giovedì 24 aprile 2025

Personaggi. 33b. Giuseppe Pennella. II. Il generale

Nel giugno 1906 la promozione a maggiore e l'assegnamento al 1° reggimento granatieri di Sardegna segnarono il primo punto di svolta nella carriera di Giuseppe Pennella. Il comando della brigata dei granatieri diede un forte impulso ai suoi studi in materia di military training e di tattica, oltre che a legarlo indissolubilmente a quella specialità dell'arma di fanteria.

L'anno successivo pubblicò Saggi di tattica applicata per minori reparti delle tre armi (I-III, Roma 1907), seguito nel 1908 dal suo più importante lavoro editoriale Il vademecum dell'allievo ufficiale di complemento (Roma 1908). Questo testo  fu ristampato in oltre ventuno edizioni (con circa 125 mila copie vendute) e divenne uno dei più diffusi e utilizzati per l'addestramento degli ufficiali di complemento per tutta la durata della Grande Guerra. Nel vademecum emerse il carattere conservatore della visione tattica di Pennella: secondo l'autore «la parte disciplinare è quella veramente sostanziale da cui scaturisce l'attitudine all'azione collettiva» (ivi, p. 15) e per questo l'ufficiale, soprattutto se di complemento, doveva mantenere un distacco rispetto ai soldati e pretendere assoluta ubbidienza dai propri sottoposti. Per Pennella l'impatto della tecnologia bellica e della produzione industriale era ancora minoritario in una guerra dove l'elemento morale imperava su quello materiale: nella sua concezione tattica l'assalto all'arma bianca era giustificato in quanto «la baionetta è sovratutto un'arma morale; simboleggia la ferma decisione di andare fino in fondo» (ivi, p. 19). Pennella si schierò, quindi, con la scuola ‘offensivista’, maggioritaria nell'ambiente dello stato maggiore italiano e delle altre potenze europee in quegli anni, per cui la difesa poteva essere tollerata solamente se aveva la controffensiva come «suo obbiettivo supremo e finale» (ivi, p. 24).

Dopo un periodo nel corpo di stato maggiore della divisione militare di Bari fra il 1908 e il 1911, Pennella fu promosso colonnello nel luglio 1911. Nell'aprile 1915, a ridosso dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa, venne nominato capo ufficio dello scacchiere occidentale presso il corpo di stato maggiore, grazie anche ad alcune ricognizioni topografiche svolte in gioventù nell'area del confine italo-francese. All'ordine di mobilitazione del 23 maggio Pennella fu richiamato presso il comando supremo, prima, in quanto responsabile dell'ufficio armate, poi, come capo ufficio del generale Luigi Cadorna nel luglio 1915. La vicinanza e il rapporto stretto con Cadorna gli permise, nel novembre dello stesso anno, di farsi assegnare come comandante della brigata granatieri di Sardegna, che mantenne, dopo essere stato promosso maggiore generale nel marzo 1916, fino al maggio 1917. In quel periodo si distinse per il comando nella battaglia di Monte Cengio, svoltasi fra il 29 maggio e il 3 giugno 1916, e nei combattimenti attorno al Lenzuolo Bianco, nei pressi di Gorizia nell'agosto dello stesso anno, dove rimase gravemente ferito al viso, perdendo l'occhio destro. Durante l'esperienza bellica al fronte Pennella mantenne una fitta corrispondenza con la moglie Elisa e le figlie Maria e Antonietta.

Sulla sua esperienza durante quella prima fase della Grande Guerra, Pennella scrisse altresì un lungo memoriale intitolato Dodici mesi al comando della brigata granatieri (Roma 1923).

Nel maggio del 1917 gli venne conferito il comando della 35ª divisione di fanteria, che combatteva al fianco delle altre truppe dell'Intesa nel Montenegro. A causa di evidenti disaccordi con il comando francese del corpo di spedizione, fu rimpatriato in Italia e, dopo la promozione a tenente generale nell'agosto 1917, fu assegnato al comando dell'XI corpo d'armata. Nel marzo 1918 fu messo al comando della 2ª armata, poi rinominata 13ª armata, e nel giugno 1918 si distinse per la difesa del Montello, durante la battaglia del Solstizio; in quello scontro Pennella e i suoi uomini riuscirono a contenere lo sfondamento dell'offensiva austro-ungarica anche a costo di notevoli perdite e di un utilizzo draconiano della disciplina. La sua fama crebbe molto per la vittoria riportata, superando i confini della penisola fino a essere indicato l'8 settembre 1918 dal quotidiano francese Le Petit Journal, assieme a Giuliano Ricci, come il vincitore della battaglia del Solstizio.

A causa di profondi dissapori con il capo di stato maggiore Armando Diaz, Pennella fu esonerato dal comando della 13ª armata e fu ricollocato alla testa del XII corpo d'armata il 25 giugno 1918. Durante l'offensiva di Vittorio Veneto Pennella e le sue truppe liberarono i paesi di Pergine Valsugana e Giavera del Montello, dove rimase forte la memoria dell'evento e dove, dopo la sua morte, fu eretta una statua in suo onore.

Nell'agosto 1919, a guerra finita, fu assegnato al comando della zona militare di Trieste e, successivamente, gli fu conferito il comando del corpo d'armata di Firenze. Nel primo dopoguerra mantenne per un periodo limitato contatti con uomini politici, tra i quali Leonida Bissolati, ma successivamente fu emarginato da Diaz e dai nuovi comandi. A causa di questo allontanamento e della conseguente marginalizzazione, la sua salute fisica deteriorò velocemente; Pennella si rinchiuse in uno stato di quasi isolamento nella sua villa di Fiesole. Per questo motivo molti dei suoi ex commilitoni lo soprannominarono ‘il generale silenzioso’.

Morì a Firenze il 15 settembre 1925.

FONTE: Voce di M. Cristante, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2015, vol. 82.

giovedì 10 aprile 2025

Personaggi. 33a. Giuseppe Pennella. I. Lo studioso

Nacque a Rionero in Vulture (Potenza) l'8 agosto 1864 da Antonio e Maddalena Plastino.

Entrato come allievo alla scuola militare Nunziatella di Napoli nel 1877, ne uscì nel 1881. Proseguì gli studi all'Accademia militare di Modena, fino a conseguire il grado di sottotenente nel luglio 1883. Assegnato al 22º reggimento di fanteria, fu promosso tenente nel settembre 1886; dopo essere stato comandato temporaneamente al corpo di stato maggiore, il 18 ottobre 1896 fu promosso alla guida di una compagnia dell'11° reggimento di fanteria con il grado di capitano; fu promosso successivamente allo stato maggiore dell'11º reggimento di fanteria e destinato al comando del corpo. Dopo la nomina a cavaliere della Corona d'Italia nel 1902, venne inviato come addetto al comando dell'VIII corpo d'armata nel marzo 1904.

In quel periodo la figura di Pennella si impose nel dibattito pubblico grazie alla pubblicazione di alcuni articoli e saggi che ebbero un discreto successo, come testimoniato dalle molteplici riedizioni dei suoi scritti. Si era interessato soprattutto alle questioni legate all'organica militare, da cui nacque il pamphlet intitolato La questione urgente. Il problema dei quadri nel R. Esercito italiano (Roma 1902). Successivamente si concentrò sull'istruzione e sull'addestramento della fanteria; la formazione del soldato e dell'ufficiale diventarono i temi principali delle sue trattazioni che negli anni precedenti il primo conflitto mondiale confluirono in due libri: Studio comparativo fra i regolamenti di esercizi per la fanteria in Germania, Svizzera, Italia, Francia, Russia ed Austria (Roma, 1902) e Il nuovo regolamento di esercizi per la fanteria commentato e comparato a quello finora in vigore (Roma 1905). La maggior parte delle sue opere furono stampate dalla Casa editrice italiana, editore di spessore nel panorama delle pubblicazioni militari; il che diede buona diffusione al suo pensiero fra il ristretto pubblico competente e interessato alla materia. Pennella aveva uno stile lirico nella scrittura e un gusto particolare per la poesia, che lo aiutarono a guadagnarsi le lodi di molti militari e civili.

FONTE: Voce di M. Cristante, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2015, vol. 82.  


giovedì 20 marzo 2025

Un libro lucano sui briganti lucani

 

Sabato 22 marzo, ad Avigliano, alle ore 18, presso la sala “Andrea Claps” della S.O.M.S., si terrà la presentazione del nuovo libro di Angelo Lacerenza, dal titolo “Il brigantaggio meridionale dopo l’Unità d’Italia: tra storiografia, identizzazione e mitizzazione”.

Il mito del brigantaggio postunitario rappresenta una narrazione storica che ha avuto un forte impatto sulla costruzione dell'identità nazionale italiana. Dopo l'unità d'Italia, il fenomeno del brigantaggio, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, venne interpretato in modo ambiguo: se da un lato veniva visto come una reazione violenta contro l'occupazione sabauda e le sue politiche, dall'altro fu presentato come una "barbarie" da sradicare per consolidare l'unità nazionale. Con questo testo, Lacerenza riconsidera il tema della mitizzazione e dell'identità del  brigante, basandosi non solo sulle complesse motivazioni sociali ed economiche che stavano alla base di questi movimenti di resistenza, ma anche al tema delle "classi pericolose" che riduceva tali fenomeni a mera criminalità. 

Un incontro, dunque, da non perdere per una riflessione seria e pacata su un tema quanto mai attuale e scottante per studiosi e appassionati.

Risorgimento lucano. 46. I facinorosi della provincia di Basilicata (17 ottobre 1821)

 




FONTE: Archivio di Stato di Potenza, Intendenza, Lista di Facinorosi-Iscrizioni-1821, fasc. 211bis.

giovedì 6 marzo 2025

Il Mezzogiorno moderno. 27. Ancora sul Catasto Onciario (Antonio Cecere)

Il catasto Onciario (o Carolino) fu così chiamato dal momento che per la valutazione dei beni da tassare venne usata l’oncia . 

La riforma fiscale del Regno di Napoli e di Sicilia, voluta da Carlo di Borbone (1741), aveva lo scopo di reperire risorse necessarie al finanziamento di uno Stato Moderno; e si caratterizzava per una più giusta equità sociale, in quanto tassava i grandi patrimoni, specie quelli ecclesiastici e parte di quelli feudali .

Carlo di Borbone, “Don Carlos”, figlio del Re Filippo V di Spagna e della Regina Elisabetta Farnese, dopo la vittoria di Bitonto nel 1734 sull’esercito austriaco divenne Re di Napoli e di Sicilia e ripristinò dopo oltre due secoli di dominazione, prima spagnola, poi austriaca, l’indipendenza del Regno di Napolie il suo ritorno agli antichi splendori (dobbiamo al Re Carlo il Teatro di S. Carlo, il più antico teatro lirico d’Europa, inaugurato il 4 novembre 1737, giorno onomastico del sovrano).

Il nuovo catasto doveva provvedere al censimento della ricchezza prodotta dalla popolazione del Regno e arginare il potere fiscale detenuto dalla Regia Camera della Sommaria. Si volle adottare un sistema tributario più equo basato sulla tassazione degli abitanti (e non su quella dei beni e della ricchezza in genere) e dei beni ecclesiastici e feudali fino ad allora non soggetti a imposte.  Infatti, fino alla metà del XVIII secolo, il sistema utilizzato dalle Università  del Regno di Napoli era a gabella e a battaglione.

Il sistema della gabella prevedeva imposte calcolate sui consumi, specie sulle derrate alimentari, come il grano ed il sale. L’altro, detto a catasto o inter cives, volgarmente chiamato a battaglione, prevedeva la stima dei beni di proprietà dei cittadini e dei redditi provenienti dalle loro attività. Lo scopo della riforma era quindi quello di registrare contemporaneamente la popolazione e la ricchezza da essa prodotta ed assicurare un prelievo fiscale  uniforme in tutto il Regno. 

Il catasto Onciario fu ordinato da Carlo di Borbone con dispaccio del 4 ottobre 1740 e regolato da una serie di disposizioni emanate dalla Regia Camera della Sommaria tra il 1741 ed il 1742, per un totale di 12 Prammatiche riunite tutte sotto lo stesso titolo, Forma censualis, et capitationis, sive de catastis, la prima delle quali è del 17 marzo 1741, l’ultima del mese di settembre 1742. Accanto alle precise istruzioni  relative alla formazione degli Onciarii venne disposto, fra l’altro, che anche i feudatari dovessero esibire le rivele di tutti i loro beni, affinché questi potessero essere accatastati rispettando tutte le formalità stabilite dalle Prammatiche stesse. 

Il catasto fornisce, a tutti gli effetti, dettagliate informazioni sui beni dei contribuenti: delle abitazioni è descritta la tipologia, l’ubicazione, spesso anche la grandezza (“casa palaziata”, “comprensorio di case di vani soprani e sottani”); dei terreni sono indicati i confini, l’estensione e la natura delle colture; vi è quindi la descrizione degli eventuali capi di bestiame.

All’elenco dei beni segue quello dei pesi, costituiti, in genere, dal pagamento di censi e canoni agli enti ecclesiastici e al feudatario e da interessi su capitali presi in prestito.

Il catasto fornisce, altresì, dettagliate informazioni sui nuclei familiari, indicando, per ciascuno di essi, il numero dei componenti, la loro età, l’attività svolta ed il rapporto di parentela con il capofamiglia.

Per la realizzazione del catasto tutte le Università, eccettuati Napoli e i suoi casali, ed alcune province della Calabria Ultra, esentate da imposte, dovettero eleggere dei deputati e degli estimatori, incaricati della compilazione degli “atti preliminari” e, rispettivamente, della valutazione ("apprezzo") dei beni. I cittadini e coloro che possedevano beni erano invece tenuti alla redazione delle "rivele", vere e proprie autocertificazioni nelle quali, oltre ad elencare i componenti della famiglia con le relative attività, dovevano riportare i redditi e gli eventuali pesi deducibili ai fini del calcolo dell’imponibile. Al compimento della raccolta delle rivele, sostituite, in mancanza di esse, dalle valutazioni degli estimatori, veniva redatto il libro del catasto, nel quale era riportato il calcolo della tassa a carico di ciascun nucleo familiare.

Per un preciso censimento della popolazione del Regno, fu richiesta anche l’opera dei Parroci, che, mediante il cosiddetto Stato delle Anime , nel quale si registravano battesimi, matrimoni e morti, erano i soli ad avere un quadro preciso della popolazione residente. 

Il Catasto Onciario costituì un importante antecedente dell’introduzione dello Stato Civile, poi voluto da Gioacchino Murat a partire dal 1809, e rappresenta un documento importante ai fini della ricostruzione delle condizioni economiche e sociali dei nostri antenati nel secolo XVIII, dal momento che elenca analiticamente le singole famiglie , con indicazione dei nomi dei componenti, della loro età, dei rapporti di parentela, e i relativi possedimenti.

Per complessità, resistenze incontrate e ritardi nella stesura - poche Università riuscirono a redigere i catasti entro il termine stabilito di quattro mesi e la maggior parte li portarono a compimento in ritardo - il catasto onciario si rivelò un sostanziale fallimento, almeno dal punto di vista della modernizzazione del sistema fiscale del regno.


giovedì 27 febbraio 2025

Paesi lucani. 69. Cenni sulla Fontana Angioina di Venosa (Sofia Iannielli)

La Fontana cosiddetta Angioina fu eretta nell'anno 1298, in onore del re Carlo I D'Angiò, che soggiornò in Venosa nel settembre 1271 e successivamente nel giugno 1272. La fontana Angioina è all’ingresso di Venosa, ma dentro il centro storico in una piazzetta che si affaccia sul paesaggio. 

Nei dintorni c’è anche un’altra fontana molto più piccola, ma anch’essa ricca di fascino e di memoria: la fontana di Messer Oto. 

La fontana Angioina presenta due maestosi leoni in pietra che hanno sotto i piedi un ariete, raffigurazione simboleggiante la forza dell'Impero Romano (considerata la provenienza romana dei leoni ricavati da altri manufatti già presenti in loco) posti alle estremità della fontana. Una parte di colonna romana è posta al centro. È anche un importante tappa per la processione (dopo la lavanda dei piedi che si svolge in Piazza San Giovanni de Matha), dove Gesù viene tradito da Giuda Iscariota. Attualmente è di nuovo attiva, con un nuovo rubinetto.



giovedì 13 febbraio 2025

Paesi lucani. 68. Cenni su Laurenzana e la fontana di San Silvestro (Martina Giordano)

Laurenzana. come molti paesi della Basilicata, affonda le sue origini nel Medioevo, quando ragioni di difesa portarono allo svilupparsi dei primi insegnamenti intorno alla rupe. La successiva crescita avvenne intorno ai due poli costruiti dalla chiesa madre e dal castello.


Le prime fonti documentarie risalgono al periodo normanno. In epoca successiva, gli Angioini apportarono notevoli cambiamenti sia al castello che al centro abitato che viene per la prima volta racchiuso da una cinta muraria munita di torri, rotonde e scarpate. 

Solo nel XVII secolo, in conseguenza della crescita urbana e degli scambi commerciali, le torri della cinta muraria furono assorbite nel tessuto urbano e utilizzate per uso civile. L’organismo urbano si sviluppò successivamente, lungo il percorso di crinale dove sorsero i maggiori palazzi della borghesia. Elementi caratteristici furono i numerosi “archi” a sottopasso, archi utilizzati anche per la realizzazione della fontana di San Silvestro (detta Tempone, forse per le sue grandi dimensioni), struttura realizzata in pietra, caratterizzata da tre grandi archi; nell’arcata centrale da cui fuoriusciva l’acqua vi era un grande lavatoio nel quale le donne andavano a lavare i panni e gli animali andavano ad abbeverarsi. Difficile trovare immagini e storia di questa fontana, poiché venne murata in seguito alla modernizzazione del paese. 



Personaggi. 33b. Giuseppe Pennella. II. Il generale

Nel giugno 1906 la promozione a maggiore e l'assegnamento al 1° reggimento granatieri di Sardegna segnarono il primo punto di svolta nel...