Una domanda centrale per quanto riguarda i flussi migratori di tardo Ottocento è se l’emigrazione di massa abbia esercitato una influenza nello sviluppo del Mezzogiorno e nella modernizzazione dei costumi. La dimensione del fenomeno, considerando anche i movimenti di ritorno, lascia il campo aperto a indagini sociologiche di comportamenti, di mentalità e di culture diversificate secondo aree geografiche. L’emigrazione sia transoceanica che continentale, specie nelle zone di più intenso esodo, continuava a distribuire in maniera relativamente bilanciata svantaggi e benefici.
Ascanio Branca, il relatore dell’Inchiesta Jacini per la Basilicata, scriveva: «È nello spirito di avventura, nell’impulso verso un miglioramento che tragga gli uomini dalle condizioni poco felici del paese nativo, piuttosto che una vera penuria o la mancanza di lavori, che deve riguardarsi il principale movente che spinge all’emigrazione i lavoratori delle campagne, braccianti coloni ed altri operai di mestieri e cittadini in copia anche maggiore» (Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. IX, Fascicolo I, Relazione del commissario A. Branca, provincia di Potenza, Roma, Forzani e C., Tipografi del Senato, 1883, p. 65).
Non c'è dubbio che il complesso di esperienze che tanti “americani” portavano con sé nei loro paesi di origine contribuì in qualche modo o tonificare l’atmosfera stagnante della società rurale del Mezzogiorno, a insidiare vecchie costumanze, a scalfire qua e là secolari rapporti di soggezioni dei contadini verso i “galantuomini”. Per costoro si realizza come migrare non sia soltanto partire o inse-rirsi, ma possa consistere nel semplice lavorare lontano da casa per un tempo determinato e poi torna-re a sfruttare le conoscenze e le capacità economiche acquisite durante il periodo all’estero. In effet-ti, la recente ricerca storica ha messo in evidenza i riflessi che il fenomeno emigratorio poteva avere sui movimenti operai dei paesi di origine .
Per la Basilicata c’è il caso del «monaco bianco» Luigi Loperfido, ex emigrato in America, che nel 1902, promuove a Matera un movimento formalmente religioso, ma che nella sostanza è un moto agrario capace di scioperi . Si pensi infine alla Calabria, dove il rientro di una parte dell’emigrazione transoceanica che ne aveva svuotato borghi e campagne negli anni a ridosso della Grande Guerra non solo migliora l’alimentazione e l’abbigliamento, ma favorisce la nascita delle prime esperienze organizzative di stampo classista . In alcune realtà locali, poi, il nesso fra emigrazione e crescita del socialismo è strettissimo: lo dimostra l’esempio di Morano Calabro, dove, come emerge dalle ricer-che di Vittorio Cappelli, il periodico socialista «Vita Nuova» fu pubblicato dal 1913 al 1915 grazie alle sovvenzioni dei lavoratori moranesi emigrati in America . Per tanti “americani” delle campagne del Sud vi è ormai l’incapacità di raffigurarsi una società contadina, che si tende a vedere come un qualcosa di statico e di inerte, da rifiutare e da sostituire con rapporti sociali più dinamici .
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO:
F. P. CERASE, Sotto il dominio dei borghesi. Sottosviluppo ed emigrazione nell’Italia meridionale. 1860-1910, Assisi-Roma, Carucci, 1976.
D. SACCO, La febbre d’America. Il socialismo e l’emigrazione (1898-1915), Manduria-BariRoma, Lacaita, 2001.
G. DE ROSA, L’emigrazione italiana dall’Ottocento alla fine del Novecento, in «Ricerche di storia sociale e religiosa», XXX (2002), n. 62
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