A parte, nella storiografia lucana moderna, resta la trattazione parastoriografica inserita dal vescovo Pietro Antonio Corsignani negli atti del Sinodo celebrato a Venosa nei giorni tra 4 e 6 aprile 1728.
Corsignani, proveniente da una tradizione storiografica ed erudita già avviata con un De viris illustribus Marsorum, decise di inserire in appendice agli atti sinodali una breve trattazione dei monumenta historica perché ogni cosa risulterà più luminosa agli occhi dei lettori se, prima di tessere le lodi della Cattedra Venosina «parlerò della origine della città di Venosa, dei suoi progressi e delle sue sventure».
Resta, dunque, sconcertante tale ricorso all’antico mitico, sebbene nobilitato dall’aggancio al mito eneadico. Tale riferimento a Venilia avrebbe sicuramente legato, nella memoria del lettore, Venosa a Roma già nel mito, quindi dovrebbe spiegarsi come il tentativo del vescovo venosino di legare la propria città non tanto all’idea imperiale di Roma, quanto alla fidelitas cristiana, in uno spregiudicato riuso del concetto di fedeltà ab antiquo a fini cattolici.
Tale ipotesi può essere l’unico appiglio per spiegare una così vistosa presa di posizione rispetto alla tradizione venosina precedente, che Corsignani, in quanto vescovo e in quanto storico egli stesso, non poteva non conoscere. Lo proverebbe il fatto che, come d’obbligo in una simile, inusitata, trattazione, peraltro non riscontrabile altrove in atti sinodali, amplissimo spazio, probabilmente seguendo da vicino le orme del seicentesco Giacomo Cenna, viene dato ai luoghi del potere ecclesiastico.
BIBLIOGRAFIA:
R. COLAPIETRA, Per la storia della Basilicata negli ultimi secoli, in «ASCL», LXI (1994), pp. 166-169
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