell’avvio di quella che si preannunciava già come una lunga e impegnativa carriera politica nelle file democristiane. Bertazzoni, d’altro canto, aveva guidato la Diocesi potentina per gran parte del ventennio fascista e negli anni della guerra, spendendosi, nella ricostruzione repubblicana, per la longeva saldatura tra candidati democristiani, Chiesa locale ed elettorato lucano.

Nel 1944 Colombo fu nominato segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica, tenendo l’incarico fino al 1947, quando fu eletto vice presidente del Bureau internazionale des enfants (Organizzazione internazionale di movimenti educativi). Colombo, già segretario generale della Gioventù italiana di Azione cattolica, con 21.000 preferenze fu il candidato che trascinò alla vittoria la DC nello scontro diretto con Nitti.

Alla Costituente Colombo fu componente e segretario della Quarta commissione, presieduta da Luigi Longo, che si occupò dell’esame dei disegni di legge. Quanto all’attività più propriamente politica, in quei mesi fu promotore di alcuni interventi di sistemazione degli acquedotti lucani.

Fu eletto vicepresidente generale della Gioventù italiana di Azione cattolica (GIAC) nel marzo del 1947, risultando particolarmente attivo nell’organizzazione di incontri e convegni finalizzati al consolidamento del consenso tra i giovani cattolici in vista della tornata elettorale del 1948. In occasione del Convegno di Bologna del settembre 1947 intervenne come relatore al fianco di Carlo Carretto, Gedda e padre Riccardo Lombardi. Negli stessi mesi fu rappresentante della Lucania nel Comitato per il Mezzogiorno, organismo istituito dopo il Congresso di Napoli del 1947 e affidato alla presidenza di Sturzo.

Divenuto l’uomo di punta della DC lucana, alle elezioni per la prima legislatura repubblicana del 1948 Colombo risultò il deputato più eletto nella circoscrizione Potenza-Matera, all’interno di un quadro di graduale assestamento degli schieramenti politici, prevalentemente caratterizzato dal dissolvimento del fronte nittiano e dal ridimensionamento delle sinistre.

A soli ventotto anni fu nominato sottosegretario all’Agricoltura e foreste nel V e nel VI Governo De Gasperi, tra il maggio del 1948 e il luglio del 1951.

Nel luglio del 1950, sempre nella veste di sottosegretario all’Agricoltura e foreste, oltre che maggiorente politico locale, Colombo accompagnò Alcide De Gasperi nello storico primo suo viaggio in Basilicata, durante il quale fece tappa a Potenza, in Val d’Agri e, in ultimo, a Matera, dove ebbe modo di visitare i rioni Sassi, in un giro non programmato e fatto inserire da Colombo solo all’ultimo momento nel programma della giornata: le pessime condizioni igienico-sanitarie in cui molte famiglie materane erano costrette a vivere in quelle antiche grotte, oltre che l’insalubrità di quegli agglomerati scavati nella roccia, convinsero De Gasperi a nominare proprio Colombo a capo di una commissione incaricata di studiare provvedimenti specifici per affrontare quella che, nel discorso seguito in piazza, il presidente del Consiglio avrebbe definito un’«infamia nazionale» (in risposta a Togliatti che, in visita a Matera durante la campagna elettorale per le elezioni del 1948, aveva parlato di «vergogna d’Italia» (Colombo, 2016, p. 18). Rientrato a Roma, Colombo lavorò all’elaborazione di quella che sarebbe stata la legge 17 maggio 1952, n. 619, Legge speciale per il risanamento dei Sassi.

Nel luglio del 1951, nel passaggio dal VI esecutivo De Gasperi (entrato in crisi per le dimissioni del ministro del Bilancio Giuseppe Pella) e il VII, a Colombo non furono conferiti incarichi nel nuovo governo. Gli fu chiesto, invece, di candidarsi per le elezioni amministrative della città di Potenza che si sarebbero tenute, anticipatamente rispetto alla scadenza naturale, nel giugno del 1952, quale soluzione alla crisi politica determinata dalle dimissioni del sindaco Pietro Scognamiglio e alla lunga reggenza commissariale di Domenico Zotta.

Fu rieletto alla Camera per la II legislatura nella circoscrizione Potenza-Matera, risultando il più votato con oltre 54.000 preferenze. Fu designato al sottosegretariato ai Lavori pubblici col ministro Giuseppe Spataro, ruolo che avrebbe ricoperto anche accanto al ministro Umberto Merlin nei successivi, nonché brevi, governi Pella (agosto 1953 - gennaio 1954) e Fanfani I (gennaio - febbraio 1954). Proseguì nel medesimo incarico anche nel Governo Scelba (febbraio 1954 - luglio 1955), quando ministro dei Lavori pubblici fu il socialdemocratico Giuseppe Romita: proprio in quest’ultimo governo, Colombo si adoperò per l’approvazione delle norme per l’incentivazione, attraverso specifici capitoli di bilancio dello Stato, dell’edilizia popolare.

Colombo rivestì quindi il ruolo di ministro dell’Agricoltura e foreste nel I governo Segni (in carica dal 1955 al 1957), unitamente a quello di Alto commissario per l’alimentazione, adoperandosi particolarmente nell’opera di rafforzamento delle relazioni interne alla maggioranza di governo e mediando, nelle trattative politiche, soprattutto con Giovanni Malagodi, leader del Partito liberale. Mantenne gli stessi incarichi anche durante il successivo esecutivo Zoli (1957-1958), seguendo l’applicazione delle leggi di riforma agraria oltre che i passaggi propedeutici alla firma dei trattati di Roma e alla nascita della Comunità economica europea.

Nel nuovo governo Segni II (1959-1960) gli fu affidata la guida del dicastero dell’Industria e commercio, incarico che avrebbe esercitato, fino al 1963, anche nei tre governi successivi (Tambroni, Fanfani III e IV).

A partire dagli anni Sessanta ebbe inizio la lunga attività di Colombo nei dicasteri economici e finanziari: fu alla guida del ministero del Tesoro, nel primo e breve esecutivo Leone, tra il giugno e il dicembre del 1963; mantenne il medesimo ruolo anche nei successivi tre governi Moro, tra il 1963 e il 1968. Durante il secondo governo Leone, un monocolore DC in carica tra giugno e dicembre 1968, oltre alla guida del Tesoro assunse eccezionalmente anche l’interim al Bilancio e programmazione economica. Fu ministro del Tesoro anche nei tre governi Rumor, tra il 1968 e il 1970.

Sostenitore della linea atlantica ed europeista, durante la presidenza di turno della Comunità europea del 1962, Colombo fu tra i negoziatori delle convenzioni di Youndé, trattati economico-finanziari e assistenziali tra alcuni paesi africani, ex colonie di Stati europei, e la Comunità europea; durante la presidenza italiana del Fondo monetario internazionale nel 1963, si spese per la promozione della relazione paritaria tra Europa e Stati Uniti, secondo la linea di collaborazione proposta da John Kennedy.

Nel 1970, in seguito alla crisi del governo Rumor, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, dopo un primo fallimentare tentativo compiuto con Andreotti, affidò a Colombo l’incarico di formare il nuovo governo. Si trattò di un esecutivo di centro-sinistra, sostenuto da DC, PSI, Partito socialista democratico italiano (PSDI), Partito repubblicano italiano (PRI), il quale offriva garanzie di chiusura riguardo a qualsiasi ipotesi di avvicinamento ai comunisti. Entrato in carica il 6 agosto 1970, il Governo fu impegnato nel piano di riforma del fisco (basato sulla progressività delle imposte, sull’assestamento dell’Iva e sull’approvazione di leggi sulla casa e sull’esproprio dei suoli), i cui decreti applicativi sarebbero stati approvati quando, fra il 1973 e il 1974, Colombo avrebbe assunto la guida del ministero delle Finanze nel IV governo Rumor. Una delle prime e più spinose questioni che Colombo dovette affrontare nell’autunno-inverno del 1970 fu quella della rivolta di Reggio Calabria, la cui gestione avrebbe richiesto finanche l’impiego di contingenti militari; si era nel vivo dei processi istitutivi delle Regioni, segnati in Calabria da azioni intimidatorie e scontri innescati dalla decisione di individuare in Catanzaro la città capoluogo. Nella rivolta, tra l’altro, alla composita compagine dei rivoltosi si erano aggiunte frange malavitose locali e forze di destra capeggiate da Junio Valerio Borghese. Dopo dieci mesi di scontri, durante i quali si registrarono vittime e attentati dinamitardi alle linee ferroviarie, la questione fu affrontata, sul piano politico, col varo del cosiddetto 'pacchetto' o 'piano Colombo', in virtù del quale fu deciso che Catanzaro sarebbe stata città capoluogo e sede della Giunta regionale, Reggio Calabria sede del Consiglio regionale e Cosenza, più marginale rispetto alle contese, avrebbe avuto l’Università. Il piano fu ampliato anche a iniziative di carattere infrastrutturale, con la costruzione del porto di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria (oggi uno dei più importanti del Mediterraneo), destinato all’implementazione e al rafforzamento dell’economia di tutta la piana; nessun seguito, invece, avrebbe avuto il progetto di realizzazione di un polo industriale a Sant’Eufemia d’Aspromonte.

La fine dell’esecutivo a guida Colombo, datata 17 febbraio 1972, avvenne in concomitanza con l’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica: rassegnate, come di prassi, le dimissioni 'di cortesia' al nuovo capo dello Stato, Leone conferì nuovamente l’incarico a Colombo. Le consultazioni, tuttavia, resero subito evidenti l’indisponibilità delle forze di maggioranza a proseguire con un nuovo governo che fosse la naturale prosecuzione del precedente esecutivo di centro-sinistra (non ancora giunto a scadenza naturale), poiché tale scelta aveva pregiudicato la tenuta del fronte democristiano e determinato la perdita di alcune amministrazioni locali nel frattempo passate alla destra.

La scelta, dunque, cadde su Andreotti, nel cui primo esecutivo, un monocolore democristiano in carica da febbraio a giugno del 1972, Colombo fu ministro del Tesoro; nel secondo governo Andreotti, invece, in carica dal 1972 al 1973, fu nominato ministro senza portafoglio del Consiglio dei ministri (con delega per i compiti politici particolari e di coordinamento, con speciale riguardo alla presidenza della delegazione italiana all’ONU).

Dopo una breve esperienza alle Finanze nel breve governo Rumor IV (1973-1974), Colombo tornò alla guida del Tesoro nel successivo Rumor V (marzo - novembre 1974), per rimanervi anche nei due brevi esecutivi a guida Moro (IV, 1974 - 1976; V, febbraio - luglio 1976), trovandosi ad affrontare le ripercussioni inferte all’economia italiana dalla fine del gold exchange standard deciso dagli Stati Uniti e i duri contraccolpi determinati della crisi petrolifera.

Nel 1976 Colombo fu designato quale rappresentante italiano al Parlamento europeo, di cui divenne presidente l’8 marzo 1977.

Colombo fu confermato agli Affari esteri nei successivi governi Forlani I (1980 - 1981), Spadolini I (1981 - 1982) e II (agosto - dicembre 1982), Fanfani V (1982 - 1983), gestendo la questione degli euromissili, ovvero del 'bilanciamento', attraverso la collocazione di missili americani in Europa, dell’arsenale nucleare a media gittata installato dall’URSS sul finire degli anni Settanta, in base alla linea reaganiana dell’opzione zero, destinata, nel medio periodo, a porre le basi per il progressivo e congiunto smantellamento degli armamenti nucleari.

Tra il 1992 e il 1993 fu ministro degli Affari esteri del primo Governo Amato.

Nominato senatore a vita il 14 gennaio del 2003 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nello stesso anno fu coinvolto in un’inchiesta per l’uso di sostanze stupefacenti a scopo terapeutico. Sedette a Palazzo Madama dalla XIV alla XVII legislatura, prendendo parte a diverse commissioni permanenti. Morì a Roma il 24 giugno 2013.

FONTE: Dizionario Biografico degli Italiani, 2020 (con tagli)

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