giovedì 16 novembre 2017

Matera. 5b. La Cronaca di Matera di Verricelli (Margherita Gaudiano)

Come già detto in un post precedente, la Cronaca de la Città di Matera del 1595, scritta da Eustachio Verricelli, è un'opera notevole anche per quanto riguarda l'aspetto identitario. L'autore specifica che Matera, prima di essere nel Regno di Napoli, nel Ducato di Puglia e nel Principato di Taranto, appartiene alla Magna Grecia, insieme alla famosa Metaponto e porta il nome di Metheola (derivante dalla Torre Meteolana o Porta Meteolana, fondata da Metello Romano, vincitore della battaglia contro Taranto) e con la distruzione di Metaponto, Metheola cambia nome e viene chiamata Matera, cioè “mater erat”. Dicono che il nome Matera derivi da Metaponto ed Eraclea, cioè “met” ed “era”, e che il suo simbolo derivi dalle medaglie trovatesi nelle sepolture di Metaponto raffiguranti un bue con due spighe in bocca ed una corona sulle corna che rappresenta il privilegio che hanno avuto i re antichi. In seguito si sarebbe chiamata Acheruncia, sia per l'arcivescovo che Matera ha in comune con Acerenza (Cyrenza), che per la coincidenza con il fiume Acheron, come specificato successivamente.
In seguito, si passa alle vicissitudini storiche e politiche che ha attraversato Matera, prima con greci e saraceni e poi con normanni e svevi, seguiti da una serie di sovrano come Alfonso d'Aragona, Ferdinando il Cattolico, Carlo V e l'attuale re Filippo (1595).
Stando alle caratteristiche morfologiche del territorio, Matera è situata sopra un poggio molto alto con dei valloni altissimi e possiede un clima temperato grazie al quale la qualità della vita è abbastanza buona, anche se gli uomini sono di modesta statura e di robusta costituzione e le donne con bellezza mediocre e salute cagionevole.
Si scopre così l'incanto di Matera per le sue sorgenti con delle acque limpidissime e per le sue chiese poste sopra le grotte che trasmettono un fascino misterioso. Uno dei proverbi più noti è infatti che “li morti stanno sopra li vivi”. Riguardo al suo paesaggio, Matera è florida di casali con tracce di convivenza di popoli e di sepolture nelle grotte di chiese greche.
Matera possiede anche numerose botteghe artigianali di modesta qualità, ma anche delle efficienti mura difensive insieme ad un castello a tre torri, una centrale più grande, e le altre due laterali più piccole, sotto la sorveglianza del Conte Carlo Tramontano. Le gabelle da pagare riguardano non solo i beni essenziali come la farina, ma anche l'amministrazione dei luoghi pubblici, svolta dal portulano, che controlla e cura le infrastrutture urbane. Vi sono inoltre le gabelle riguardanti i privilegi goduti da nobili e aristocratici, come le gabella dello scannaggio e il burgensatico.
Non meno importante è la numerosa varietà di miniere di qualsiasi genere ed anche le erbe terapeutiche che curano i sintomi molto acuti ad esempio la “scorzonera”, che cura i morsi di serpenti e tarantole, e lo “scorpionide”, che cura punture di scorpioni.
Matera, nella sua accezione storico-cronachistica, è ricca di eventi non meno clamorosi, come ad esempio le vicende del vescovo in competizione con la città di Acerenza (Cirenza).
In seguito, vengono menzionate le varie chiese ciascuna con una storia alle spalle, riguardo la loro fondazione e diffusione e specialmente le eredità che hanno lasciato le varie famiglie nobili. Inoltre l'autore offre uno spunto essenziale per esaminare tali vicende, passando alla legislazione vigente nell'epoca, secondo le leggi dei longobardi, dunque le donne non possono ereditare i beni paterni, mentre le donne sposate e vedove possono ereditare la quarta parte della loro dote, e gli uomini vedovi possono ereditare la dote integra donandola ai loro figli, a meno che non abbiano diciotto anni.
Dal punto di vista sociale e dinastico, si respira un'aria di odio e rancore tra nobili locali e nobili stranieri, perciò viene introdotto nella città il signor Nigrone dall'udienza di Lecce per stabilire la condizione di nobiltà delle famiglie. Frequentemente, vengono riprese le vicende sull'arcivescovo di Matera, la quale, da questo punto di vista, ha subito vari contrasti e vicissitudini politiche risolte dopo cento anni con Acerenza (Cirenza). Così, finalmente, viene eletto un arcivescovo che rappresenta l'unione tra Matera e Acerenza (Cirenza). Dopodiché vi passano per la città e per il territorio dei nobili spagnoli che fanno eleggere un loro connazionale come arcivescovo. Successivamente, però, questi gruppi di stranieri vengono scacciati via e viene eletto come arcivescovo un uomo con la barba lunga fino alle ginocchia con il quale l'autore ha avuto diversi stretti contatti e, in un occasione terribile di salute cagionevole, gli ha medicato delle ferite. Tale arcivescovo viene così ammirato in maniera tale da essere acclamato da una folla di gente.
Successivamente, il vicario di Acerenza chiama come arcivescovo di Matera A. Giovanni Jacopo Palummieri, un prete-dottore di Matera, il quale supplica che il sinodo si sarebbe svolto a Matera e non ad Acerenza, città distrutta senza preti. Questo arcivescovato possiede una chiesa con molte cappelle ornate con un patrimonio di territori e con uno scannaggio lasciato per testamento dai suoi cittadini, tra cui Santa Maria della Bruna, nella quale il cardinale Don Flavio Ursino fa concedere al sommo pontefice l'indulgenza per le anime del purgatorio celebrando la Santa Messa.
A questo punto l'autore apre una parentesi riguardo i benefici patrimoniali lasciati in diverse chiese: in tre abbazie, Santo Eustachio, Santa Maria della Valle e Santa Maria de Armenis, si dovrebbe lasciare qualche tributo sotto forma di elemosina in cambio della celebrazione della messa, qualche parrocchia, come San Pietro Caveoso, viene affidata a dei nobili come Luca di Spinazzola, e possiede il fonte battesimale di San Giovanni da Matera, proveniente dalla famiglia de Scalzonis (Scalcioni), il cui corpo è stato portato a monte Pulciano, sul Gargano, e di cui ne rimane solo il braccio all'interno della chiesa. Altre comunità ecclesiastiche, come i monasteri, sono state possedute da esponenti di famiglie altamente nobili. Il monastero di San Domenico è stato edificato dai Ciccarelli, con l'attuale protettore mastro Angelo, a dispetto dei Troyano, con i quali ci sono stati vari contrasti accesi. Il monastero di San Francesco, con la cappella della Maddalena, è stata fondata dagli stessi Verricelli ed è tuttora di loro proprietà. Da ricordare il monastero dei Cappuccini con un giardino, donato da Leonarda Ulmo, il quale, con tanta sontuosità, si affaccia verso la Gravina. Il monastero di Santa Lucia possiede un patrimonio ricco di giardini, campi e sorgenti di acque limpide ed un censo pagato dalle famiglie di Spinazzola e dalla dogana di Foggia. Tale monastero, noto come Santa Lucia alle Malve, era florido di grotte e, successivamente, le monache si trasferiscono nel 1283 alla Civita presso la Postergola e poi, nel 1797, presso la fontana.
La seconda parte della cronaca di Matera, quella scritta nel 1596, riguarda un consolidamento approfondito dell'assetto storico-dinastico della città. In particolare, l'autore si sofferma ancora una volta con minuziosità sulle informazioni riguardanti le conquiste da parte di varie etnie e di popoli antenati, ciascuno con una propria eredità culturale, che hanno portato alla saldatura di un'identità urbana, come Matera, con le proprie caratteristiche politiche e sociali. Tutto questo è accompagnato da una serie di digressioni storiche sulle vicende generiche della storia sui popoli italici o sulle invasioni barbariche, espresse in ordine cronologico, che aiutano a comprendere chiaramente il flusso degli eventi accaduti.
L’opera è ricca di parole scritte non sempre nello stesso modo, fatto indicativo della scarsa importanza attribuita dall’autore all’ortografia, mentre si nota la volontà di mettere in evidenza un concetto, una vicenda o un personaggio.
Attento osservatore delle vicende umane, il Verricelli sottolinea il valore degli uomini, mentre non descrive con lo stesso linguaggio le donne, esaltando comunque la moralità di quelle del passato e mostrando una certa preoccupazione per l’evoluzione femminile del suo tempo. Non è sempre elogiativo verso i suoi concittadini ma soprattutto non accetta il fatto che parte del territorio materano sia passato ai cittadini di paesi vicini. Ma sopra ogni cosa, egli mette “la mano di Dio”, che interviene laddove la giustizia umana si dimostra impotente, e che infligge la punizione giusta al momento giusto.

Nessun commento:

Posta un commento

Le perle lucane. 3. Lagopesole

«Lo stile somiglia a quello di Castel del Monte presso Andria, ma tranne pochi ornamenti alle finestre, archi di porta e cornicioni non esis...