Matera subì non senza contraccolpi il passaggio dei poteri amministrativi sin dal 1806, in quanto, come noto, le forme del potere giudiziario che si traducevano nel tribunale straordinario rimasero presenti nell’antico capoluogo fino al 1811. Tra l’altro, i materani accolsero il decentramento amministrativo come un fulmine a ciel sereno, anche perchè, durante la visita di Giuseppe Bonaparte il 5 maggio del 1806, «gli avevano riservato una sontuosa accoglienza, facendolo entrare in città attraverso la Porta Principale (Porta della Bruna) ed ospitandolo in una delle più importanti famiglie patrizie della città, la famiglia Ferraù, che per l’occasione aveva aperto un ingresso al palazzo del Tribunale da Piazza del Sedile» .
Se il tribunale straordinario rappresentava l’ultimo baluardo materiale della condizione di privilegio sulla provincia pregressa, contemporaneamente, seguirono alla perdita della funzione di capoluogo insistite proteste manifestatesi in una sorta di autorappresentazione tra “descrizione” e ripercorrenza della “gloriosa vita passata”, in seconda battuta almeno per la conservazione dei Tribunali . Tra l’altro, i cittadini di Matera avevano inultilmente inviato a Napoli il sindaco Arcangelo Copeti , che si era presentato direttamente a Giuseppe Bonaparte ottenendo che si discutesse della cosa in Consiglio di Stato; tuttavia, in commissione del Consiglio, ebbe la meglio il parere contrario del ministro Saliceti, forse risentito per non essere stato subito messo al corrente della questione.
Colpiscono, comunque, nelle forme di tali richieste, i dettagliati e puntigliosi richiami a solidi elementi di fedeltà al sovrano, oltre che a ragioni connesse con una serie di considerazioni sul contesto strutturale e di servizi che meglio connotava al ruolo la città di Matera rispetto a quella di Potenza, con una sorta di “colpo di coda” ancora una volta rinviante alla tradizionale forma di autorappresentazione legata alle storie locali. Si poneva, infatti, in risalto la netta differenza dei due contesti urbani anche in termini di strutture, posizione geografica, condizioni di vivibilità.
Comunque, la città perse numerose funzioni urbane, riducendo buona parte degli spazi cittadini in precedenza adibiti all’amministrazione. Il palazzo del governatore, ad esempio, già sede della Regia Udienza, perse la funzione istituzionale-amministrativa e quella di fulcro della vita cittadina, mentre, in maniera analoga, venute meno le funzioni politico-istituzionali di cui era stata originariamente espressione, anche la Piazza Maggiore, già Piazza del Sedile, perse il ruolo cardine di centro urbano .
In effetti, tale funzione passò verso la piazza della fontana di Ferdinando IV e il convento di San Domenico, che fu adibito a sede della Sottointendenza. Nell’antico edificio conventuale, invece, prendevano posto i principali uffici governativi, quali il comando militare provinciale ed il tribunale straordinario: quest’ultimo, trasferito definitivamente a Potenza il 4 maggio 1811, lasciò il posto alle Commissioni militari, ulteriormente trasferite a Santa Maria la Nova con decreto del 12 luglio 1825. Le carceri, inoltre, furono trasferite da via delle Beccherie a Piazza Sedile, ritenuto luogo più idoneo anche in termini di igiene .
Tale ridimensionamento, inoltre, comportò il trasferimento a Potenza di un considerevole numero di famiglie di funzionari, impiegati e gendarmi, che abbandonarono molte abitazioni del Piano . Per tale ragione, oltre che per la peste del 1816-17, la popolazione materana, che nel 1809 contava 11.150 abitanti, si sarebbe ridotta, dieci anni dopo, a 10.691 persone: il che rende evidente il ridimensionamento del volto urbano, oltre che dell’espansione demografica, che aveva contraddistinto Matera nel secolo precedente.
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