mercoledì 31 dicembre 2025

Potenza. 9. La città a inizio XIX secolo secondo Raffaele Riviello

La chiesa di S. Francesco, prima del 1806, cioè prima della soppressione fatta dal governo francese, apparteneva ai Conventuali, frati ricchissimi, e spesso serviva per i mortori più solenni di tutte e tre le parrocchie della città. E quindi spesso avvenivano contrasti fra i capitoli per il rispetto dei limiti delle parrocchie ; e vi sono memorie scritte, dalle quali si rilevano abusi, pretensioni, resistenze, minacce per difendere e sostenere il proprio diritto parrocchiale. (...)


Ed invero chi avesse guardato a volo di uccello, come si dice, l'aspetto generale della città, avrebbe notato che meno i campanili, le chiese, i monasteri, il palazzo del conte e quelli più modesti di parecchie famiglie di proprietarii o possidenti, il resto del fabbricato era uno sminuzzamento di umili case e casette senza pregio di arte, le quali di solito non avevano lusso di prospetto, nè avevano tutte un piano superiore, comodo e distinto. E per questo sminuzzamento avvenne che nelle successive trasformazioni si cercò di abbellire alla meglio il fabbricato, non secondo dettava l'architettura ed il bisogno della civiltà e del progresso, ma secondo le necessità e le disadatte circostanze di moltiplici interessi.

Le case poi dei contadini erano miserrime, basse, infelici da toccarsi il tetto con la mano, come se ne vedono ancora in certi vichi; e mal si riparavano dalla pioggia e dalla neve. (...) Per lo più l'una casa era separata dall'altra per brevissimo spazio, detto vinella, per lo scolo delle acque piovane, che poi servì anche pel getto d'ogni lordura.

Molte avevano il tetto a due pendenze, e perciò la caratteristica prospettiva ad angolo, dando a pensare che fossero state edificate così per rigidezza di clima , o fossero trasformazione di primitivi pagliai, dopo la sventura di terremoti, o dopo le feroci devastazioni di barbari invasori.

Quasi tutte avevano sottani scavati dentro terra, per uso di cantina, di legnaio, di stalla, ed anche per abitazione della gente povera e contadina.

In questi sottani, talvolta tre o quattro metri dentro terra, la gente povera nel rigido inverno sentiva meno freddo, standosene attorno al fuoco di scroppi, cioè di sarmenti, cannucce e sterpi di siepi, tra densi strati di fumo nero ed amaro, che indeboliva l'ardore e le stesse fiamme del fuoco, e lasciavano appena vedere il poco di luce che veniva scialba e scarsissima dall'uscio, sembrando arrestarsi timida ed incerta sulla soglia della scala.

Quindi trabucchi, cioè aperture incavate nella via per dare accesso a questi sottani e poveri abituri ; e scale sporgenti per salire al piano di quelle case, che si sollevavano di qualche metro sul livello della cuntana (vico) , o della strada , poco rispettandosi in quei tempi di governi medioevali il diritto dell' università o del comune.

Vi era pericolo di spezzarsi la nuca del collo, se si fosse voluto passare per quei vichi in tempo di notte!

Vi erano poi casette basse sott'ermisci (sott'embrici) , che non potendo essere diversamente illuminate, avevano nel mezzo del tetto nu duscirnale (lucernaio) o abbaino, da cui entrava l'aria e qualche fugace raggio di sole, servendo nel tempo stesso da cimminiera per l'uscita del fumo.

(...) Le strade, i vichi erano appena e malamente selciati, e nell'unica piazza, quella del Sedile, vi crescevano ciuffi di erba, per quanto mi è stato detto da quelli che ne ricordano lo stato verso il 1820.

Prima del 1818 non si avevano lampioni nelle vie, quindi nelle buie sere d'inverno bisognava, come dicevano, farsi lume col tizzone per non cadere in qualche trabucco, o rompersi il naso in qualche scala sporgente. Vero è che a mezz'ora di notte ognuno era già in casa. 

Si vedeva qualche lampadetta innanzi a imagine, o quadro di Madonna, incastrata nel muro, come quella presso la Pretura, ove un tempo avevano sede i Monaci di S. Giovanni di Dio, da cui trasse nome una delle porte della Città.

Tuttavia si viveva sicuri , tanto che si lasciavano alle volte le case aperte, ed alcune si chiudevano con un pezzo di legno dentato , a mezzo di un ferro ricurvo e fatto ad angolo, detto lu votaiann' (il voltajanua), perchè mettendo l'un capo nel buco della porta (janua) , con l'altro si faceva forza innanzi o indietro (vota da voltare) e l'uscio si apriva o si serrava secondo il bisogno. Vera mascatura, o toppa primitiva !

Di rado si sentiva la ruberia di ladruncoli, che ad intimidire la gente si dice si aggirassero tra le ombre, alzando ed abbassando uno spauracchio di cencio, col mezzo di un congegno di canne. Per tale malizia di birboni più si accreditava la diceria delle malombre, pregiudizio che veniva forse alimentato anche dalla furberia di qualcuno che sgaiattolava in cerca di avventure e di amori proibiti. 

(...) Quando vi era la neve, e da noi non è rara! i ragazzi solevano divertirsi a paddaroni, (pallaroni, palloni) lanciandoseli a schiere divise, gli uni contro gli altri.

Si andava pure su Monte Reale , distante un centinaio di metri dalla città, a fare la botte, rotolando una pallottola di neve sullo spianato, che s'ingrossava fin quando le loro forze non ne potevano più. Poi la spingevano verso uno dei fianchi del monte, lasciandola andare giù pel pendio, e rallegrandosi nel vederla, come valanga, precipitare a sbalzi, sino a che non si fosse frantumata per via, o arrivasse intera a posare nella valle. (...) Questi scherzi nevosi erano più facili nella novena di Sant'Antonio Abate, a cui su quello spianato era dedicata una rozza cappella, che s'incendiò, e poi si rifece a nuovo, per cadere nel terremoto del 1857. Oggi il recinto della cappella è ridotto a Polveriera, essendosi tolta, nei tempi di brigantaggio, dall'antico sito in vicinanza del Ponte di S. Vito sul Basento.

(...) Le migliori botteghe erano le poche della Chiazza ( Piazza), li funnichi (fondaci) e li spicilarie (farmacie); ma sarebbe sciocchezza imaginarvi lusso di stigli, vetrine, specchi e tabelle, come se ne vedono ai tempi nostri in Via Pretoria, ove ogni negozio e bottega si abbellisce per ragione dei tempi e della moda , non ostante i disagi e le ristrettezze economiche.

(...) Secondo le parrocchie, il popolo andava a S. Gerardo, alla Trinità a S. Michele, a S. Francesco nei tempi più antichi, e anche a Santa Maria, chiesa dei Riformati; ma per lo più a questa vi andavano quelli più desiderosi di novità, giovanotti e figliole che amavano ritrarre impressioni di fantasia, e anche divertirsi in birichinate nel buio della notte. (...) Un antico e grande orologio era sul campanile di S. Francesco, ricordo di secoli e di civiltà fratesca, ma venne messo a riposo ai giorni nostri. Un altro a suoneria con campanelle fu posto sulla Casa Comunale verso il 1827, quando si ristaurò nella parte superiore; ma pel terremoto del 1857 tentennò e tacque, per poi sparire, allorchè l'insipienza architettonica e municipale distrusse ogni memoria dell'antico Sieggio.

(...) Verso il 1860 si sentì il bisogno di basolare o lastricare con migliore livello la Via Pretoria, costruendosi il primo condotto lurido in tutta la lunghezza della città ; ma fu opera mal fatta , tal'essendo la sorte di ogni spesa e disegno dell'amministrazione cittadina. Anche la collettività ha la sua stella per colpa altrui o per poca accortezza di prevedere il domani. Anzi il Municipio, baldo in quella piena di entusiasmi e speranze, incitato da autorità e governo, ricorse a debiti ed a tasse per costruire teatro, Via del Popolo, muraglioni, ponti, vie- nuove, Edifizio scolastico , condottura delle acque e fontane, ribasolatura di Via Pretoria, riselciatura di strade secondarie, marciapiedi, giardinetti, nuovo palazzo municipale, ed altre opere di minor conto, aggravando di soverchio i cittadini, con più fortuna di appaltatori e costruttori, e senza l'aiuto di anima viva.

FONTE: R. RIVIELLO, Ricordi e note su costumanza, vita e pregiudizi del popolo potentino, Potenza, Garramone e Marchesiello, 1893, pp. 41, 48-49, 57, 79-80, 107-108, 118, 185, 198 (con tagli).

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