giovedì 10 luglio 2014

Scrittori di Magna Grecia. 4. Il Ciclo Epico

Sotto questa denominazione complessiva si indicano i poemi posteriori ad Omero che intendevano completare il racconto della guerra troiana, narrandone le cause e gli sviluppi post-iliadici, inquadrando i miti di Troia nel contesto delle imprese eroiche dall'origine degli dei alla morte di Odisseo.
In tal modo i poemi epici formavano un "ciclo", ossia una narrazione continua dei grandi miti divini ed eroici, in cui venivano inseriti, con opportune modifiche a proemi e finali, i poemi omerici. Purtroppo di questa "catena epica" non abbiamo che pochi ed insignificanti frammenti, che ci consentono solo di capire come gli antichi avevano disposto le varie narrazioni in un corpo organico.
Sappiamo che all'inizio del racconto ciclico erano posti due poemi che narravano la nascita degli dei e i regni divini di Urano, Crono e Zeus (Teogonia), seguiti dall'instaurazione del dominio di Zeus dopo la guerra contro i Giganti (Gigantomachia).
I poemi che narravano la storia mitica di Tebe e dei sovrani Labdacidi, discendenti di Cadmo, formavano il Ciclo Tebano, spesso attribuito ad Omero stesso: ma su questa attribuzione già Erodoto avanzava seri dubbi. Il mito di Edipo, che sconfigge la Sfinge e inconsapevolmente infrange il tabù dell'incesto sposando sua madre Giocasta e accecandosi quando ne veniva a conoscenza, era narrato nell'Edipodia, in cui la discrepanza maggiore rispetto al mito poi divenuto canonico grazie alla tragedia greca era che Edipo non abbandonava Tebe, ma si risposava dopo il suicidio di Giocasta, avendo da questa seconda moglie i figli e le figlie. Al poema di Edipo seguiva la Tebaide, in cui Edipo, cieco e umiliato dai figli, aveva lanciato su di essi due maledizioni consecutive, per cui avrebbero dovuto dividersi il regno con le armi in pugno e avrebbero dovuto uccidersi l'un l'altro. La spedizione dei Sette duci di Argo avveniva, e con esiti catastrofici, per cui i due fratelli si uccidevano a vicenda, l'indovino Anfiarao veniva inghiottito dalla terra e Tideo, mortalmente ferito da Melanippo, lo uccideva e ne beveva il cervello. L'unico a salvarsi era Adrasto, re di Argo, con il suo cavallo divino Areion, mentre i Sette venivano onorati con solenni funerali, come nel finale dell'IliadeGli Epigoni, sulla conquista di Tebe da parte dei figli dei Sette, molti dei quali avrebbero partecipato alla guerra di Troia, chiudevano la saga tebana, ampiamente nota e presupposta nell'Iliade.

Il Ciclo Troiano
Si giungeva, così, all'evento mitico centrale, la guerra troiana, e al cosiddetto Ciclo Troiano, i cui contenuti ci sono noti grazie al riassunto dei vari poemi fatto nel V sec. d.C. dal filosofo Proclo nella sua Crestomazia, una sorta di corso di letteratura greca di cui il patriarca bizantino Fozio (IX d.C.) ha riassunto i primi due libri, sull'epica e la lirica.
1. Canti Cipri (Kypria)
In 11 libri, attribuito a Stasino di Cipro (genero di Omero), era il primo, e più ampio, poema del Ciclo Troiano e narrava le vicende che avevano portato alla guerra di Troia. Il titolo del poema era già agli antichi poco chiaro: si oscilla tra l'ipotesi che indicherebbe il fatto che il poeta che lo compose era nativo di Cipro e quella che incentra il titolo sull'azione di Afrodite, appunto la dea di Cipro.
Sicuramente i Canti Cipri erano successivi all'Iliade, in quanto ne presuppongono vari particolari, come ad esempio il viaggio di Elena e Paride-Alessandro verso Troia, la contesa di Achille e Agamennone su Briseide e Criseide e il "consiglio di Zeus" di suscitare l'ira di Achille. Lo stesso Zeus, nel fr. 1, appare suscitatore della guerra per un motivo "provvidenziale", mosso a pietà dal fatto che:

Infinite schiere d'uomini calcavan la Terra col loro peso:
Zeus d'essa ebbe pietà e in cuor decise
di suscitare una terribile guerra.

Nonostante la mancanza di un filo conduttore, anche etico, i Kypria sono da rivalutare, attraverso l'esame dei 24 frammenti rimastici, per la complessità della visione narrativa e per l'accorta rielaborazione di elementi tradizionali (Huxley).
Ecco quanto riferisce Proclo sulla trama del poema:

"Zeus si accorda con Temi sulla guerra di Troia.
Eris, trovatasi mentre gli dei banchettano alle nozze di Peleo, suscita una contesa per la bellezza tra Atena, era ed Afrodite che, per ordine di Zeus, vengono da Ermes portate sull'Ida da Alessandro per il giudizio: e Alessandro sceglie Afrodite, eccitato per le nozze con Elena. In seguito, poiché glielo consiglia Afrodite, costruisce una flotta, Eleno (figlio di Priamo) predice loro il futuro ed Afrodite invia Enea a navigare insieme a lui. E Cassandra presagisce ciò che sta per accadere.
Arrivato nella regione di Sparta, Alessandro viene ospitato dai Tindaridi (Castore e Polluce, fratelli di Elena) e, in seguito, a Sparta da Menelao: Alessandro, durante il banchetto, dà ad Elena dei doni. In seguito, Menelao naviga verso Creta, avendo esortato Elena a provvedere al necessario per gli ospiti finché non se ne fossero andati. In questo momento Afrodite unisce Elena ad Alessandro e, dopo l'unione, caricata la maggior parte delle ricchezze, salpano nottetempo.
Ma Era scatena contro di loro una tempesta e, giunto a Sidone, Alessandro conquista la città. Salpato verso Ilio, si unisce in matrimonio con Elena.
Nel frattempo s'era scoperto che Castore e Polluce erano ladri dei buoi di Ida e Linceo (loro cugini). Mentre Castore è ucciso da Ida, Linceo e lo stesso Ida, però, sono uccisi da Polluce, e Zeus concede loro l'immortalità a giorni alterni.
Dopo ciò, Iride annuncia a Menelao ciò che è avvenuto a casa sua. Sopraggiunto, si accorda col fratello sulla spedizione contro Ilio, e Menelao va da Nestore.
Nestore, in un colloquio, gli narra come Epopeo, violentata la figlia di Licurgo, fu ucciso, le vicende di Edipo, la pazzia di Eracle e le vicende di Teseo e Arianna.
Poi riuniscono i capi dopo esser giunti in Ellade e, rapito il piccolo Telemaco per punizione, per consiglio di Palamede, svelano che Odisseo si fingeva pazzo perché non voleva unirsi alla spedizione.
In seguito, riunitisi ad Aulide, compiono dei sacrifici, si spiegano gli eventi del serpente e dei passeri e Calcante predice loro le conseguenze.
Poi, partiti, arrivano a Teutrania e la saccheggiano credendola Ilio. Telefo porta soccorsi, uccide Tersandro, figlio di Polinice, ma è lui stesso ferito da Achille.
Mentre salpano dalla Misia, si abbatte su di loro una tempesta e si disperdono. Achille, arrivato a Sciro, sposa Deidamia, figlia di Licomede.
Poi Achille guarisce Telefo, arrivato ad Argo per diventare, secondo un oracolo, un capo della navigazione contro Ilio.
Radunata una seconda volta la flotta in Aulide, Agamennone, colpito un cervo durante la caccia, afferma di essere migliore anche di Artemide e la dea, adirata, impedisce loro di navigare scatenando delle tempeste. Poiché Calcante rivela l'ira della dea ed esorta a sacrificare Ifigenia ad Artemide, si accingono a sacrificarla come se la conducessero in sposa ad Achille: ma Artemide, rapitala, la porta in Tauride e la rende immortale, mentre sull'ara pone un cervo al posto della ragazza.
In seguito navigano verso Tenedo e, mentre banchettano, Filottete, colpito da un serpente d'acqua, viene lasciato a Lemno per la puzza (della ferita), e Achille, invitato tardi, litiga con Agamennone.
Poi, giunti ad Ilio, i Troiani li ricacciano e Protesilao muore per mano di Ettore: in seguito Achille li respinge dopo aver ucciso Cicno, figlio di Poseidone, e rimuovono i morti.
(I Greci) mandano ambasciatori dai Troiani a chiedere Elena e le ricchezze ma, poiché quelli non ascoltano, allora assalgono le mura. Poi, attraversata la regione, saccheggiano anche le città vicine. Dopo questo, Achille vuole ammirare Elena, e Afrodite e Teti li portano in uno stesso luogo.
Achille trattiene gli Achei che si preparano a tornare indietro e poi allontana i buoi di Enea, saccheggia Lirnesso e Pedaso e molte delle città vicine ed uccide Troilo. Patroclo vende Licaone dopo averlo portato a Lemno e Achille prende in dono dalle prede Briseide, mentre Agamennone (prende) Criseide.
In seguito c'è la morte di Palamede ed il consiglio di Zeus per alleggerire i Troiani allontanando Achille dall'alleanza con i Greci.
E (c'è) un catalogo di quelli che combattono insieme ai Troiani".

2. Etiopide (Aithiopìs)
Uno dei più noti poemi del Ciclo era il proseguimento dell'Iliade nel poema in 5 libri di Arctino di Mileto (VII sec. a.C.), che traeva il titolo, Etiopide, dall'episodio centrale, l'arrivo dell'etiope Memnone, nipote di Priamo, in soccorso a Troia.
Arctino, autore anche di una Presa di Ilio ugualmente riassunta da Proclo, era celebrato dagli antichi per la drammaticità e l'attenzione metrica e stilistica del suo poema (di cui abbiamo solo due frammenti), che si saldava all'Iliade già in un finale "a catena" che chiudeva il poema omerico al posto di quello consueto. Infatti l'ultimo verso della nostra Iliade è:

così essi onoravano la sepoltura d'Ettore domator di cavalli.

Mentre le note marginali a questo verso affermano che il finale "ciclico", o anche l'inizio del poema di Arctino, era:

così essi onoravano la sepoltura d'Ettore domator di cavalli;
e venne l'Amazzone figlia del magnanimo Ares uccisor d'uomini.

Qui di seguito diamo il riassunto di Proclo:

"Giunge in aiuto dei Troiani l'Amazzone Pentesilea, figlia di Ares e di stirpe tracia: Achille la uccide mentre combatte con valore, ma i Troiani la seppelliscono. Achille uccide Tersite, offeso e deriso da lui che parla di un innamoramento per Pentesilea: e per questo tra gli Achei nasce una rivolta per l'omicidio di Tersite. In seguito, Achille naviga per Lesbo e, fatti sacrifici ad Apollo, Artemide e Leto, viene purificato dell'assassinio da Odisseo.
Il figlio dell'Aurora, Memnone, arriva a portare aiuto ai Troiani con un'armatura lavorata da Efesto; e Teti predice al figlio le vicende di Memnone. Durante uno scontro, Antiloco (figlio di Nestore) è ucciso da Memnone, e poi Achille uccide Memnone: ed Aurora, che l'ha chiesta a Zeus, gli dà l'immortalità.
Achille, respinti i Troiani e spintosi all'interno della città, è ucciso da Paride ed Apollo: accesasi una violenta battaglia per il cadavere, Aiace lo raccoglie e lo porta alle navi, mentre Odisseo combatte i Troiani. Teti, arrivata con le Muse e le sorelle (Nereidi), eleva il lamento funebre sul figlio: poi Teti (stessa), portato via il figlio dalla pira, lo trasporta nell'isola Leuca.
Gli Achei, innalzato un tumulo, bandiscono i giochi funebri, e tra Odisseo ed Aiace scoppia una lite per le armi di Achille".

3. Piccola Iliade (Mikra Iliàs)
Il poema di Arctino sembra interrompersi, nel riassunto di Proclo, alla contesa per le armi di Achille tra Aiace ed Odisseo, già nota all'Odissea, ma i frammenti dell'Etiopide in nostro possesso sembrano indicare che l'Etiopide proseguiva il racconto del giudizio delle armi fino al celebre suicidio di Aiace. Probabilmente Proclo ha tagliato l'Etiopide e ha proseguito con la Piccola Iliade di Lesche di Mitilene (probabilmente contemporaneo e rivale di Arctino, come sostenevano gli antichi) per non spezzare l'esposizione.
Il poema di Lesche, in 4 libri, ha interessato gli studiosi perché i suoi 19 frammenti mostrerebbero che si trattava di un poema orale, basato sulla dizione formulare e su tradizioni ignote ad Omero, come il mito di Euripilo e il ratto del Palladio, la celebre statua di Atena protettrice dell'inviolabilità di Troia. Lo stesso incipit del poema richiama inizi formulari:

Canto d'Ilio e di Dardania vasta, ove gli Achei soffersero aspre pene.

"Si ha il giudizio delle armi ed Odisseo le riceve per volere di Atena, mentre Aiace impazzisce, distrugge il bottino degli Achei e si uccide.
Odisseo poi tende un'imboscata ad Eleno e lo cattura e, poiché costui ha vaticinato sulla presa di Troia, Diomede porta Filottete via da Lemno. Costui, curato da Macaone, combatte in duello con Paride e lo uccide: i Troiani raccolgono e seppelliscono il cadavere oltraggiato da Menelao. Dopo questi eventi, Deifobo (fratello di Paride) sposa Elena.
Odisseo, condotto Neottolemo via da Sciro, gli dà le armi del padre ed Achille gli appare in sogno. Euripilo, figlio di Telefo, arriva in soccorso dei Troiani e Neottolemo lo uccide mentre combatte con valore.
(A questo punto) i Troiani sono bloccati ed Epeo, su ispirazione di Atena, costruisce il cavallo di legno. Odisseo, sfiguratosi da solo, va ad Ilio come spia e, riconosciuto da Elena, si accorda per la presa della città e torna alle navi dopo aver ucciso alcuni Troiani. Dopo questi fatti, porta via da Ilio il Palladio insieme a Diomede.
Poi, dopo che i migliori sono entrati nel cavallo di legno e le tende sono state bruciate, gli altri Greci salpano verso Tenedo. I Troiani, credendo di essersi liberati dai guai, accolgono in città il cavallo di legno, distruggendo parte della muraglia, e banchettano come se avessero vinto sui Greci".

4. Presa di Troia (Iliupersis)
L'altra opera di Arctino di Mileto si saldava alla sua Etiopide narrando la presa di Troia in 2 libri, un tema poi divenuto canonico nell'arte e nella letteratura (basti pensare al II libro dell'Eneide virgiliana o alla Tabula Iliaca, un rilievo che rappresenta la presa di Troia in base all'omonimo poema di Stesicoro).
Dai frammenti della Piccola Iliade di Lesche, però, pare di capire che il suo poema (il cui riassunto è stranamente "appeso" nel finale) narrasse anche la presa della città, con una narrazione particolareggiata dell'ultima notte di Troia e degli episodi che si erano svolti: il che fa pensare che ancora una volta Proclo abbia tagliato il riassunto di un poema (la Piccola Iliade) per non rompere l'omogeneità del racconto:

"I Troiani, poiché sono sospettosi su ciò che riguarda il cavallo, lo circondano e discutono su cosa convenga fare: ad alcuni sembra opportuno buttarlo in mare, ad altri bruciarlo, e altri ancora dicono che bisogna consacrare quell'offerta ad Atena, e infine vince la loro opinione. Datisi alla gioia, banchettano come se avessero finito la guerra.
In questo momento, due serpenti appaiono e uccidono Laocoonte ed uno dei suoi figli. Atterriti dal prodigio, Enea ed i suoi compagni se vanno sull'Ida.
Sinone, che prima era entrato travestito, tiene alte le torce per gli Achei, e quelli che erano salpati da Tenedo, con quelli del cavallo di legno, piombano sui nemici, ne eliminano molti e conquistano la città con la forza.
Neottolemo uccide Priamo che s'era rifugiato sull'altare di Zeus Erceo, mentre Menelao, ritrovata Elena ed ucciso Deifobo, la riporta sulle navi. Aiace Oileo, invece, mentre tira a forza Cassandra, rovescia la statua lignea di Atena, per cui i Greci, inaspritisi, decidono di lapidare Aiace, che però si rifugia sull'ara di Atena e si salva dal pericolo incombente. Poi i Greci salpano, ed Atena progetta per loro la rovina proprio in mare.
Dopo che Odisseo ha eliminato Astianatte, Neottolemo prende in premio Andromaca e viene distribuito ciò che resta. Demofonte ed Acamante (figli di Teseo), invece, che hanno ritrovato Etra (loro nonna e schiava di Elena), la portano con loro. Poi, incendiata la città, (i Greci) immolano Polissena sul sepolcro di Achille".

5. Ritorni (Nostoi)
I ritorni degli eroi erano narrati nel poema omonimo in 5 libri scritto da Agia di Trezene, sicuramente posteriore all'Odissea con la sua intenzionale esclusione del ritorno di Odisseo.
Il poema è notevole perché Agia è il primo poeta della Grecia continentale a trattare il tema omerico, allargando i cenni odissiaci sui ritorni sfortunati degli Achei e fondendoli con elementi complessi e stratificati del folklore o dell'epica preomerica, come già Stasino.

"Atena mette in contrasto Agamennone e Menelao sulla navigazione e, mentre Agamennone resta per placare l'ira di Atena, Diomede e Nestore si avviano e arrivano salvi a casa, Menelao, partito con loro, arriva in Egitto con cinque navi, mentre le altre periscono in mare.
Quelli con Calcante, Leonteo e Polipete, marciando a piedi verso Colofone, vi seppelliscono Tiresia che è morto.
Mentre il seguito di Agamennone sta per salpare, il fantasma di Achille appare e prova a bloccarli predicendo ciò che accadrà. Poi si descrive la tempesta alle rocce Caferidi e la rovina di Aiace locrese.
Neottolemo, su consiglio di Teti, compie a piedi il tragitto; arrivato in Tracia, trova Odisseo a Maronea e compie il resto del viaggio e seppellisce Fenice (suo maestro) che è morto: lui, poi, giunto presso i Molossi, è riconosciuto da Peleo.
Poi, dopo che Agamennone è stato ucciso da Egisto e Clitemnestra, c'è la vendetta da parte di Oreste e Pilade e il ritorno a casa di Menelao".

6. Telegonia
La Telegonia, in 2 libri, era l'ultimo dei poemi del Ciclo Troiano e narrava le ultime vicende di Odisseo.
Essa risale alla metà del VI secolo, datazione a cui ci riconduce la provenienza del suo autore, il poeta Eugammone di Cirene, la cui patria era stata fondata all'inizio del secolo.
Eugammone appare, dal riassunto, come un poeta innovatore del mito presupposto nell'Odissea, di cui sviluppa in senso originale i cenni sulle avventure e sulla morte di Odisseo dopo il ritorno ad Itaca. Tuttavia niente di più possiamo dire, poiché di esso ci rimane ancor meno che degli altri poemi, in quanto ne abbiamo un solo frammento, non testuale, ed anche lo stesso Proclo ne offre un sunto più che essenziale:

"I Proci vengono seppelliti dai loro congiunti.
Odisseo, dopo aver sacrificato alle Ninfe, parte per l'Elide ad ispezionare le greggi ed è ospitato da Polisseno e riceve in dono un cratere su cui ci sono le vicende di Trofonio ed Agamede e di Augia.
In seguito, Odisseo torna ad Itaca e offre i sacrifici prescritti da Tiresia, poi si reca dai Tesproti e ne sposa la regina Callidice, conducendoli in battaglia contro i Brigi. Qui Ares mette in fuga Odisseo e la sua gente e Atena lo affronta in battaglia, ma Apollo li riconcilia. Dopo la morte di Callidice sale al trono Polipete, figlio di Odisseo, il quale torna ad Itaca.
Intanto Telegono, partito in cerca del padre, sbarca ad Itaca e razzia l'isola; Odisseo, che si arma per scacciarlo, è ucciso dal figlio ignaro.
Riconosciuto il suo errore, Telegono porta il corpo del padre, Telemaco e Penelope a sua madre (Circe), e lei li rende immortali. Telegono sposa Penelope e Telemaco sposa Circe".

Le scarse notizie e frammenti del ciclo troiano sono ancor più drammaticamente ridotte per altri cicli di cui abbiamo solo notizie isolate, come quello di Eracle e quello, antichissimo, degli Argonauti.
Dobbiamo dunque a Proclo la conoscenza delle trame altrimenti ignote di poemi che aiutano ad inquadrare meglio lo sviluppo di una tradizione rapsodica amplissima, che faceva capo alle colonie greche d'Asia Minore, da cui quasi tutti i poeti "ciclici" provenivano, e che si sviluppò in maniera ampia soprattutto tra VIII e VI secolo.
Per il resto, questi poeti provano la diffusione dei poemi omerici, intenzionalmente presupposti e "completati" con le vicende pre e post omeriche: sta di fatto che essi, in modo più o meno prolisso, non hanno però colmato la lacuna dei dieci anni di guerra assenti in Omero, pur operando spesso su materiale che dev'essere di provenienza anche piuttosto antica (Canfora) e ampiamente diffuso in Magna Grecia da Stesicoro e Ibico.
La ragione di un naufragio così totale dei poemi del Ciclo è di carattere stilistico. Gli antichi notavano, a partire da Aristotele nella sua Poetica, la loro mancanza di unità, in quanto i poeti ciclici sovrapponevano le diverse vicende in una monotona sequenza di tipo più "storico" che epico, ossia come un semplice succedersi di eventi senza un centro unificatore di tipo morale o concettuale: nell'Iliade filo conduttore era la celebre "ira di Achille" e nell'Odissea il ritorno di Odisseo, mentre nei poemi ciclici si offriva una pura e semplice "descrizione complessiva del passato mitico incentrato intorno alla guerra di Troia" (Meister).
Tale concezione, sia pure di carattere tipicamente greco nella sua razionalità (Schwartz ha parlato del Ciclo come di "storicizzazione dell'epos"), produceva sicuramente un carattere di prolissità e pesantezza (nonostante la relativa brevità dei testi rispetto ai poemi di Omero), anche per la diversa tempra dei poeti, e che finì per passare in proverbio.
Gli Alessandrini, infatti, bollavano con l'aggettivo "ciclico" ogni opera sciatta e priva d'arte, come appare ad esempio negli epigrammi di Callimaco, e la loro condanna estetica finì per decretare fin dal V secolo d.C. (un contemporaneo più giovane di Proclo, il commentatore filosofico Giovanni Filopono, nota che i poemi ciclici erano scomparsi alla sua epoca) la scomparsa di questi poemi, relegati ad essere consultati solo dai mitografi e dagli eruditi e sicuramente non trascritti sui codici in minuscola, cosa che rende piuttosto improbabile un futuro arricchimento delle nostre conoscenze grazie a scoperte papiracee, data questa scarsissima diffusione.

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