giovedì 12 settembre 2024

Santi di Basilicata. 5. San Canio

San Canione (più comune oggi la forma Canio) ci è noto attraverso un'agiografia di cui sono giunte quattro versioni, la più antica delle quali, redatta dal suddiacono Pietro, risale al X secolo. 

Egli, secondo la passio, fu vescovo in Cirenaica, a Iuliana, verso la fine del III secolo, dove per la sua fede fu condannato alla decapitazione dal prefetto di Cartagine, dopo estenuanti torture per abiurare. Durante l'esecuzione si abbatté sulla piazza una tempesta anomala che permise al santo di scampare alla morte, poiché il prefetto ordinò di porlo su una nave, con un gruppo di cristiani che erano stati condannati con lui, e che fu condotta dalla Provvidenza sulle coste campane. Canio si rifugiò nei pressi di Atella, dove compì alcuni miracoli. Nell'anno 305, con la ripresa della persecuzione anticristiana, fu condannato alla decapitazione. 

Nel 799 il vescovo Leone II fece portare le ossa del martire nella primitiva cripta della cattedrale di Acerenza. II corpo fu ritrovato nel 1081, probabilmente in occasione di lavori di abbellimento ordinati dall'arcivescovo Arnaldo. Oggi viene celebrato il 25 maggio.

Il suo bastone pastorale fu sigillato in un altare in pietra e, fino a qualche decennio fa, era possibile intravederlo attraverso un'apertura nella quale si poteva, secondo la religiosità popolare, arrivare a toccarlo con mano se puri di cuore. 

San Canio è patrono del comune di Acerenza.
FONTI: A. VUOLO, Tradizione letteraria e sviluppo culturale. Il dossier agiografico di Canione di Atella (secc. X-XV), Napoli, D'Auria, 1995.

giovedì 8 agosto 2024

Il Mezzogiorno moderno. 28. L'abolizione della feudalità nel Regno di Napoli (Antonio Cecere)

Già durante il 1799 repubblicano si era pensato all'abolizione della feudalità nell'intero Mezzogiorno, c due progetti di legge che si fronteggiarono: il primo radicale, favorevole all’abolizione assoluta e integrale sia dei titoli che delle terre dei baroni; il secondo, moderato, favorevole alla restituzione dei titoli feudali ma non delle terre, che si proponeva di dividere i beni allodiali soggetti alle imposte ordinarie gravanti sulle proprietà private. Alla fine a prevalere fu un terzo progetto definito di mediazione, ma, in realtà, più moderato del secondo. Il testo di legge non divenne subito operativo perché il generale francese McDonald si riservò di concedere la ratifica solo dopo aver avuto chiarimenti dal comitato di legislazione. Apportate le dovute modifiche, il testo venne approvato il 25 aprile e pubblicato il giorno successivo. 

«La feudalità era il primo anello della società a dover essere spezzato per dare il via ad un mutamento nelle forme di potere», sosteneva Gaetano Filangieri opponendosi a coloro che giustificavano le funzioni giudiziarie e politiche del baronaggio come unica sicurezza contro il dispotismo. 

Fu, tuttavia, con Giuseppe Bonaparte che l’abolizione del sistema feudale, premessa necessaria a rendere uniformi l’amministrazione dei comuni e le riforme finanziarie e fiscali, divenne legge, emanata il 2 agosto 1806 (Bullettino delle leggi del Regno di Napoli 1806, Stamperia della segreteria di Stato, Napoli, 1813, Legge n. 130 del 02.08.1806, pp. 257-261).

Essa determinò la caduta di ogni distinzione tra comuni soggetti alla giurisdizione regia e quelli soggetti alla giurisdizione feudale, mentre tutti i cittadini e tutte le proprietà erano uguali di fronte alla legge; da ciò l’introduzione dell’imposta unica. Perché questa potesse essere applicata, però, necessitava di un catasto fondiario attendibile di cui non si disponeva; molti furono gli abusi e la stessa imposta unica non potè essere mantenuta. Di contro, furono reintrodotte molte altre contribuzioni per far fronte alle spese dell’esercito e dell’amministrazione.

Tale provvedimento rispondeva ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture socio-politiche, anche per il mutato clima intellettuale, che mal tollerava i diritti e le immunità accordati ai rappresentanti di una istituzione antiquata e oppressiva. Questa legge ebbe fondamentale importanza nel Mezzogiorno, stretto nella morsa della feudalità più di ogni altro; la sua rilevanza crebbe ancor di più nella provincia di Basilicata, dilaniata da baroni assenti ed esigenti oltre che possessori, tra beni burgensatici e feudali, della quasi totalità delle terre adibite a pascolo e coltura. Tali leggi non colpivano solo i nobili feudatari; infatti, con il seguire dei provvedimenti anche il clero venne fortemente colpito. L’azione del decreto non fu rapida, gli ostacoli furono moltissimi perché oltre all’opposizione dei baroni e del clero si doveva affrontare un situazione demaniale irregolare, sia a livello di differenze territoriali, quanto, e di più, a livello di irregolarità amministrative. 

La ricognizione dei beni demaniali dovette affrontare numerosi ostacoli che andavano dalle terre occupate con la forza, fino alle richieste delle popolazioni locali, che si appellavano al principio dell’ubi feuda, ibi demania, che trovarono la loro naturale evoluzione nella concessione degli usi civici delle terre. Oltretutto i contenziosi tra i Baroni e le vecchie Università aumentarono a dismisura, obbligando l’amministrazione centrale all’istituzione di una magistratura ad hoc, la commissione feudale. 

Il processo di “defeudalizzazione” sarebbe stato tutt’altro che semplice, come evidenziato dalle questioni demaniali irrisolte che si trascineranno per anni, portando spesso a soluzioni dai contorni poco chiari. E alla fine, anche se sottoposta ad un’evoluzione che ne aveva profondamente mutato i caratteri, la feudalità continuò ad esistere nel vecchio regime.



Personaggi. 33b. Mario Del Treppo, gigante tra Medioevo e Modernità

Si è spento il 7 agosto 2024, all'età di 95 anni, lo Storico italiano Mario Del Treppo, nato a Pola il 29 marzo 1929. Allievo di Ernesto Pontieri, fu professore universitario dal 1968, insegnando storia medievale alla Federico II di Napoli (in cui si era laureato nel 1952), dove fu professore emerito.

Del Treppo era coetaneo di Giuseppe Galasso e con il collega e amico aveva condiviso discussioni intellettuali e percorsi accademici: i due si erano conosciuti proprio sui banchi universitari e li legava una profonda stima reciproca, fatta talvolta anche di divergenze. 

Socio nazionale dei Lincei; accademico corrispondente della Real Academia de Buenas Letras de Barcelona (dal 1973) e socio ordinario della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Napoli e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, si è occupato prevalentemente di storia economica dell'Italia meridionale nel periodo aragonese. 

Mario Del Treppo partecipò con entusiasmo alla fondazione della rivista “Nord e Sud” insieme con Francesco Compagna e Giuseppe Galasso, ma indirizzò il suo impegno etico e civile soprattutto verso l’insegnamento e la ricerca, nel segno dell’innovazione metodologica e della “libertà della memoria” (così si intitola un suo celebre saggio) rispetto a qualsiasi condizionamento interiore ed esteriore nello studio del passato

Tra i suoi numerosi studi sono da ricordare in particolare: I mercanti catalani e l'espansione della corona aragonese nel secolo XV (1967); Amalfi medioevale (1977, in collaborazione con Alfonso Leone); il saggio Il re e il banchiere. Strumenti e processi di razionalizzazione dello Stato aragonese di Napoli (1986); Prospettive mediterranee della politica economica di Federico II (1996); Storiografia del Mezzogiorno (2007).

domenica 4 agosto 2024

Personaggi. 33a. Mario Trufelli, storia del Giornalismo Lucano

Nato a Tricarico il 5 luglio del 1929, Mario Trufelli era di origine marchigiana. A Tricarico la sua formazione viene influenzata dalla stretta conoscenza con tre grandi uomini del luogo, Monsignor Delle Nocche, Rocco Scotellaro e Rocco Mazzarone.

Lasciata Tricarico, dopo alcuni anni trascorsi alla redazione del Popolo e dell’Avvenire di Roma,  fu chiamato dalla RAI per organizzare la redazione della nuova sede della Basilicata, nata nel 1960. Dal 1961, dagli studi della RAI di viale della Pineta, condusse il telegiornale della Basilicata delle ore 14.00. Il 23 novembre 1980, in diretta radiofonica, annunciò il sisma, informando l’Italia intera della gravità dell’evento soprattutto, nei giorni successivi, con reportage, tra i quali famoso quello a Balvano, per i cui morti scrisse la celebre Lamento per Rosetta.

Trufelli fu responsabile della sede Rai Basilicata dal 1969 al 1994, collaboratore della trasmissione Rai Check-Up, autore di numerosi reportage all’estero, oltre che Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata e Amministratore unico dell’Apt Basilicata. 

Importantissima anche la sua attività letteraria. La produzione poetica raccolta in Prova d’addio (Scheiwiller, 1991), ha vinto il superpremio Ennio Flaiano e il Regium Julii; suoi racconti sono in Lo specchio del comò (Alfredo Guida Editore, 1990); prose di viaggio sono raccolte nel volume L’ombra di Barone. Viaggio in Lucania (Osanna Edizioni, 2003); da ricordare, infine, il “romanzo” Quando i galli si davano voce (Edizioni della Cometa, 2013). Ha pubblicato anche Amore di Lucania, in collaborazione con G. Appella (Edizioni della Cometa, 1983) e L’erbavento (Rocco Curto Editore, 1997), rispettivamente serie d’interventi sulla cultura lucana e antologia di scritti vari.

Mario Trufelli muore a 95 anni, nella sua casa di Potenza, il 3 agosto 2024. 

giovedì 4 luglio 2024

Personaggi. 31. Domenico Corrado

Domenico Corrado era nato a Potenza il 25 novembre 1782 da Francesco e Gerarda Colle, dedicandosi alla carriera militare e conseguendo il grado di capitano, con cui aveva servito anche negli scontri di Antrodoco, tornando poi a Potenza per coordinare una disperata resistenza ai monarchici nel 1821. L'azione del gruppo di Venita, Mazziotta e Corrado durò fin quando giunse il generale Roth, inviato dal governo per il ristabilimento dell'ordine: Roth, infatti, aveva avuto da Napoli ordini per il disarmo generale degli abitanti e per la costituzione di una Corte marziale permanente. 

Dopo le indagini, condotte tra febbraio e marzo del 1822, Roth li giudicò colpevoli e il 13 marzo 1822, al termine di un processo sommario, la Corte Marziale fece fucilare Giuseppe e Francesco Venita, incarcerando a Potenza Carlo Mazziotta, il tenente Francesco Giusti, Rocco Labella, Giuseppe Lagaria, i sacerdoti Eustachio Ciani e Giuseppe Larocca. 

Il 27 marzo 1822, Corrado, però, era riuscito a sfuggire e nascondersi in un suo terreno nelle campagne di Genzano, anche se fu alla fine arrestato nel suo podere di Gravina di Puglia, tradito da un contadino alle sue dipendenze e, arrestato dal capitano Vito Mennuni, fu condotto al carcere di Santa Croce a Potenza. La corte marziale lo giudicò colpevole di «associazione illecita prima e dopo il 24 marzo 1821, unione settaria, cospirazione dal mese di settembre 1821 in poi tendente a distruggere e cambiare il governo istigando gli abitanti di Potenza e degli altri paesi del circondario ad armarsi contro l'autorità reale». Fu accusato inoltre «di tentata rivoluzione nel giorno di sabato santo del 1821 per innalzare l'albero repubblicano nel comune di Tito e Vignola e di scorrerie a mano armata nelle campagne per sovvertire l'ordine e sabotare il governo». 

La sua condanna a morte fu eseguita pubblicamente il 10 aprile 1822, in piazza Sedile. Prima di dare da solo l’ordine al plotone di esecuzione, esclamò ad alta voce: «Compagni, io vo sereno alla morte per la fede, e solo vi raccomando di vendicare un giorno la causa della libertà!». Dopodiché, rivolto al plotone, comandò: «Mirate al petto, ma non mi sfregiate il viso!». Morì così lasciando la moglie, Francesca Manta, un figlio, Giovanni, di appena sei anni, e due figlie neonate, ma la sua tormentata vicenda continuò anche dopo la morte, con la moglie costretta a pagare al comune di Potenza, per conto del marito defunto, un debito di 147 ducati.

giovedì 13 giugno 2024

La cultura meridionale. 5. Giacomo Racioppi e il Risorgimento lucano

«Il periodo veramente democratico della storia politica dei popoli comincia con il 1789. Da allora in poi entrano in campo le masse, i popoli, le città, a produrre, ad apparecchiare, a modificare, a perturbare avvenimenti e imprese, prima non altrimenti dovute che all’impulso di un individuo, re, ministro, feudatario, o generale che fosse: allora una nuova era incomincia; e negli ordini politici fa capolino il popolo, negli ordini sociali la democrazia, negli ordini statuali la nazione.

I caduti del 1799 risorsero vincitori nel 1806 […]. L’assetto della società contemporanea napoletana ebbe principii e impulsi da questo attuoso periodo di tempo del governo dei due Napoleonidi, Giuseppe e Gioacchino Murat, che mutò di smisurato progresso ordini civili, militari, economici, usi, abitudini, vestimenta, sentimenti, tutto. 

Alla nuova restaurazione degli ordini assoluti la Basilicata fu teatro di scene luttuosissime […]. In questi eventi, che ebbero un’eco ripercossa oltre i confini della provincia, emersero tre nomi; e furono del capitano Giuseppe Veniti di Ferrandina, del capitano Domenico Corrado di Potenza, e di Carlo Mazziotti di Calvello: men noto quest’ultimo dei due primi ricordati nelle storie del reame, ma forse più degno di memoria. I fatti per sconsigliato impeto e per luttuose conseguenze notevoli e miserandi, avvennero a Laurenzana e a Calvello. […] Gl’intramatori delle rivoluzioni nella città di Napoli facevano, per la Basilicata, grande assegnamento sul capitano Veniti, che lo si sapeva deciso uomo, animoso e in gran nome alla provincia; e di poco minore nome, non di ardimenti, il capitano Corrado […]. L’associazione della “Lega Europea” s’ingegnava di disciplinare e indirigere ad unità di intenti e di atti cotesti impronti spiriti di libertà. Aveva spinto i primi, più che propagini, tentacoli in Basilicata per mezzo di Carlo Mazziotti, medico di Calvello; che, battezzato, a moda del tempo, nel nome di Marco-bruto, era fatto Commissario generale della Lega per la provincia […]. Nello spiccio processo molti, a paure e lusinghe, piegarono […]. Carlo Mazziotti, dignitoso e sereno, deviò le inchieste del giudice inquisitore; e all’accusa di non avere rivelato il Veniti, ricoverato in sua casa quando era già messo al bando dalla legge sulle liste dei pubblici inimici, rispose che le leggi dell’ospitalità erano per lui anche più sacre […]. Il […] 13 marzo del 1822, ad ore 18, caddero spenti di moschetto, in Calvello, il capitano Giuseppe Veniti e suo fratello Francesco […] e, degno del perenne ricordo della nostra storia, Carlo Mazziotti, medico. […] Tre giorni innanzi era caduto spento della stessa pena, dello stesso piombo […] il capitano Corrado. […] La cronaca paesana ricorda ancora le fiere parole, che egli profferiva, avviandosi, alta la fronte, al supplizio: “Io sono un uomo d’onore e un patriota; e voi calderari abietti” aggiunse all’indirizzo di quelli che, sogghignando plebeamente, villanamente, miserabilmente l’oltraggiarono.

Rifiorì l’albero della libertà in Napoli l’anno 1848; e per verità non per opera di sette […]. Grande colpa ebbe il re, che fu sleale, e mancò ai giuramenti di re, alla parola di galantuomo: ma non minore colpa ebbe la parte liberale, e, maggiore di ogni colpa, la dissennatezza. Divisa, come egli accade, e fin dai principii, in parte più o meno spinta di propositi, più infocata o meno di aspirazioni ideali e dottrinarie, […] taceva, lasciava fare, in bilico tra il sì e il no […] unicamente per non perdere, per non isminuire la popolarità che veniva dalla piazza. Mai fu parte politica più inetta al politico magistero dello Stato quanto la parte moderata napoletana del 1848! E questo mostra – il dirò io? – l’impreparazione del paese, delle classi dirigenti del paese alle condizioni della libertà.

Al 1860 finisce un’epoca; un’altra incomincia: erompe un nuovo ordine di cose, che investe, agita e trasforma la società nella pienezza della sua vita: si apre un nuovo periodo di storia, che succede, ma non continua il periodo precedente. Nasce nuovo ordine di tempi! Possa la storia avvenire dar materia a racconti di più lieti fatti, di più onorate imprese, di più saggi propositi, di più veraci, sane e giuste utilità, che non ha saputo esporre, a chi legge, lo scrittore di queste carte!».

Fonte: G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Loescher, Roma 1889, 2, pp. 256, 288, 290, 293-294, 304.

Santi di Basilicata. 5. San Canio

San Canione (più comune oggi la forma Canio ) ci è noto attraverso un'agiografia di cui sono giunte quattro versioni, la più antica dell...