giovedì 1 giugno 2023

giovedì 18 maggio 2023

La Basilicata medievale. 17. Letteratura in versi nel Vulture in epoca sveva

Di due autori lucani abbiamo testimonianze tali da farci riflettere sul proliferare degli studi letterari anche in Basilicata durante il regno di Federico II.

Il primo è Eustachio da Matera (di cui abbiamo parlato più diffusamente qui), del cui poema Planctus Italiae ci restano 5 frammenti, di cui 2 relativi a eventi lucani, conservati in manoscritti napoletani e in un messale potentino. Il poema, perduto, era un testo in distici elegiaci scritto nel 1270 e citato da Giovanni Boccaccio, oltre, probabilmente che da Pandolfo Collenuccio nel suo Compendio de le storie del Regno di Napoli (anche se l'umanista pesarese non lo cita esplicitamente).

Di Eustachio sappiamo che fu giudice a Venosa, visto che dice, in un frammento:

Nomen Matera genitrix Eustacius, omen / Judicis, et Scribae Venusiaque dedit: / Excidium Patriae velut alter flet Hyeremias / Mundi conflictus, Italiae que malum: / Italiae fata queror Urbis, et Orbis onus.

("Mi fu madre Matera, il nome è Eustachio, / giudice di mestiere e a Venosa / fui scriba: la rovina della Patria, / la guerra mondiale e il mal d'Italia, / sì come piange un nuovo Geremia / io canto, e dell'Italia i fati / e il peso universale" - nostra traduzione).

Suo collega fu Riccardo da Venosa (ai vv. 13-14 dice, di sé: Venusine gentis alumpnus / Iudex Richardus tale peregit opus), di cui, invece, ci resta un'opera integra, la commedia in 570 distici De Paulino et Polla, ispirata al Querolus sive Aulularia (a sua volta di ispirazione plautina). L'opera non venne recitata, ma sicuramente declamata, secondo la tradizione militare per questa tipologia letteraria. 

Riccardo dedica l'opera a Federico II (v. 11: Hoc acceptet opus Fredericus Cesar), probabilmente iniziando a scriverla quando l'imperatore, nel 1228, parte da Brindisi per la sua Crociata, lasciando come luogotenente Rainaldo di Urslingen. A lui si appella (vv. 1073-1110) un personaggio della commedia, Fulcone, secondo un modulo giuridico poi sancito nelle Constitutiones Melphitanae, il che ci consente di datare l'opera agli anni 1228-1231, anche perché nel biennio '30-31 è attestata la presenza dell'imperatore nella zona del Vulture.

sabato 6 maggio 2023

I giovani per il Centenario di Rocco Scotellaro

 Il Convegno di Studio "L'attualità di Rocco Scotellaro e il ruolo delle donne nella sua vita e nella sua politica", tenutosi il 6 maggio 2023 nel Museo Provinciale di Potenza, è stato organizzato da "Casa del Popolo Ambulante" e da "Terre Joniche a.p.s." e moderato da Porzia Fidanza (Liceo delle Scienze Umane "Rosa-Gianturco"). 

Il primo intervento, di Biagio Russo (Fondazione Sinisgalli), ha parlato dell'incontro tra Sinisgalli e Scotellaro (di lui più giovane di quindici anni) nel 1949, laddove Scotellaro auspicava, già nel 1946, a ventitré anni, una più decisa attività letteraria in Basilicata sotto il patrocinio di Sinisgalli, con la fondazione di una rivista che guidasse il riscatto letterario lucano. L'incontro, mediato dagli artisti montemurresi Maria Padula e Giuseppe Antonello Leone, si svolge inizialmente con la diffidenza di Sinisgalli verso il giovane tricaricese, suo ammiratore, che comunque non è fortemente impressionato dal poeta montemurrese ed è documentato da almeno sei foto e da tre delle otto lettere inviate da Scotellaro a Maria Padula. Con la morte di Scotellaro, Sinisgalli aprirà una rubrica, dal n. 2 della sua rivista "Civiltà delle Macchine" (1954), sulla giovane poesia lucana, pubblicando appunto alcune poesie del poeta di Tricarico, di cui, ancora nel 1964, dirà "è qui tra noi". 

Rocco Stasi (vicepresidente della Pro Loco di Tricarico) ha esaminato il rapporto di Scotellaro con le maschere della tradizione, partendo dal presupposto che il letterato lucano fosse uomo di grande cultura, assolutamente non etichettabile sotto il riduttivo epiteto di "poeta contadino". Stasi ha parlato della concretezza e determinazione di Scotellaro, uomo di grande potenza e cuore nonostante la sua giovane età, com'è evidente già dal fatto che si definisse "uno degli altri", evidenziandosi come uomo tra gli uomini, volto all'integrazione sociale. 

Il rapporto tra Scotellaro e sua madre Francesca Armento è stato affrontato da Carmela Biscaglia (Deputazione Lucana di Storia Patria), che ne ha evidenziato il legame spesso conflittuale. Rocco fu il suo penultimo figlio, nato prima di Paolo e dopo due ragazzi e una ragazza, suoi e di Rocco Vincenzo Scotellaro. La madre di Scotellaro fu una figura centrale anche nella poesia di quest'ultimo, come attesta, tra le altre, "Tu sola sei vera", ultima poesia dell'autore, scritta due giorni prima di morire, negli stessi giorni in cui le scriveva di stare meglio e si occupava delle sue povere condizioni. La Armento aveva anche scritto tre racconti, che avrebbe poi pubblicato nella rivista "Nuovi Argomenti", anche se era fondamentalmente (oltre che sarta) scrivana di lettere da inviare in America o ai fidanzati in guerra; per questa sua maggiore cultura rispetto alle donne tricaricesi del tempo, nella prima edizione di "Contadini del Sud" (1954) avrebbe scritto la prima biografia del figlio su ispirazione di Manlio Rossi-Doria. Durante la vita e dopo la morte di Rocco, avrebbe fatto da collante tra gli amici del figlio per la pubblicazione delle sue opere e l'organizzazione di convegni di studio: nel 1949, ospitò anche l'etnologo Ernesto De Martino e, nell'inverno 1952, il fotografo Fosco Maraini. L'immagine più potente di Francesca, comunque, resta quella immortalata nel telero "Lucania 61" di Carlo Levi: una donna dolente e custode della memoria del figlio fino alla sua morte nel 1968, durante una visita a Viterbo alla figlia Serafina.

La stessa moderatrice, Porzia Fidanza, ha iniziato il suo intervento rimarcando l'attualità di Scotellaro per il suo impegno civile (fu un sindaco lontano dalla logica della spartizione del potere e partecipò all'occupazione delle terre, pagando con l'accusa di concussione che gli costò quaranta giorni di carcere, che li usò per alfabetizzare alcuni detenuti nel carcere di Matera) e l'attenzione costante al confronto, come mostra il fatto che lui stesso si interfacciò a Friedman e Peck in visita a Tricarico per studiare le dinamiche sociali con i finanziamenti della Fondazione Fullbright, oltre al fatto che suoi lettori furono, tra gli altri, Levi, Pasolini e Visconti, che avrebbe dato proprio il nome di Rocco al protagonista del suo film "Rocco e i suoi fratelli". Scotellaro fu anche economista, fortemente sfiduciato verso la parcellizzazione della terra nella riforma fondiaria e sostenitore di una ruralità imprenditoriale, basata sui distretti agroalimentari e sulle reti di comuni. In "Giovani soli", sua opera teatrale, ha esortato i giovani a fare fronte comune, nel nome di questi suoi valori. 

L'antropologo Giuseppe Melillo si è, poi, impegnato a parlare delle passioni e delle donne di Scotellaro, partendo da Isabella, sua fidanzata (morta a 98 anni nell'aprile 2023 senza più essersi risposata), alla poetessa Amelia Rosselli, mentre la giornalista e scrittrice Margherita Torrio ha analizzato la scrittura e la poesia dell'intellettuale lucano alla luce del tema della cultura della famiglia e di quella politica. Entrambi gli interventi hanno evidenziato il tema dell'identità, delle rivoluzioni, dello sradicamento e della distanza che si rincorrono, prima che nell'opera, nella parabola biografica di Scotellaro. 

Gli studenti del Liceo delle Scienze Umane "Rosa-Gianturco" di Potenza (classi 3M, 4M e 4H dell'indirizzo Economico-Sociale) sono intervenuti, infine, recitando alcune poesie di Scotellaro, con interventi programmati e con un podcast dedicato al rapporto con la madre e Carlo Levi, agli influssi nella sua poesia, alle tradizioni e alle radici lucane. 

A margine del Convegno, è stata inaugurata l'esposizione "La Grande Mostra" nella Pinacoteca Provinciale, con ampia e intensa partecipazione degli studenti.

giovedì 4 maggio 2023

La Basilicata contemporanea. 46. Storia di un'amicizia: Giustino Fortunato e Donato di Marzo (Antonio Cecere)

L'importanza di Giustino Fortunato e di Donato Di Marzo è data dal loro costante impegno locale e nazionale per la linea ferroviaria ofantina (di cui abbiamo parlato in un altro post), anche i loro sforzi furono, di fatto, vanificati dall'imperante municipalismo. Il loro impegno e la loro amicizia è testimoniata dalle 250 lettere che il senatore Fortunato inviò a Di Marzo. 

Questi, nato nel 1840 da notevole famiglia avellinese (che derivava la sua ricchezza dal commercio dello zolfo), fu prima deputato - dal 1882 si presentò come candidato per il Collegio di Avellino per la Sinistra e fu eletto con 5.400 voti - e, dal 1895, senatore, oltre che consigliere provinciale nell'Avellinese, per la precisione della circoscrizione di Montefusco (1873-1896). Di Marzo, pur non essendo un assiduo frequentatore delle sedute parlamentari, come molti in quell'epoca, ebbe comunque modo di conoscere Giustino Fortunato e diventarne amico fino alla morte nel 1911, 14 anni dopo dal ritiro dalla politica attiva.

Le lettere del carteggio Fortunato-Di Marzo, pubblicate nel 2020 da Vincenzo Barra, provengono dall'archivio familiare, che comprende, oltre al nucleo "duro" di Donato Di Marzo, le lettere del nipote Alberto, anche lui deputato, e le epistole di Carolina De Marzo Capizzi. Più nel dettaglio, l'archivio epistolare di Donato di Marzo comprende 96 lettere scritte tra 1890 e 1899, altre 46 scritte dal 1900 al 1910, oltre a 27 telegrammi e 24 lettere di Giustino Fortunato all'amico (esistono anche 70 lettere di Fortunato ad altri membri della famiglia, che arrivano fino al 1927).
Nell'epistolario si evidenziano le personalità, spesso opposte, dei due amici. A Donato Di Marzo, infatti, equilibrato ma pigro e decisamente militarista, si contrappone l'impetuosità di Giustino Fortunato, attivo, antimilitarista e tormentato, e l'epistolario ci consente di seguire gli scambi tra i due amici parlamentari soprattutto a proposito dello scandalo della Banca Romana e, ovviamente, nella lunghissima vicenda della costruzione dell'Ofantina. Di Marzo fu, infatti, assertore della necessità di sviluppare una rete ferroviaria che implicasse la crescita economica e produttiva della provincia di Avellino. In ambito provinciale fu legato a Michele Capozzi, arbitro della vita provinciale avellinese, cui lo univa anche un rapporto di parentela. Nominato senatore per la 3a categoria il 25 ottobre 1896, partecipò attivamente ai lavori parlamentari in Senato. 


giovedì 6 aprile 2023

La Basilicata medievale. 16. Le fonti storiografiche sul periodo bizantino

La ricerca sulla storia dell'Italia meridionale in età bizantina (fine IX-XI secolo) risulta alquanto complessa, visto che mancano archivi, oltre al fatto che lo stato bizantino risultava molto concentrato sulla capitale, sicché la storiografia bizantina aveva poca attenzione per le province, trattate in modo più ampio dall'agiografia.

L'Italia meridionale bizantina, nell'ambito delle province plurilingui (in cui si parlava poco greco, a favore del latino), risulta di notevole importanza, comunque, a partire dalle storie locali, divise in due categorie.

Una prima è quella delle cronache quali quella di Lupo Protospata o gli "Annali Baresi", importanti come voci di Bari, contrapposta, come città "latina", alla Calabria e alla Terra d'Otranto, connotate dalla lingua greca. Queste cronache, che indicano i cambi degli imperatori e dei governatori, dando, altresì, a fronte di poca presenza ecclesiastica, spazio a notizie sulle lotte del patriziato barese. 


Una seconda categoria è data dalle storie propriamente dette. In primo luogo, le storie di principati longobardi come Salerno, Benevento, Capua, in cui si evidenziano, ovviamente, i rapporti conflittuali con Costantinopoli, come registrato nelle storie di Erchemperto e di Leone Ostiense, nelle quali emerge, altresì, Cassino per i possedimenti in terre bizantine. In questa categoria rientrano anche storici normanni come Amato di Montecassino, Guglielmo di Puglia e Goffredo Malaterra, utili per la ricostruzione degli ultimi anni del dominio bizantino.

La storiografia greca in senso stretto si interessa, invece, delle province quando sono oggetto di conquista o teatro di rivolte, come evidente nelle storie del cosiddetto "Teofane continuato" o in Skilitzes; un caso a parte è la cosiddetta Cronaca siculo-saracena, un testo greco sulla conquista araba della Sicilia e di parte della Calabria.

Ulteriore fonte per ricostruire le vicende dei domini meridionali bizantini è dato dai testi parastoriografici, in primo luogo dai testi di Costantino Porfirogenito come il De administrando imperio (una serie di consigli al figlio su come governare le varie province), il De thematibus (una descrizione delle province) e il De ceremoniis (che contiene anche istruzioni sui rapporti diplomatici). 

Ancora, notevole interesse rivestono i cosiddetti Taktikà, elenchi gerarchici dei funzionari che mostrano il progressivo smembramento dei themata in cui erano divisi i territori dell'Impero, oltre ai Consigli del cosiddetto Kekaumenos, un generale di stanza in Italia e che mostrano molti esempi tratti dalle province italiane; o, di nuovo, la lettera del monaco Teodosio sulla presa araba di Siracusa nell'878. 

Fonti arabe ci mostrano i rapporti tra emiri e funzionari bizantini in Sicilia e in Calabria o, ancora, la nota cronaca ebraica di una famiglia originaria di Oria testimonia la politica di conversione al cristianesimo degli ebrei da parte di Basilio II, peraltro già testimoniata da Teofane e dalla già citata Cronaca siculo-saracena.

Infine, si è già detto delle agiografie, tra cui spiccano quelle di San Nilo il Giovane di Rossano e di San Saba - quest'ultima evidenzia i legami "internazionali" della Calabria, visto che fu scritta dal patriarca di Gerusalemme.

giovedì 23 marzo 2023

La Basilicata moderna. 44. Potenza post-napoleonica

La gestione di un capoluogo non fu mai, nella tarda modernità del Mezzogiorno d’Italia, una cosa facile, tanto meno in una provincia così vasta e con problematiche così ampie e complesse come la Basilicata. Fin dall’inizio del Decennio napoleonico, infatti, Potenza si trovò improvvisamente “catapultata” in un ruolo che la cittadina basentana non era preparata a svolgere, per evidenti limiti strutturali e per le spese che una riconfigurazione urbana ed amministrativa avrebbe (come di fatto avvenne) comportato. 

Analizzando Potenza dopo il 1820, emerge chiaramente come questi precondizionamenti influirono pesantemente sullo svolgimento dell’attività politico-istituzionale ed amministrativa, oltre che sui processi di sviluppo economico. Una «modernizzazione difficile» che investì tutte le energie del Decurionato e che, nel contempo, accelerò i processi di formazione della borghesia potentina, con stretti – e non sempre limpidi – intrecci familiari nell’ambito dell’amministrazione. Il decennio 1820-1830, infatti, fu un periodo vissuto all’insegna della difficoltà, tra imprevisti dettati dalle esigenze del potere centrale, lotte di potere all’interno della borghesia cittadina e oggettive difficoltà nell’adeguamento del progetto di città capoluogo. Città di “volontà”, più che pre-strutturata, Potenza visse un decennio di profondi mutamenti, contrassegnati dal cronico deficit del bilancio comunale, per cui ogni “imprevisto” finiva per essere percepito – e per essere, di fatto – come una vera e propria catastrofe per le casse comunali. Si pensi, ad esempio, che ancora il 10 novembre 1833 il sindaco Viggiani faceva riferimento agli eventi che avevano seguito la Rivoluzione del 1820-21 e che per Potenza segnarono una «triste epoca» sia dal punto di vista amministrativo che, soprattutto, economico, affermando: «nell’anno 1822 essendo giunti in questo Capoluogo le Imperiali, e Reali Truppe Austriache, la Comune a sue spese dovè somministrare le forniture, dimodoché erogò circa d. 3000, che deve ancor conseguire dalla Reale Tesoreria»

Queste esigenze centrali, come anche la necessità, oggettiva, di costruire il capoluogo incisero notevolmente sull’attività amministrativa ed economica di Potenza, dove, peraltro, gli intrecci tra le famiglie più in vista si facevano di anno in anno sempre più stretti, con una rete “invisibile” che costituiva un establishment connotato da scarso, quasi nullo, turnover delle cariche istituzionali-amministrative. In effetti, dal percorso risultano, scorrendo i registri delle delibere, nomi ricorrenti di famiglie in vista, dai Viggiani ai Castellucci, dai Maffei ai Giambrocono, dagli Amati agli Addone. Molti di essi, per non dire tutti, gestirono l’amministrazione comunale per decenni, senza soluzioni di continuità, disinvoltamente spostandosi nell’organigramma decurionale e, ove ciò non fosse oggettivamente possibile, partecipando all’attività gestionale attraverso importanti appalti “pilotati”, da quello dell’acquedotto a quello, fondamentale e assai redditizio, delle opere pubbliche. 

Eppure, in questo quadro “gattopardesco”, i problemi furono di fatto insormontabili, dovuti ai costi della gestione quotidiana, con cause e ritardi protrattisi per decenni, come, ad esempio, quelli relativi all’imposta fondiaria. Basti pensare che il 14 novembre del 1831 il Decurionato delegava Luigi Lavanga a rappresentare il Comune nella causa davanti al Consiglio d’Intendenza per la riscossione dell’imposta fondiaria non pagata dal comune stesso al Capitolo della Trinità dal 1813.

Una difficile modernizzazione, dunque, quella di Potenza, messa al banco di prova della gestione dell’attività del Capoluogo, un fattore di grande incidenza non solo rispetto al suo spazio e al suo assetto urbano, ma anche della sua identità in un percorso in cui la portata e l’incidenza delle scelte operate in età napoleonica sarebbero state più concretamente percepibili nel lungo periodo.


Risorgimento lucano. 45. La medaglia d'oro al valore alla città di Potenza

  FONTE: "Il Lucano" nel 50 anniversario della rivoluzione lucana, 1860-1910 , Potenza, Garramone e Marchesiello, 1910, p. 21.