giovedì 6 agosto 2020

La Calabria. 2. Il sisma del 1783

Il terremoto del 1783  fu una catastrofe di dimensioni tali da non essere superata nemmeno dal terremoto del 1908. I morti per i crolli furono circa 40.000 (l’8% della popolazione del tempo), ma altre 1500 persone, che si erano riparate sulla spiaggia per sfuggire ai crolli,  morirono perché spazzate via dalle onde di maremoto che seguirono le scosse principali, e altre 18.000 morirono l’estate successiva per un’epidemia di febbri dovute alla situazione di degrado innescata dal terremoto.
La crisi sismica cominciò la notte del 5 febbraio 1783 e durò per ben tre anni, contrassegnata da cinque scosse tra il decimo e l’undicesimo grado, scaglionate nei primi due mesi, con epicentri che si spostavano dalla zona dello stretto verso quella di Catanzaro. In particolare, tra il 5 febbraio e il 28 marzo si verificarono 5 scosse fortissime (5 febbraio, 6 febbraio, 7 febbraio, 1 marzo e 28 marzo 1783) e diverse centinaia di scosse minori, i cui effetti complessivi furono devastanti sulla maggior parte del territorio calabrese e in Sicilia nord-orientale. Le scosse più violente colpirono dapprima (5 e 6 febbraio) la Calabria meridionale, investendo tutta l’area dell’Aspromonte e dello Stretto di Messina, poi (7 febbraio, 1 e 28 marzo) la Stretta di Catanzaro, cioè l’area compresa tra il golfo di Sant’Eufemia e il golfo di Squillace.
Gli effetti distruttivi  si estesero a tutta la Calabria centro-meridionale, a Messina e al suo circondario. Furono totalmente distrutti 182 paesi, dei quali 33 ricostruiti altrove; si formarono ben 200 laghi ed un’intera montagna precipitò in mare nei pressi di Scilla. Le scosse del 5 e del 6 febbraio causarono uno tsunami, con grandi ondate che investirono estesi tratti di costa. In particolare, il tratto di costa tirrenica compreso tra Scilla e Bagnara Calabra fu colpito dal catastrofico maremoto che seguì la seconda, forte scossa, quella avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 febbraio: le fonti storiche del tempo, Vincenzo Sarconi [1784] e Nicola Vivenzio [1788], parlano di un’onda alta tra i 6 e gli 8 m che travolse le barche, le baracche e le tende che ospitavano la popolazione di Scilla, rifugiatasi sulla spiaggia in seguito alla scossa del giorno precedente. L’area in cui erano compresi i danni più gravi si estendeva per tutta la Calabria meridionale, dal Vibonese allo Stretto di Messina, ma i suoi massimi effetti raggiunsero il grado XI della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) nella Piana di Gioia Tauro. La scossa fu avvertita in un’area vastissima, estesa a tutta la Sicilia e a gran parte dell’Italia meridionale, fino alla costa amalfitana e al Salento (Fonte: DBMI11).
In gran parte della provincia, la vita sociale ed economica rimase totalmente paralizzata, e la popolazione fu ridotta alla fame.
L’opera di soccorso fu immediata ed esemplare: dalla capitale il re Ferdinando IV di Borbone, nominando Vicario generale delle Calabrie il conte Francesco Pignatelli, con l’incarico di organizzare i primi soccorsi e seguire la lunga fase della ricostruzione, mandò ingenti somme e ingegneri  per la ricostruzione, che per la prima volta venne fatta in modo pianificato e  sulla base delle prime norme antisismiche emanate dal governo proprio in  occasione di questo evento sismico.

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