giovedì 26 settembre 2024

Personaggi. 32. Rocco Brancati

Rocco Brancati nasce a Potenza il 26 febbraio 1950. Studia nell’Istituto Magistrale del capoluogo ed è, in questi anni, tra i vincitori del concorso della Federazione dei Cavalieri del Lavoro della Scuola Superiore di Roma, riservato agli alunni meritevoli dei Licei Classico e Scientifico e Istituto Magistrale, sull’elaborazione di un saggio sul rapporto tra lo sviluppo economico di una regione e le infrastrutture sul territorio.

Giornalista dal 1969, diventa pubblicista nel 1973 e stringe una notevole amicizia con il giornalista Giovanni Russo ed entra, dal 5 gennaio 1969, nella redazione del «Mattino» e di «Cronache Lucane» (fondato da Vittorio Sabia). Poiché Sabia lavorava in Rai, affida a Brancati la direzione delle due testate e, così, Rocco diventa cronista, coordinatore, impaginatore, correttore di bozze. Il «Mattino», chiusa la redazione di Potenza, lo trasferisce, nel 1976, in quella di Napoli-Benevento, dove rimane per tre anni, pubblicando, tra gli altri, diversi articoli sulla Rassegna «Città e Regione».

Nel frattempo, il primo novembre 1975, pubblica il saggio Sociologia del territorio, apparso su «Basilicata ‘80», in cui analizza il degrado territoriale nelle sue cause storiche e nei suoi aspetti demografici, legandolo ad una mancanza di politica diretta al territorio e cercando di ridimensionare la tesi fatalistica del “male endemico” della regione. È un tipo di lettura che persegue anche durante gli studi a Pedagogia nella Facoltà di Magistero a Salerno, alla quale è iscritto dal 1970, laureandosi in Storia del Mezzogiorno con una tesi dal titolo Le condizioni dei contadini in Basilicata negli Atti dell’Inchiesta Jacini e Nitti, discussa il 25 giugno 1976 a Salerno e che ha come relatore Antonio Cestaro.

Tornato in Basilicata nel dicembre 1979 come giornalista professionista, diventa vice caporedattore vicario, dal 12 dicembre, per la neonata sede Rai di Basilicata, restandovi fino al ritiro, il 27 dicembre 2014. 

Nel frattempo, nel 1985, si impegna anche brevemente in politica, candidandosi per il PSI. 
All’inizio degli anni Novanta, avvia la redazione lucana de «Il Giornale di Napoli» e, subito dopo, quella del «Roma». 
Nel 1997 pubblica Tormenti, tenebre, visioni. Bios athanatos. Carlo Gesualdo principe di Venosa, 1566-1613 (Milano, 21mo secolo) e, due anni dopo, Ritratto di poeta: Albino Pierro. Intrigo a Stoccolma (Napoli, RCE Edizioni). Della sua passione per l’arte è testimonianza Stizz’cheja. Giovanni de Gregorio 1579-1656 (Napoli, RCE, 2000).
Nel 2002 pubblica, sempre per i tipi di RCE, Quel cafone di Parmenide, in cui, alternando memoria autobiografica e riflessione, esamina i lavori di Ernesto De Martino, Friedrich Friedmann, Rocco Scotellaro e Carlo Levi sul territorio lucano. 
Dal 2000 al 2013, come docente a contratto nell’Università della Basilicata, insegna Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione: frutto di questa attività è il volume Telesolipsismo. Teorie e tecniche dei linguaggi della radio e della televisione (Napoli, RCE Edizioni, 2003) e un blog, Scienze della Comunicazione, dedicato agli studenti.
Sono anni, dunque, di fervido lavoro, con molte pubblicazioni e un’attività di divulgatore che lo vede anche come componente della Deputazione di Storia Patria per la Lucania (della cui rivista, il «Bollettino Storico della Basilicata», diventa direttore responsabile, così come lo è de «La Lucania Medica», organo dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri della Provincia di Potenza) e membro della giuria della sezione Saggistica del Premio Letterario Basilicata. 
Cittadino onorario di Tursi e di Aliano, diventa presidente onorario del circolo culturale “Il Portale” di Pignola e presidente del Club Unesco del Vulture.
Si spegne a Potenza a 68 anni, il 18 aprile 2018, dopo una lunga malattia.

giovedì 12 settembre 2024

Santi di Basilicata. 5. San Canio

San Canione (più comune oggi la forma Canio) ci è noto attraverso un'agiografia di cui sono giunte quattro versioni, la più antica delle quali, redatta dal suddiacono Pietro, risale al X secolo. 

Egli, secondo la passio, fu vescovo in Cirenaica, a Iuliana, verso la fine del III secolo, dove per la sua fede fu condannato alla decapitazione dal prefetto di Cartagine, dopo estenuanti torture per abiurare. Durante l'esecuzione si abbatté sulla piazza una tempesta anomala che permise al santo di scampare alla morte, poiché il prefetto ordinò di porlo su una nave, con un gruppo di cristiani che erano stati condannati con lui, e che fu condotta dalla Provvidenza sulle coste campane. Canio si rifugiò nei pressi di Atella, dove compì alcuni miracoli. Nell'anno 305, con la ripresa della persecuzione anticristiana, fu condannato alla decapitazione. 

Nel 799 il vescovo Leone II fece portare le ossa del martire nella primitiva cripta della cattedrale di Acerenza. II corpo fu ritrovato nel 1081, probabilmente in occasione di lavori di abbellimento ordinati dall'arcivescovo Arnaldo. Oggi viene celebrato il 25 maggio.

Il suo bastone pastorale fu sigillato in un altare in pietra e, fino a qualche decennio fa, era possibile intravederlo attraverso un'apertura nella quale si poteva, secondo la religiosità popolare, arrivare a toccarlo con mano se puri di cuore. 

San Canio è patrono del comune di Acerenza.
FONTI: A. VUOLO, Tradizione letteraria e sviluppo culturale. Il dossier agiografico di Canione di Atella (secc. X-XV), Napoli, D'Auria, 1995.

giovedì 8 agosto 2024

Il Mezzogiorno moderno. 28. L'abolizione della feudalità nel Regno di Napoli (Antonio Cecere)

Già durante il 1799 repubblicano si era pensato all'abolizione della feudalità nell'intero Mezzogiorno, c due progetti di legge che si fronteggiarono: il primo radicale, favorevole all’abolizione assoluta e integrale sia dei titoli che delle terre dei baroni; il secondo, moderato, favorevole alla restituzione dei titoli feudali ma non delle terre, che si proponeva di dividere i beni allodiali soggetti alle imposte ordinarie gravanti sulle proprietà private. Alla fine a prevalere fu un terzo progetto definito di mediazione, ma, in realtà, più moderato del secondo. Il testo di legge non divenne subito operativo perché il generale francese McDonald si riservò di concedere la ratifica solo dopo aver avuto chiarimenti dal comitato di legislazione. Apportate le dovute modifiche, il testo venne approvato il 25 aprile e pubblicato il giorno successivo. 

«La feudalità era il primo anello della società a dover essere spezzato per dare il via ad un mutamento nelle forme di potere», sosteneva Gaetano Filangieri opponendosi a coloro che giustificavano le funzioni giudiziarie e politiche del baronaggio come unica sicurezza contro il dispotismo. 

Fu, tuttavia, con Giuseppe Bonaparte che l’abolizione del sistema feudale, premessa necessaria a rendere uniformi l’amministrazione dei comuni e le riforme finanziarie e fiscali, divenne legge, emanata il 2 agosto 1806 (Bullettino delle leggi del Regno di Napoli 1806, Stamperia della segreteria di Stato, Napoli, 1813, Legge n. 130 del 02.08.1806, pp. 257-261).

Essa determinò la caduta di ogni distinzione tra comuni soggetti alla giurisdizione regia e quelli soggetti alla giurisdizione feudale, mentre tutti i cittadini e tutte le proprietà erano uguali di fronte alla legge; da ciò l’introduzione dell’imposta unica. Perché questa potesse essere applicata, però, necessitava di un catasto fondiario attendibile di cui non si disponeva; molti furono gli abusi e la stessa imposta unica non potè essere mantenuta. Di contro, furono reintrodotte molte altre contribuzioni per far fronte alle spese dell’esercito e dell’amministrazione.

Tale provvedimento rispondeva ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture socio-politiche, anche per il mutato clima intellettuale, che mal tollerava i diritti e le immunità accordati ai rappresentanti di una istituzione antiquata e oppressiva. Questa legge ebbe fondamentale importanza nel Mezzogiorno, stretto nella morsa della feudalità più di ogni altro; la sua rilevanza crebbe ancor di più nella provincia di Basilicata, dilaniata da baroni assenti ed esigenti oltre che possessori, tra beni burgensatici e feudali, della quasi totalità delle terre adibite a pascolo e coltura. Tali leggi non colpivano solo i nobili feudatari; infatti, con il seguire dei provvedimenti anche il clero venne fortemente colpito. L’azione del decreto non fu rapida, gli ostacoli furono moltissimi perché oltre all’opposizione dei baroni e del clero si doveva affrontare un situazione demaniale irregolare, sia a livello di differenze territoriali, quanto, e di più, a livello di irregolarità amministrative. 

La ricognizione dei beni demaniali dovette affrontare numerosi ostacoli che andavano dalle terre occupate con la forza, fino alle richieste delle popolazioni locali, che si appellavano al principio dell’ubi feuda, ibi demania, che trovarono la loro naturale evoluzione nella concessione degli usi civici delle terre. Oltretutto i contenziosi tra i Baroni e le vecchie Università aumentarono a dismisura, obbligando l’amministrazione centrale all’istituzione di una magistratura ad hoc, la commissione feudale. 

Il processo di “defeudalizzazione” sarebbe stato tutt’altro che semplice, come evidenziato dalle questioni demaniali irrisolte che si trascineranno per anni, portando spesso a soluzioni dai contorni poco chiari. E alla fine, anche se sottoposta ad un’evoluzione che ne aveva profondamente mutato i caratteri, la feudalità continuò ad esistere nel vecchio regime.



Personaggi. 33b. Mario Del Treppo, gigante tra Medioevo e Modernità

Si è spento il 7 agosto 2024, all'età di 95 anni, lo Storico italiano Mario Del Treppo, nato a Pola il 29 marzo 1929. Allievo di Ernesto Pontieri, fu professore universitario dal 1968, insegnando storia medievale alla Federico II di Napoli (in cui si era laureato nel 1952), dove fu professore emerito.

Del Treppo era coetaneo di Giuseppe Galasso e con il collega e amico aveva condiviso discussioni intellettuali e percorsi accademici: i due si erano conosciuti proprio sui banchi universitari e li legava una profonda stima reciproca, fatta talvolta anche di divergenze. 

Socio nazionale dei Lincei; accademico corrispondente della Real Academia de Buenas Letras de Barcelona (dal 1973) e socio ordinario della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Napoli e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, si è occupato prevalentemente di storia economica dell'Italia meridionale nel periodo aragonese. 

Mario Del Treppo partecipò con entusiasmo alla fondazione della rivista “Nord e Sud” insieme con Francesco Compagna e Giuseppe Galasso, ma indirizzò il suo impegno etico e civile soprattutto verso l’insegnamento e la ricerca, nel segno dell’innovazione metodologica e della “libertà della memoria” (così si intitola un suo celebre saggio) rispetto a qualsiasi condizionamento interiore ed esteriore nello studio del passato

Tra i suoi numerosi studi sono da ricordare in particolare: I mercanti catalani e l'espansione della corona aragonese nel secolo XV (1967); Amalfi medioevale (1977, in collaborazione con Alfonso Leone); il saggio Il re e il banchiere. Strumenti e processi di razionalizzazione dello Stato aragonese di Napoli (1986); Prospettive mediterranee della politica economica di Federico II (1996); Storiografia del Mezzogiorno (2007).

domenica 4 agosto 2024

Personaggi. 33a. Mario Trufelli, storia del Giornalismo Lucano

Nato a Tricarico il 5 luglio del 1929, Mario Trufelli era di origine marchigiana. A Tricarico la sua formazione viene influenzata dalla stretta conoscenza con tre grandi uomini del luogo, Monsignor Delle Nocche, Rocco Scotellaro e Rocco Mazzarone.

Lasciata Tricarico, dopo alcuni anni trascorsi alla redazione del Popolo e dell’Avvenire di Roma,  fu chiamato dalla RAI per organizzare la redazione della nuova sede della Basilicata, nata nel 1960. Dal 1961, dagli studi della RAI di viale della Pineta, condusse il telegiornale della Basilicata delle ore 14.00. Il 23 novembre 1980, in diretta radiofonica, annunciò il sisma, informando l’Italia intera della gravità dell’evento soprattutto, nei giorni successivi, con reportage, tra i quali famoso quello a Balvano, per i cui morti scrisse la celebre Lamento per Rosetta.

Trufelli fu responsabile della sede Rai Basilicata dal 1969 al 1994, collaboratore della trasmissione Rai Check-Up, autore di numerosi reportage all’estero, oltre che Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata e Amministratore unico dell’Apt Basilicata. 

Importantissima anche la sua attività letteraria. La produzione poetica raccolta in Prova d’addio (Scheiwiller, 1991), ha vinto il superpremio Ennio Flaiano e il Regium Julii; suoi racconti sono in Lo specchio del comò (Alfredo Guida Editore, 1990); prose di viaggio sono raccolte nel volume L’ombra di Barone. Viaggio in Lucania (Osanna Edizioni, 2003); da ricordare, infine, il “romanzo” Quando i galli si davano voce (Edizioni della Cometa, 2013). Ha pubblicato anche Amore di Lucania, in collaborazione con G. Appella (Edizioni della Cometa, 1983) e L’erbavento (Rocco Curto Editore, 1997), rispettivamente serie d’interventi sulla cultura lucana e antologia di scritti vari.

Mario Trufelli muore a 95 anni, nella sua casa di Potenza, il 3 agosto 2024. 

giovedì 4 luglio 2024

Personaggi. 31. Domenico Corrado

Domenico Corrado era nato a Potenza il 25 novembre 1782 da Francesco e Gerarda Colle, dedicandosi alla carriera militare e conseguendo il grado di capitano, con cui aveva servito anche negli scontri di Antrodoco, tornando poi a Potenza per coordinare una disperata resistenza ai monarchici nel 1821. L'azione del gruppo di Venita, Mazziotta e Corrado durò fin quando giunse il generale Roth, inviato dal governo per il ristabilimento dell'ordine: Roth, infatti, aveva avuto da Napoli ordini per il disarmo generale degli abitanti e per la costituzione di una Corte marziale permanente. 

Dopo le indagini, condotte tra febbraio e marzo del 1822, Roth li giudicò colpevoli e il 13 marzo 1822, al termine di un processo sommario, la Corte Marziale fece fucilare Giuseppe e Francesco Venita, incarcerando a Potenza Carlo Mazziotta, il tenente Francesco Giusti, Rocco Labella, Giuseppe Lagaria, i sacerdoti Eustachio Ciani e Giuseppe Larocca. 

Il 27 marzo 1822, Corrado, però, era riuscito a sfuggire e nascondersi in un suo terreno nelle campagne di Genzano, anche se fu alla fine arrestato nel suo podere di Gravina di Puglia, tradito da un contadino alle sue dipendenze e, arrestato dal capitano Vito Mennuni, fu condotto al carcere di Santa Croce a Potenza. La corte marziale lo giudicò colpevole di «associazione illecita prima e dopo il 24 marzo 1821, unione settaria, cospirazione dal mese di settembre 1821 in poi tendente a distruggere e cambiare il governo istigando gli abitanti di Potenza e degli altri paesi del circondario ad armarsi contro l'autorità reale». Fu accusato inoltre «di tentata rivoluzione nel giorno di sabato santo del 1821 per innalzare l'albero repubblicano nel comune di Tito e Vignola e di scorrerie a mano armata nelle campagne per sovvertire l'ordine e sabotare il governo». 

La sua condanna a morte fu eseguita pubblicamente il 10 aprile 1822, in piazza Sedile. Prima di dare da solo l’ordine al plotone di esecuzione, esclamò ad alta voce: «Compagni, io vo sereno alla morte per la fede, e solo vi raccomando di vendicare un giorno la causa della libertà!». Dopodiché, rivolto al plotone, comandò: «Mirate al petto, ma non mi sfregiate il viso!». Morì così lasciando la moglie, Francesca Manta, un figlio, Giovanni, di appena sei anni, e due figlie neonate, ma la sua tormentata vicenda continuò anche dopo la morte, con la moglie costretta a pagare al comune di Potenza, per conto del marito defunto, un debito di 147 ducati.

Personaggi. 32. Rocco Brancati

Rocco Brancati nasce a Potenza il 26 febbraio 1950. Studia nell’Istituto Magistrale del capoluogo ed è, in questi anni, tra i vincitori del ...