giovedì 25 settembre 2025

Storici lucani. 15. Pietro Antonio Corsignani da Venosa

A parte, nella storiografia lucana moderna, resta la trattazione parastoriografica inserita dal vescovo Pietro Antonio Corsignani negli atti del Sinodo celebrato a Venosa nei giorni tra 4 e 6 aprile 1728. 

Corsignani, proveniente da una tradizione storiografica ed erudita già avviata con un De viris illustribus Marsorum, decise di inserire in appendice agli atti sinodali una breve trattazione dei monumenta historica perché ogni cosa risulterà più luminosa agli occhi dei lettori se, prima di tessere le lodi della Cattedra Venosina «parlerò della origine della città di Venosa, dei suoi progressi e delle sue sventure».

In verità, Corsignani, in questa archeologia ‘ecclesiastica’, mostrò di utilizzare disinvoltamente le fonti in quanto, pur conoscendo le trattazioni sull’origine romana della città, ne attribuiva il merito ai popoli preromani, spostando la fondazione nelle nebbie del mito e legandola a Venilia, madre dell’eroe virgiliano Turno. L’autorità alla quale Corsignani si appoggiava era Jacopo Filippo Foresti, autore di una non troppo precisa opera pubblicata nel 1503, Novissime historiarum omnium repercussiones noviter a reverendissimo Patre Jacovo Philippo Bergomense ordinis eremitarum edite que Supplementum supplementi Cronicarum nuncupatur. Incipiendo ab exordio mundi usque in annum salutis nostre MCCCCCII (Venetiis, impr. Georgii de Rusconibus, 1503), in pieno ‘fervore’ genealogistico-mitografico: si trattava di una sorta di cronaca universale, ricca di miti trattati evemeristicamente, insieme a ‘eroi cultuali’ cristiani.

Resta, dunque, sconcertante tale ricorso all’antico mitico, sebbene nobilitato dall’aggancio al mito eneadico. Tale riferimento a Venilia avrebbe sicuramente legato, nella memoria del lettore, Venosa a Roma già nel mito, quindi dovrebbe spiegarsi come il tentativo del vescovo venosino di legare la propria città non tanto all’idea imperiale di Roma, quanto alla fidelitas cristiana, in uno spregiudicato riuso del concetto di fedeltà ab antiquo a fini cattolici.

Tale ipotesi può essere l’unico appiglio per spiegare una così vistosa presa di posizione rispetto alla tradizione venosina precedente, che Corsignani, in quanto vescovo e in quanto storico egli stesso, non poteva non conoscere. Lo proverebbe il fatto che, come d’obbligo in una simile, inusitata, trattazione, peraltro non riscontrabile altrove in atti sinodali, amplissimo spazio, probabilmente seguendo da vicino le orme del seicentesco Giacomo Cenna, viene dato ai luoghi del potere ecclesiastico.

BIBLIOGRAFIA: 

R. COLAPIETRA, Per la storia della Basilicata negli ultimi secoli, in «ASCL», LXI (1994), pp. 166-169

giovedì 11 settembre 2025

giovedì 21 agosto 2025

Paesi lucani. 70. Corleto Perticara

 Nel cuore della Lucania a sessantatre chilometri dalla città di Potenza, capoluogo di provincia, a ridosso d’una amena collina, frastagliata di vigne e di ulivi, è situata Corleto Perticara con la popolazione di cinquemila abitanti, a settecenticinquanta metri sul livello del mare.  

Giacomo Racioppi nelle sua «Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata» cosi scrive: «Corleto, il suffisso ne determina il significato evidente di luogo impiantato a noccioli, selve bucoliche gradite agli antichi poeti ed alle ninfe». Come alla Giuturna di Ovidio: «IIla modo in silvis inter Còryleta latebat».

L’ubicazione delle sue abitazioni verso sud-est è quanto mai salubre ed aperta, perchè degradante in lieve pendio ed intersecata da larghe strade ed ampie piazze, fra cui è celebre quella del Plebiscito che ricorda la scintilla dell’insurrezione lucana del 16 agosto 1860 contro il Borbone. Non vi sono notizie precise che riflettano ai posteri le origini di questo paese lucano, importantissimo come nodo stradale  e per le attività industriose dei suoi abitanti, indefessi e rudi lavoratori della terra. Il 10, 11 e 12 settembre del 1943, durante l’ultima disastrosa guerra, Corleto Perticara, per la sua rilevante posizione strategica, ebbe a subire reiterati bombardamenti da apparecchi statunitensi che la raserò al suolo, distruggendo, fra l’altro, non pochi ruderi dell’antichità. (...)

Pare che col nome di Comito sorgesse il primo nucleo di questa borgata, fin dall’epoca della seconda crociata, cioè intorno al 1100, sul costone roccioso che si aderge sul piano grasso di vigne e di ulivi detto «della Corte», in posizione aspra, ma ben atta alla difesa, sormontato dal massiccio del Castello feudale e dalla chiesetta di S. Leonardo. Difatti una pietra sita in un arco di finestra, del rione Costa, porta appunto il millesimo di 1100. 

Fu soltanto in seguito che Corleto si estese nella parte superiore, allargandosi di più verso mezzogiorno sul dolce declivo della collina di monte Calvario, ove culminano tre croci, meta di tutti i fedeli. Attualmente le case dell’antica Corleto, sottoposte al castello, sono tutte diroccate, mentre sono rimaste in buono stato quelle poche in rione Costa, a valle della chiesa madre, ove, riattata, ancora si conserva l’antichissima Cappella di Santa Domenica (la Sagra del villaggio), fabbricata già in mezzo al bosco, che più non esiste e tanto si rimpiange. Pertanto ben poco abbiamo potuto assodare dalle rovine esistenti nella zona più antica del paese, tanto più che i materiali ond’erano fabbricate le case, sono scomparsi oppure sono stati impiegati dalle generazioni che si sono succedute. Il paese era tutto attorno al vecchio castello feudale e le sue case erano poste in modo da coprirlo e difenderlo da eventuali incursioni ostili.

FONTE: E. IERARDI, Corleto Perticara (Lucania). Nuova monografia storicaTipolitografia "Centro Grafico Sud, 1984, pp. 7-10.