giovedì 25 marzo 2021

Dantedi 2021 in collaborazione con il Comune di Lauria e Casa IvL24 (25 marzo 2021)

Nel periodo pre-unitario, il culto di Dante corrispondeva a certe esigenze essenziali del movimento nazionale italiano. Un'immagine importante, che emergeva in molti trattati risorgimentali, poteva, infatti, far superare i contrasti politici (del resto soltanto di rado affiorato apertamente): Dante come fondatore della lingua e della civiltà italiana. Proprio questa concezione, fortemente realistica, si affermò sia nei ragionamenti dei moderati che in quelli dei teorici radical-liberali. 


Dopo il Settecento, che aveva condannato Dante come oscuro e “gotico”, fra i primi a lanciarlo fu Vincenzo Monti, con la sua Bassvilliana del 1793, scritta in terzine dantesche in occasione dell’assassinio di Nicolas-Jean Hugou, detto Bassville. Monti presenta Dante “non più come il remoto e venerando progenitore, ma come il maestro presente e vivo della nuova poesia e letteratura” e, come sottolinea De Sanctis, scrive avendo “Dante nell’immaginazione e Virgilio nell’orecchio”. 

Ma la prima opera in cui Dante inizia ad assumere la figura di eroe epico, esule e perseguitato dalla sfortuna e dalla cieca ingiustizia degli uomini, è lo Jacopo Ortis (1802) di Ugo Foscolo. La prima memoria dantesca è presente nella lettera del 12 novembre, con una terzina piena di nostalgia per la Firenze dei tempi andati. Nella lettera da Padova la memoria è duplice: per l’immagine degli ignavi e per la clausola di fine citazione, che rimanda al paradiso e al rapporto con Beatrice. Nella lettera del 13 maggio Foscolo dà vita alla triade dei sommi poeti, Omero, Dante e Shakespeare, anticipando quella internazionalizzazione della figura dantesca cui presterà costante cura negli anni inglesi. Ma la consacrazione definitiva avviene nel finale del romanzo, nella lettera del 5 marzo: Dante è il dio che si prega in punto di morte; è la giustificazione che si dà in limine alla vita; è il padre che ti dà la forza per la scelta giusta ed estrema: 

L’esule Dante conferma la forza della sua figura nei Sepolcri (1806): “e tu prima, Firenze, udivi il carme / che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco” (174-175); diventerà un gigante negli scritti londinesi. 

Se si dovesse fissare, comunque, una data emblematica che segni l’inizio del culto di Dante, forse sarebbe da assumere il 1780, quando a Ravenna si restaura la tomba di Dante; sempre in Ravenna si celebra solennemente il poeta, con la partecipazione del popolo. nel 1798. È l’anno in cui nasce Giacomo Leopardi che, nel 1818, scrive Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze. L’accorato appello all’Italia si colloca sulla linea Dante-Petrarca, dove è Dante il riferimento morale e colui che, per primo nelle sue invettive, incitò gli Italiani a prendersi cura della loro patria. 

Nello stesso 1802 l’esule lucano Francesco Lomonaco pubblica le Vite degli eccellenti italiani, fra le quali trova posto quella di Dante che, come tutte le altre, ha un fine spiccatamente patriottico. Lomonaco accosta infatti Dante a Eschilo e Sofocle, lo chiama l’“Omero toscano”, e scrive che l'Alighieri intitolò la sua opera Commedia, “non già perché usa una locuzione bassa, come il volgo degli eruditi ha creduto, ma solo perché schernisce e proverbia non meno i costumi de' laici che que' dei chierici”. Inoltre, nella Vita, scrive parole che, in linea con quanto scriveva Foscolo, conquistarono il cuore del giovane Alessandro Manzoni:

“Firenze, la quale spinse a tale odio contro Dante, che osò dannarlo alle fiamme, s’ei fosse entrato nel suo grembo; Firenze, che costrinse uno dei più grandi poeti del mondo ad andar mendicando protezione e pane davanti le porte dei grandi, e che vivo non aveva voluto riconoscere per suo figliuolo colui ch’ergeva un monumento, il qual fissare doveva l’ammirazione dei secoli e delle nazioni; la stessa Firenze con molti segnali di stima onorò assai la memoria di lui dopo la morte[…] Gli uomini odiano sulla terra la virtù vivente, e morta la piangono, offrendole il tributo della riconoscenza”.

Il lucano esalta Dante anche nei suoi Discorsi letterari e filosofici (Milano 1809) per la sua originalità, chiamandolo “uno dei più grandi pittori della natura”.

Si deve, dunque, a Ugo Foscolo la creazione della figura di Dante come “padre della patria”, di quella Italia che ancora non ha trovato il suo popolo e i suoi confini. Nell’orazione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura (1809) scrive del “fuoco immortale (…) che animò Dante nelle calamità dell’esilio”. Qui Dante è ancora l’esule dell’Ortis, ma già collocato in uno scranno da cui guarda, come nume protettivo, la patria. 

Nei Sei discorsi sulla Lingua Italiana indica Dante come il padre della nostra lingua. La costruzione della figura di Dante prosegue, in terra inglese, dal 1818, con la pubblicazione dei due articoli danteschi sull’«Edinburgh Review». Foscolo prende spunto dalla pubblicazione in Inghilterra del commento di Giosafatte Biagioli. Nella parte centrale del saggio dà vita a un primo interessante raffronto Dante-Shakespeare all’interno del binomio amore/gelosia, che vedono protagonisti, rispettivamente, Pia dei Tolomei e Nello della Pietra, Desdemona e Otello, parlando della “particolare capacità di Dante di racchiudere in pochi versi un’intera storia di amore e morte”

Qui Dante allunga la sua ombra sull’Europa, e la rende più solida nel Discorso sul testo della Commedia di Dante, composto nella primavera del 1824. Foscolo riprende l’idea vichiana di conferire alla poesia attributi religiosi, di percepirla attraverso la natura e renderla viva mediante l’immaginazione, che consiste «nel vedere e tentare una perfezione che ad altri non è dato d’intendere né ideare». Per la prima volta Foscolo si fa interprete della nuova coscienza del ruolo del letterato, in cui confluiscono tradizione settecentesca europea e gusto per l’individualità. Il saggio ruota intorno a due categorie primarie: quella di genio e quella di contemporaneità. 

Ed evidente è l’esigenza di voler trovare nella Commedia una contemporaneità di idee, un nodo poetico in cui passato e presente si fondono, per dar vita a un’unica e inscindibile identità. Così si percepisce con chiarezza come nelle lotte civili delle fazioni fiorentine siano adombrati gli avvenimenti della storia europea dei primi decenni del secolo XIX, che ruotavano intorno alla personalità di Napoleone e alle negative conseguenze del Congresso di Vienna. Il Dante di Foscolo si radica, quindi, nell’Europa, proprio perché il suo poema è sentito come un patrimonio di valori di fronte al quale le generazioni future non potranno sottrarsi al confronto. 

In quegli stessi anni, in Inghilterra, Gabriele Rossetti viene elaborando le nuove dottrine sulla Commedia, che si intensificano da quando diventa, nel 1831, professore di lingua e letteratura italiana presso il Real Collegio, l'Università di Londra. Rossetti elabora una dottrina secondo cui Dante parlasse, attraverso forme simboliche e mistiche, il linguaggio di una setta, religiosa e politica insieme, che concepiva l'Impero come universale, destinato a guidare tutte le genti ed avente al suo centro e la sua sede in Roma ed in Italia; e che, al tempo stesso, indicava come la Chiesa fosse venuta meno al suo ufficio religioso concentrandosi sul potere temporale. Il Dante di Rossetti, più ancora che in Foscolo, diventa, alle origini della civiltà moderna, l'annunciatore della nuova nazione italiana, di cui propone, in termini politici e religiosi, l’unità, mentre propone la riforma della Chiesa e il suo ritorno alle origini. Così il pensiero del massonico ed anticlericale Rossetti incarna e forma quello di molti romantici, e la sua interpretazione della Commedia rappresenta un episodio centrale della fortuna di Dante nell'Ottocento. 

Ma torniamo in Italia, dove nel 1820, Giulio Perticari aveva pubblicato Dell’amor patrio di Dante. Da Foscolo riprende la centralità della lingua di Dante, che diventa strumento di indagine e di comunicazione della verità. Perticari sottolinea come le parole servano anche a fustigare, correggere, guidare. 

L’opera di Perticari ha fama immediata e critici di lusso: nel 1825 Niccolò Tommaseo pubblica Perticari confutato da Dante, proprio all’inizio della sua collaborazione all’“Antologia” del Vieusseux, segnale di un interesse vivo e dinamico sulla figura di Dante e la sua funzione all’interno non solo della letteratura, ma della storia italiana. 

In questi anni si riscontra in Italia una moda diffusa per la biografia di Dante e, in parallelo agli studi di Rossetti, per le interpretazioni esoteriche della sua opera: Carlo Troya ne è uno degli esempi più significativi. Del veltro allegorico di Dante esce a Firenze nel 1826 e, trent’anni dopo, a Napoli, pubblica Del veltro allegorico de' Ghibellini: con altre scritture intorno alla Divina Commedia di Dante (1856); nel mezzo due opere biografiche: Delle donne fiorentine di Dante Alighieri e del suo lungo soggiorno in Pisa ed in Lucca (dopo il 1830) e la coeva De' viaggi di Dante in Parigi e dell'anno in cui fu pubblicata la cantica dell'Inferno

Del 1839 è la Vita di Dante di Cesare Balbo, che Carlo Cattaneo prende a pretesto per fissare definitivamente l’immagine eroica del poeta. Da Foscolo riprende anche l’idea di Dante come poeta cosmopolita, che ha ben compreso come i confini chiudano, mortifichino, uccidano. 

Un personaggio cardinale del Risorgimento, Giuseppe Mazzini, compone nel 1826 il suo primo saggio, intitolato Dell’amor patrio di Dante, che verrà pubblicato nel 1837. L’accento viene posto sulla dirittura morale di Dante, il suo coraggio nell’affrontare l’esilio, e nel censurare vizi e corruzione. Emblematico l’appello pieno di fervore lanciato dal giovane Mazzini: “O Italiani! Studiate Dante: non sui commenti, non sulle chiose; ma nelle storie del secolo…Apprendete da lui come si serva alla terra natia, come si vive nella sciagura”. Per Mazzini Dante era grande perché fece come i Greci che “consecravano il loro genio all’utile della patria”; e rileva come i due elementi della poesia siano la vita dei popoli e l’inno dei martiri; e aggiunge che “la Poesia è l’entusiasmo dell’ali di fuoco, l’angelo dei forti pensieri, che vi divina (…) vi caccia tra le mani la spada, la penna, il pugnale è Schiller, Dante, Alfieri.” 

Giuseppe Mazzini conosce bene gli scritti di Foscolo, che riprende nella Prefazione a La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo (1842) e negli Scritti letterari di un italiano vivente (1847), mettendo in rilievo la figura umana del poeta e la sua missione entro la nazione e la storia. 

L’oratoria appassionata di Mazzini incita e prepara la prima guerra d’indipendenza e l’inizio degli eventi bellici che porteranno all’unità d’Italia di cui Dante, ormai, è il padre morale. 

Un altro scrittore e patriota Luigi Settembrini, scrive a lungo su Dante. Imprigionato, deportato, fuggiasco a Londra, torna in Italia e, dal 1860, è professore di Letteratura Italiana, prima a Bologna, poi a Napoli. Nel 1861 riusce a portare a termine il progetto Della letteratura italiana libri IV; tra il 1866-1872 vengono pubblicati i tre volumi dell'opera le Lezioni di letteratura italiana. Sua intenzione, dichiarata nel discorso Dello scopo civile della letteratura dell'8 aprile 1848, era quella di scrivere una storia della letteratura italiana per le generazioni di giovani post-risorgimentali: e lo fece. E in quell’opera consolida l’immagine di Dante come eroico modello di virtù e rettitudine, e come fustigatore di costumi. 

La storia della costruzione della figura di Dante nella critica del Risorgimento si chiude con Francesco De Sanctis, le cui Lezioni e saggi su Dante (1842-73) e la cui Storia della letteratura italiana (1870-71) sono tuttora fondamentali. Il nucleo del poema è individuato nel motivo etico-politico; il criterio di lettura è l’empatìa fra lettore e testo, senza sovrapposizioni culturali; la poeticità dell'opera è da ricercare nell'elemento umano, presente sopra tutto nell’Inferno. In Carattere di Dante e sua utopia, pubblicato su “Rivista contemporanea” nel 1858, scrive: 

Dante è più presso alla natura e si manifesta schiettamente. È un personaggio essenzialmente poetico. Il suo tratto dominante è la forza che prorompe liberamente e con impeto. La sventura, non che invilirlo, lo fortifica e lo alza ancor più su. Costretto a mangiar il pane altrui, ad accattar protezioni, a soggiacere ai motteggi del servidorame, nessuno si è più di lui sentito superiore a' suoi contemporanei, nessuno si è da sé posto si alto al di sopra di loro. La famosa lettera, nella quale ricusa di ritornare in patria a scapito del suo onore, non solo rivela un animo non inchino mai a viltà, ma in ogni riga quasi ci trovi l'impronta di questo nobile orgoglio. 

Magnifiche e appassionate sono anche le pagine della Storia della letteratura italiana

Dunque Dante è stato il poeta-profeta dell’unità d’Italia: e per questo motivo nell’Ottocento il suo culto veniva proibito da certi governi tirannici della Penisola, specialmente da quelli facenti capo all’Austria, tanto che diversi patrioti furono arrestati e incarcerati solo perché in casa possedevano ed esponevano qualche suo ritratto. E questo è soltanto un piccolo esempio di quanto costò agli italiani la conquista dell’unità e indipendenza.

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