Potenza, ancora nel XIX secolo, era ancora una piccola città senza particolari meriti artistici. Lo dimostra lo scrittore inglese Edward Lear che, nell’autunno del 1847, giunto in Basilicata, volutamente evitò di visitare la città che, appena intravista, gli parve subito molto brutta, quanto a posizione e forma. Infatti, la sua attenzione fu maggiormente rapita dai luoghi oraziani, in cui ritrovò le antiche memorie, immerse in grandi scorci di natura paesaggistica integra, che ancor meglio gli parve esaltare l’isolamento degli uomini.
Altri, invece, parlarono di Potenza in toni molto positivi, come Cesare Malpica, romanziere, novellista, critico letterario e giornalista che raccolse le sue Impressioni della visita nelle terre lucane, nella primavera dello stesso 1847. Egli, rappresentante della scuola romantica del Mezzogiorno, addentrandosi nelle province napoletane alla vigilia dei moti rivoluzionari del 1848, decise di visitare anche la Basilicata, di cui, a quei tempi, si conosceva ancora poco. Malpica fu tra i pochi a spingersi fino a Potenza che non mancò di descrivere in modo molto positivo:
«Non son alte le case è vero: ma tali le comporta il sito: ma non han poi quell’aria lugubre e spiacevole, che molti si figurano: sono invece modestamente decenti, tutte biancheggianti, e molte ancora van sorgendo con più vago, più regolare, e più ampio disegno. Veggo a manca la piazza dell’Intendenza, vasta, adorna di alberi, col palazzo, che avrà in breve compita la facciata, in fondo: poco più lungi e ritta leggo sur una lapida: Piazza Duca della Verdura; è più angusta, ed è destinata a’ commestibili: poco appresso scerno una seconda piazza a manca, coll’antico sedile in fondo, con Caffè e botteghe ai due lati, e a rimpetto la vista delle colline dominate dalla Città […]. Ecco le prime immagini che offre Potenza a chi vi giunge […]. Ponendoti per quella via che ha a ritta il lato occidentale della città godrai di novello orizzonte. Son vigneti ordinati su per le falde dei monti, son casini biancheggianti fra verdi piante; è il verde tappeto delle praterie che si stende fino alle vette; è tutto un ramo degli Appennini disposto a semicerchio, per servir di specchio alla moderna capitale dei Lucani. Questa via scendendo giunge ad una pianura in cui vedi il Giardino delle Piante a manca, presso a cui scorre il pubblico fonte, e il Cenobio dei Riformati a dritta. Fra questo e quello passa la consolare, che di là, sempre salendo, mena per Avigliano alle Puglie. Giunto in cima, là dove sorge una graziosa villetta arrestati. Da quel punto scorgi Potenza ai tuoi piedi, colla sua forma quadrilatera, coi suoi pubblici edifizi, coi suoi campanili, coi suoi Templi, e col vasto e antico locale dei Conventuali, ora occupato da’ Tribunali, col palazzo dell’Intendenza, che ancora si va abbellendo […]. Lungi, si stendono a dritta e a manca altri monti, e altri boschi, e dietro a questi altri ancora, infino a Vaglio, limite estremo dell’orizzonte».
Approfondite le sue conoscenze della storia della regione e dei suoi principali centri abitati, tra cui Potenza, che disse essere città di antichissima storia e patria di cittadini illustri, quando lasciò la Basilicata fu animato dalla speranza che le sue impressioni personali potessero essere di incitamento per altri che, dopo di lui, sarebbero venuti in quello che, con una certa esagerazione, definì addirittura il più bel paese d’Italia, per raccontarne le bellezze. E Potenza aveva molte cose da raccontare a livello di eventi e personaggi. Ma questa, come diciamo sempre, è un’altra storia.
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