sabato 12 luglio 2025

La Basilicata contemporanea. 48a. Internamento e confino in Basilicata durante il fascismo: una geografia della repressione (Antonio Cecere)

Durante il ventennio fascista, la Basilicata fu integrata nella rete nazionale dei luoghi di confino politico e dei campi di internamento civile e militare, attivati prima come strumento di controllo dell'opposizione interna, poi come misura repressiva durante la Seconda guerra mondiale. Questo processo, che coinvolse numerosi piccoli centri lucani, rivela come l’apparente marginalità geografica della regione si sia trasformata in uno degli elementi cardine della politica di isolamento e repressione adottata dal regime.

Il confino politico, misura alternativa alla detenzione carceraria, venne intensificato nel corso degli anni Trenta e trovò nella Basilicata una delle sue sedi privilegiate. Il territorio lucano, ritenuto dal fascismo arretrato, isolato e controllabile, fu ritenuto particolarmente adatto a neutralizzare l’influenza degli oppositori del regime. In questo contesto si colloca il caso di Carlo Levi, confinato ad Aliano tra il 1935 e il 1936, che trasformò la sua esperienza in testimonianza letteraria e civile nel celebre Cristo si è fermato a Eboli. Nelle sue memorie, Levi descrive il paesaggio fisico e umano di quella Lucania profonda: «Ad Aliano non c'era nulla che potesse assomigliare a una consolazione: né luce, né comunicazioni, né scambi. Ma c'erano gli uomini. Quegli uomini antichi, inerti e tragici come le loro colline». Il medico e pittore torinese racconta l’isolamento, ma anche il lento fiorire di un rapporto umano profondo con la popolazione contadina locale, che nulla aveva a che fare con il fascismo.

Oltre ad Aliano, anche centri come Grassano, Melfi, Rionero in Vulture, Tricarico e Campomaggiore furono luoghi di soggiorno coatto per antifascisti, sindacalisti, repubblicani e comunisti provenienti da tutta Italia. I confinati, pur non soggetti a regime carcerario, erano sottoposti a sorveglianza stretta, a restrizioni nei movimenti e al controllo continuo delle autorità locali e della Milizia fascista. Il confinato napoletano Mario Vinciguerra, inviato a Tricarico nel 1934, annotava: «Non posso scrivere liberamente, né leggere ciò che desidero. Eppure mi sento più libero tra questi contadini che tra i miei giudici».

Con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, il sistema repressivo si estese anche ai cosiddetti “internati civili nemici”, ovvero cittadini stranieri considerati ostili per ragioni etniche, religiose o politiche. In particolare, la Basilicata ospitò numerosi ebrei stranieri, antifascisti slavi, greci, albanesi e prigionieri di guerra alleati, provenienti soprattutto dal fronte mediterraneo. Paesi come Ferrandina, Tursi, Montescaglioso, Matera e Genzano di Lucania furono utilizzati per sistemare questi internati, talvolta alloggiati in edifici civili riconvertiti all’uso detentivo, come ex conventi, caserme dismesse o palazzi municipali. Le condizioni di vita erano spesso precarie: mancavano servizi igienici adeguati, le restrizioni alla libertà personale erano severe, e l’alimentazione era insufficiente. 

L’ebreo jugoslavo Josip N. internato a Ferrandina nel 1941 scriveva alla moglie rimasta in Croazia: «Dormiamo su pagliericci stesi a terra, il cibo è scarso e la posta arriva con mesi di ritardo. Ma i bambini ci sorridono, e i vecchi del paese ci portano pane e olive». Alcune lettere, conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato, testimoniano che, nonostante la sorveglianza, si instaurarono in alcuni casi rapporti di solidarietà con la popolazione locale.

Questa geografia dell’internamento evidenzia come, nel cuore della provincia italiana, si sia svolta una parte significativa della strategia fascista di isolamento politico e “contenimento” dei soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato. La Basilicata, in questo senso, rappresenta un osservatorio privilegiato per comprendere le modalità concrete attraverso cui il regime ha agito sulla società civile, utilizzando la marginalità come risorsa politica. In una testimonianza raccolta nel dopoguerra, una donna di Genzano di Lucania raccontava: «Quei poveretti non avevano colpe. Noi li aiutavamo come potevamo. Poi, un giorno, vennero i tedeschi e li portarono via. Alcuni non tornarono mai più».  Recuperare la memoria di questi luoghi significa restituire dignità a quanti vi furono relegati e riscoprire una pagina ancora poco conosciuta della storia italiana del Novecento.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 

* Petricelli, Emilio, Internati e confinati in Basilicata (1940–1943), Matera, Libreria dell'Arco, 2002.

* Giovagnoli, Agostino, Il fascismo e la questione meridionale, Il Mulino, Bologna, 1981.

* Baldissin Molli, Matteo, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista (1940–1943), Bollati Boringhieri, Torino, 2001.

La Basilicata contemporanea. 48a. Internamento e confino in Basilicata durante il fascismo: una geografia della repressione (Antonio Cecere)

Durante il ventennio fascista, la Basilicata fu integrata nella rete nazionale dei luoghi di confino politico e dei campi di internamento ci...