Carlo Mazziotta nacque il 31 agosto 1789 da Domenico e da Margherita Ciaramelli, di modesta condizione sociale. Studiò a Napoli, dove si laureò e aderì al movimento liberale. Venne nominato Commissario Generale della «Lega Europea» che mirava a «dirigere i comuni sforzi della nazione alla libertà e alla indipendenza d’Italia».
Tornato in Basilicata, tenne vivi i rapporti con l’organizzazione di Napoli, attivamente impegnandosi su Laurenzana e Calvello. Proprio a Calvello promosse riunioni nella chiesa di S. Maria degli Angeli, nella quale i patrioti – sotto le vesti di confratelli del SS. Sacramento, tra un rosario e un canto sacro – programmavano la rivolta contro i Borbone. Inoltre ospitò i fratelli Venita, ricercati dalla polizia. Ne è prova una lettera trovata in casa sua nella valigia di Francesco Venita, che dice: «mi si assicura che la organizzazione è completa in Catanzaro, bene avviata a Reggio ed a Cosenza. Ho buone notizie dagli Abruzzi. Spagna spinge l’opera e noi dobbiamo, anche a sprezzo della vita, essere pronti per i primi».
La situazione precipitò la notte del 10 febbraio 1822, quando un gruppo di insorti, capitanati dal Mazziotta, assalì le carceri di Calvello, ferendo i gendarmi e liberando fra Luigi imprigionato per complicità nella fuga del maggiore Giuseppe Venita. Mazziotta, trentatreenne, arrestato, fu tradotto innanzi alla corte marziale stabilita il 18 febbraio 1822. Nell’occasione egli si rivelò una figura gigantesca. Scrisse Giustino Fortunato nel suo magistrale discorso per le lapidi commemorative inaugurate nella sala del Consiglio Provinciale di Basilicata: «In quei brani del processo che ancora avanzano, io ho letto, commosso, gl’interrogatori segreti di Carlo Mazziotta e posso dirvi sicuramente che nessun uomo ha mai conservato, dinanzi ai giudici, più alta la dignità del cittadino. Tacque, ostinatamente, freddamente, di tutto e di tutti, pur sapendo di giocare il capo; non difese sé dalla imputazione di aver ospitato i fuorusciti se non col rispondere, semplicemente, che per lui, le leggi della ospitalità sono sacre».
All’esecuzione capitale dei “martiri” si arrivò dopo un processo molto sommario nel corso del quale furono tutti accusati «di scorreria a mano armata col fine di cambiare la forma di governo». Il 13 marzo, in Località Fontanelle, nei pressi dell’attuale caserma dei carabinieri, si ebbe la fucilazione, da parte degli austriaci, di nove patrioti: i fratelli Giuseppe e Francesco Venita, già ufficiali dell’esercito borbonico e proprietari, di Ferrandina, il siciliano Francesco Paolo Giusti, oltre a Mazziotta ed i suoi concittadini, il sacerdote Eustachio Ciani, frate Luigi, la guardia rurale Giuseppe La Rocca, l’operaio Rocco Latella, il sarto Giuseppe Sagaria. Essi vennero sepolti nella chiesa parrocchiale e registrati nel libro dei defunti.
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