giovedì 1 luglio 2021

Materiali didattici. 55. La Basilicata nelle Descrizioni del Regno di Napoli

In Età moderna sono le descrizioni a restituire, più che l’autorappresentazione interna, la percezione che della Basilicata si aveva da parte di Napoli. E ciò soprattutto perché le descrizioni del Regno ebbero carattere di ampia interferenza tra storie locali e storie “definitive”: le descrizioni, accanto a questi grandi modelli generali, fungevano, il più delle volte, da manualistica più “spicciola”, in quanto nate con uno scopo ben definito, quello di mostrare al lettore i vari aspetti sociali, economici e geografici del Regno, giungendo infine in maniera compiuta ad autoregolamentarsi come un genere analitico e propositivo, sfaccettato nei caratteri, ma fondamentalmente unitario nello scopo perseguito, ben oltre l’apparete intento di semplice periegesi che ancora caratterizzava le opere umanistiche.

a. Descrizioni generali


In realtà, di descrizioni generali specificamente dedicate all’intera Basilicata non si può parlare in senso stretto, a differenza di altre province vicine, come Principato Ultra o Terra d’Otranto, perché la tradizione umanistica, appunto, nonché quella politico-istituzionale, non presentava caratteri unitari. Solo la zona dell’antica Lucania, compresa tra il Vallo di Diano e la zona del Potentino, conservò caratteri di unitarietà tali, in entrambi i campi, da permettere, tra Sei e Settecento, la redazione di opere dedicate. 
In primo luogo, l’opera dell’agostiniano Luca Mandelli, La Lucania (L. MANDELLI, La Lucania, ms., trascrizione del 1792, in BNN, Manoscritti, coll. X-D-1/2.), con eruditi riferimenti al diritto romano e agli autori periegetici classici ed umanistici, trattava, in due parti, della zona compresa tra Cilento e Vallo di Diano, utilizzando, come detto, il modello periegetico delle descrizioni del Regno. Essa, nonostante, o proprio per il suo carattere di serbatoio erudito, ebbe notevole influenza sul medico Costantino Gatta e sul barone Giuseppe Antonini. 
Il Gatta, medico, autore delle Memorie topografiche-storiche della provincia di Lucania (C. GATTA, Memorie topografiche-storiche della provincia di Lucania, compresa al presente nella provincia di Basilicata, e di Principato Citeriore, colla genealogia de’ serenissimi principi di Bisignano dell’illustre famiglia Sanseverino, Napoli, Stamperia del Muzio, 1732; II ed., postuma ed accresciuta, a cura del figlio Gherardo Saverio, con il titolo Memorie topografiche-storiche della provincia di Lucania, colle notizie dell’antico e venerabile tempio dedicato alla ss. Vergine, nel territorio della città di Saponara, e d’un sepolcro de’ gentili presso l’antica città di Consilina, in Napoli, Stamperia del Muzio, 1743.), una puntigliosa presentazione dello stato naturale e civile dell’antica Lucania, con particolare attenzione al Vallo di Diano. La zona subprovinciale del Principato Citra, lungi dall’essere presentata solo sulla scorta delle autorità classiche, veniva descritta con attenzione alla storia politica, con dettagli rilevanti di carattere sociale ed economico ed un particolareggiato elenco genealogico delle famiglie nobili.
Di simile impianto, ancorché non esente da notevoli errori e tendenziosità, la Lucania (G. ANTONINI, La Lucania. Discorsi, in Napoli, nella Stamperia di Raffaello Gessari, 1745) di Giuseppe Antonini, avvocato e feudatario di San Biase e Regio Auditore di Basilicata e Abruzzo Ultra. Antonini, utilizzando il metodo corografico-antiquario tipico delle descrizioni, esaminava, in nove Discorsi, la geografia e la storia antica del Cilento e del Vallo di Diano, soffermandosi, altresì, su parte della Basilicata, pur rimanendo nell’ambito della storia antica e della descrizione erudito-periegetica, compilando, fondamentalmente, uno zibaldone di schede geografiche, con dati spesso non documentati e non collegati in organica sintesi come nel mosaico del Gatta.

b. Descrizioni della Basilicata nel Regno

Se queste “descrizioni generali” restituiscono l’immagine, erudita e distante, dell’antica Lucania, per avere un’idea di come davvero fosse percepita la Basilicata in età moderna bisogna ricorrere ai più volte citati descrittori del Regno, ponendo particolare attenzione a Scipione Mazzella e a Giambattista Pacichelli, rispettivamente apripista e “snodo” del modo di fare descrizione delle province.
Mazzella iniziava la sua descrizione spiegando che «una parte de’ luoghi di Montagna, già detta Lucania, un’altra di Puglia, furono anticamente sotto un sol nome chiamate Basilicata». Tale toponimo potrebbe essere derivato dal fatto che il territorio della Lucania, di dominio bizantino, fu dato da un imperatore di Costantinopoli come dote a una sua figlia o che il nome potrebbe essere derivato da Basilio, «huomo già fortissimo in arme, che possedé in quei tempi tutti questi luoghi, e da essa Regione, e da terra d’Otranto con sua industria, e valore discacciò i Greci,e i Cartaginesi, che la possedevano».
Poi passa alla descrizione dei confini e all’origine del popolo lucano che deriverebbe da un capitano di nome Lucano capitano, che «con una Colonia de’ Sanniti, venne in quello luogo ad habitare».
Dopo le necessarie trattazioni sul nome della provincia, si prosegue con la descrizione dal punto di vista del territorio e dell’economia locale: 

È questa Regione la maggior parte montuosa, ma però molto fertile d’ogni sorte di biade, e produce buonissimi vini, peroche crescono le viti in ampissima grandezza, il che aviene per l’amenità dell’aere, e del terreno dove sono piantate […] Fioriscono […] due volte l’anno gli alberi, e le rose, dove per tutto si vede abondanza grande di diversi saporiti, e dolci frutti; sonovi bellissimi giardini, […] producono bellissimi cedri, aranci e limoni.               

La descrizione comincia «dalla bocca del fiume Sile, ove mette capo nel mare, infino al fiume Lavo, ove sbocca nella marina» e continua con la descrizione di varie città, a ciascuna delle quali l’autore dedica poche righe, per conclude con la descrizione degli abitanti, presentati secondo un topos di rusticità e forza di carattere legata all’asperità dei luoghi che abitano e dell’attività di contadini e pastori e con l’insegna della provincia, «una mez’Aquila fulva chiara coronata con tre ondi di sotto di color azurro, tutto il resto del campo è d’oro», a simbolo della vittoria dei lucani. Infine elenca le «torri che tengono guardata la presente provintia di Basilicata» che sono sette, e l’elenco dei «nomi delle città, terre, e castella […] con la nota de’ fuochi che ciascuna di essa fa, e delle terre di Dominio, che vi sono, e dell’imposizioni, che alla Regia Corte pagano». L’immagine che emerge della Basilicata non è quella di una terra propriamente connotata dal punto di vista amministrativo o culturale, quanto, piuttosto, di una provincia di raccordo tra nord e sud del Regno di Napoli, una sorta di territorio selvaggio e senza grande storia contemporanea, ma, piuttosto, legato agli antichi fasti dei Lucani e della Magna Grecia. Tanto è vero che molte parti della descrizione di Mazzella sono, di fatto, la traduzione di passi del geografo augusteo Strabone, che nel V libro della sua Geografia aveva dedicato spazio alla Lucania: non a caso, i luoghi descritti della Lucania sono gli stessi della rappresentazione straboniana. 
Mazzella aveva, quindi, armonizzato la breve descrizione delle città più importanti della provincia nel tessuto di quella dell’intero contesto provinciale, introducendo, di fatto, un modo di descrivere la Basilicata che sarebbe rimasto pressoché invariato nei suoi epigoni, come Enrico Bacco e Ottavio Beltrano. La descrizione di Pacichelli, invece, si poneva non tanto nel solco delle descrizioni secentesche, ridotte a puri manuali popolari, quanto, piuttosto, le superava in uno sforzo di osservazione più diretta, meno mediata dall’erudizione e dal principio di autorità che erano stati alla base di precedenti descrizioni. Il Regno di Napoli in prospettiva superava l’impostazione manualistica, quasi da almanacco “corografico”, basata su schemi ripetitivi, ma andava a esaminare in modo capillare, con l’ausilio della rappresentazione cartografica e di numerose incisioni delle più importanti cittadine del Regno di Napoli, il quadro politico-istituzionale delle province facendo, altresì, perno non solo su tale canonico schema, ma anche sulle potenzialità economiche del territorio e sulle peculiarità geografiche dei singoli centri. La canonica tradizione di descrivere origine e sito della città, dunque, si trasformava in un’analisi che, ancorché non definibile “scientifica”, puntava a focalizzare, in un contesto geografico, i caratteri più originali della realtà locale, facendo leva non più, o non soltanto, sulle autorità classiche, relegate, per così dire, alle note, quanto soprattutto su costruzioni e coltivazioni, con una particolare attenzione ai segni delle reti dei poteri locali.Nella consueta sezione relativa al toponimo “Lucania” o “Basilicata”, l’autore inizia con le diverse ipotesi, aggiungendo, a quelle già citate da Mazzella e dai suoi epigoni, le teorie di Alberti e Pontano, basate su paretimologie. paretimologie. Tale consuetudine, di origine antica e medievale, si fondava sul principio del carattere non arbitrario dei nomi, della possibilità di trovare con l’etimologia l’origine e il senso delle cose, laddove tacessero le fonti. Il legame tra nome e felicitas del luogo era evidenziato, ad esempio, nel caso di Matera, dalla falsata derivazione greca di Matera da metéoron o da Quinto Metello, che, fuggito da Roma, scelse il sito per la sua «inespugnabilità» dando alla città il proprio nome (Metello> Mateola> Matera), o ancora dal fatto che la città traesse origine dalle «reliquie» di due colonie distrutte, rispettivamente, Metaponto e Heraclea e che i cittadini sopravvissuti, non sapendo scegliere tra l’uno o l’altro nome, avessero chiesto una soluzione a Pitagora, il quale, prese tre lettere da entrambi i toponimi, avrebbe composto il nome di Mat-Hera, da cui Matera.
Rispetto alle descrizioni seicentesche, poi, Pacichelli decide di dare più spazio alle singole realtà urbane, scegliendo quelle che, a suo dire, risultavano maggiori per caratterizzazione economica e politica, con una netta prevalenza della prima sulla seconda, ovviamente per i fini fiscali della Capitale del Regno. Sicché, le città descritte sono, a parte la sede della Regia Udienza, Acerenza, Lavello, Marsico “vecchio”, Melfi, Montepeloso, Muro, Potenza, Rapolla, Tricarico, Tursi, Venosa, la Certosa di San Lorenzo di Padula, Anzi, Atella, Bernalda, Colobraro, Ferrandina, Forenza, Francavilla, Laurenzana, Lauria, Maratea, Moliterno, Montemilone, Montescaglioso, Oppido, Picerno, Ruvo, Salandra, Saponara, Spinazzola, Stigliano, Trecchina. 
Risulta interessante il fatto che le prime dodici cittadine descritte siano sedi vescovili e, quindi, con un’importanza notevole dal punto di vista politica, vista la già citata incidenza delle realtà ecclesiastiche nel contesto di una provincia interna come la Basilicata. Nel prosieguo della selezione delle realtà urbane, Pacichelli mostra di descrivere le cittadine di passaggio, che sicuramente deve aver toccato quando «egli girava pel nostro Regno, (e) raccolse le più mirabili memorie di ciascheduna città, e terra principale, co’ prospetti delle medesime, e co’ piani topografici delle provincie […] e l’opera cominciò a manipolarsi nel principio del 1695». Quindi, Potenza e realtà vicine come Picerno o la Certosa di Padula o Laurenzana e Anzi e, di seguito, quelle della Val d’Agri e del Lagonegrese, come Saponara, Lauria, Maratea, Moliterno, Francavilla. Una notevole sezione è, ancora, dedicata alla zona di passaggio ed economicamente assai rilevante del Vulture-Melfese, con Atella, Forenza, Montemilone, Ruvo, Spinazzola, mentre ben poco spazio riceve una realtà decisamente eccentrica come quella del Materano, con pochi cenni a Montescaglioso, Ferrandina, Salandra, Bernalda, Colobraro.
Di peculiare rilevanza è il corredo cartografico, finora mai utilizzato nelle descrizioni, che quindi eleva quella di Pacichelli su un piano un po’ più alto rispetto alla schematicità popolare di Bacco e Beltrano. Non si può parlare di una sorta di “guida” per il turista o il viaggiatore, ma del desiderio dell’autore di approfondire delle realtà che gli sembrano più rilevanti dal punto di vista socio-economico. Le incisioni, eseguite da Francesco Cassiano da Silva, oscillano tra il vedutismo abbastanza preciso, come nel caso di Matera o Montepeloso, e la schematicità, spesso grossolana, di vedute come Acerenza, Lavello, Potenza, di cui vengono riprodotti gli elementi urbani fondamentali. Si può ipotizzare che Cassiano dedicasse particolare attenzione alla città più grandi come Matera, Montepeloso, Melfi, Moliterno, che avevano una posizione ed un’economia tale da giustificarne non solo un’ampia descrizione, ma anche una veduta. Fa eccezione Trecchina, che Pacichelli deve aver visitato rapidamente ma che aveva una posizione strategica tra basso Lagonegrese e Tirreno. 

c. Descrizioni “di servizio”


A parte si situano, infine, due descrizioni nate senza intenti divulgativi, tra l’altro entrambe poste quasi a inizio e fine del ciclo della modernità, quali quella di Camillo Porzio e quella di Rodrigo Maria Gaudioso.
Porzio scrisse una relazione sul Regno dopo l’arrivo a Napoli, nel 1575, del viceré Iñigo López de Mendoza, marchese di Mondejár. Si tratta di una descrizione accurata della posizione geografica, della divisione in province, delle condizioni economiche e di alcune annotazioni storiche riguardanti il Regno, fino alla «disposizione degli animi de’ regnicoli verso il presente dominio». Sulla Basilicata egli si sofferma molto brevemente:

La provincia di Basilicata é quasi tutta dentro di terra, fralla Calabria, Terra di Otranto, e di Bari, ed ha solamente verso l'oriente nel Golfo di Taranto, dove finisce la Calabria, un piccolo spazio di mare. Abitarono già in essa Greci e Lucani. Abbonda di grano, di bestiame grosso, e di formaggi.
I paesani vivono e vestono grossamente; sono più inclinati all’agricoltura e ad altri servigi personali, che al maneggiar l'armi; e non potendo per mare cavar fuori della provincia tutto il loro frumento, insieme cogli uomini di Principato lo portano a schiena di mulo a’ popoli vicini che ne hanno bisogno, e conducono anco in Terra di Bari di molte some di galle che di là si navigano a Venezia per tingere i panni.
Questa provincia per esser dentro di terra è senza gran città e senza uomini guerrieri. I Re di Napoli non pensarono mai di farci delle fortezze; sì che sarebbe preda di qualunque esercito che fosse padrone della Campagna.
Corrono per essa il fiume Vasento sino [...] 
È numerata dalla Regia Corte in fuochi 38743.
II Re vi possiede due piccole terre di Demanio, Lagonegro e Tramutole.
Vi ha fanti del Battaglione 1537.
I Vescovati sono Potenza, Venosa, Anglona, Tricarico, Montepeloso, Muro, Melfi, Marsico. A nominazione del Re è Potenza.
I Baroni titolati di questa provincia sono il Principe di Melfi, il Principe di Stigliano, il Principe di Venosa, il Marchese di Lavello, il Marchese di Riolo, il Marchese di Turso, il Conte di Potenza, il Conte di Saponara.
Il Governatore di Basilicata é l’istesso di Principato Citra.

In questo solco si situa quella “relazione” che Carlo di Borbone commissionò al Tanucci dopo una rapida sosta nella zona del Materano e della fascia jonica nel lungo viaggio con l’armata per raggiungere Palermo, sede dell’incoronazione sul trono di Sicilia. 
Il Tanucci, a sua volta, incaricò, come già detto, il segretario della Regia Udienza basilicatese, il marchese di Camporeale Rodrigo Maria Gaudioso, di stendere una relazione dettagliata che informasse il sovrano delle tipologie abitative delle Università e, soprattutto, delle caratteristiche e degli introiti derivanti dai feudi laici ed ecclesiastici e dagli enti ed istituzioni religiose. Il voluminoso dossier inviato dal Gaudioso a Napoli, con il titolo DESCRIZIONE DELLA PROVINCIA DI BASILICATA fatta Per ordine di Sua Maestà, che Dio Guardi, da Don RODRIGO MARIA GAUDIOSO Avvocato Fiscale Proprietario della Regia Udienza di detta Provincia, è conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, nella sezione Manoscritti ed è una testimonianza notevole non solo del modus operandi di un funzionario provinciale, come da più decenni era noto attraverso la pubblicazione della relazione propriamente detta ma, soprattutto, apre uno spiraglio notevolissimo sulla situazione delle Università della Basilicata, i cui ceti dirigenti furono responsabili della compilazione dei resoconti da inviare al Gaudioso e che contengono una mole maggiore rispetto a quanto abbreviato e, in più parti, omesso dall’avvocato fiscale materano. 
Come emerge dalla “relazione Gaudioso”, la crescita della popolazione e il senso generale di espansione che emergeva nella stessa Basilicata spingeva alla rivendicazione, contro lo strapotere economico della “casta”, dei terreni comuni e all’estensione delle terre coltivabili, in mano a ristretti gruppi di feudatari e alle onnipresenti ricettizie. Le stesse tipologie urbane in ridefinizione, specie nelle aree della Basilicata più in comunicazione con le province contermini e gli snodi commerciali, indicano che la Basilicata che emerge nella nuda relazione dell’avvocato fiscale Gaudioso era un territorio variegato, ricco di potenzialità, un mare magnum e decisamente “incognito” che il sovrano aveva appena toccato e che, probabilmente, era curioso di conoscere a livello fiscale per avere un’idea di come procedere nel “resettaggio” e riavvio della complessa macchina tributaria. 
Quale immagine della Basilicata emerge da queste pagine? Una rappresentazione, tutto sommato, molto meno stereotipata di quanto si possa pensare. Infatti, pur con tutti i limiti evidenti di un’inchiesta condotta sostanzialmente a tavolino, senza adeguati strumenti di rilevazione, l’indagine del Gaudioso ebbe l’indubbio merito di essersi avvicinata a restituire un’immagine più realistica della Basilicata. 

1 commento:

  1. Não sejas cobarde!
    SEPARATISMO IDENTITÁRIO = DIZER NÃO AO CIDADANISMO DE ROMA XX-XXI
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    O problema do europeu do sistema XX-XXI não é Identidade... é... cidadanismo de Roma!
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    1.
    O europeu remanescente do esclavagismo (isto é: o europeu do sistema XX-XXI) projecta uma economia de índole esclavagista; isto é: parte do pressuposto de que existem outros... como fornecedores de abundância de mão-de-obra servil)
    .
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    2.
    O europeu do sistema XX-XXI, para além de projectar uma economia de índole esclavagista... não gosta de trabalhar para a sustentabilidade (em vez de trabalhar para a sustentabilidade):
    -1- querem é estar na gestão na atribuição da nacionalidade;
    -2- querem é estar na gestão da atribuição de vistos de trabalho.
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    3.
    O europeu do sistema XX-XXI, mafiosamente, procura branquear o seu cidadanismo de Roma no planeta através... do branqueamento/institunacionalização do mais velho discurso de ódio da História: o ódio tiques-dos-impérios:
    -1- não podem ver um povo autóctone dotado da liberdade de, no SEU espaço, prosperar ao seu ritmo;
    -2- procuram pretextos para negar o Direito à Sobrevivência de outros... nomeadamente, o Direito à existência de autóctones no seu espaço.
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    [os boys e girls do sistema XX-XXI são da mesma laia dos hitlerianos: o problema dos hitlerianos não era identitário, mas sim, tiques-dos-impérios: não aceitavam a existência de outros...]
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    4.
    O europeu do sistema XX-XXI, procura vender/alugar tudo aquilo que herdou do nacionalismo.
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    5.
    O europeu do sistema XX-XXI, tal como o nacionalista-esclavagista (nota: o nacionalista-esclavagista foi um TRAIDOR do ideal identitário que esteve na origem da nacionalidade:'''ter o SEU espaço, prosperar ao seu ritmo''')... ele considera a nacionalidade... tão somente... uma oportunidade de negociatas, nomeadamente, negociatas de índole esclavagista:
    -i- o nacionalista-esclavagista (ex: investidores em caravelas) argumentava «a nossa economia necessita de abundância de mão-de-obra servil» (nomeadamente, escravos);
    -ii- o europeu do sistema-XX-XXI é mais do mesmo: ele argumenta «a nossa economia necessita de abundância de mão-de-obra servil» (nomeadamente, imigrantes)
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    [reis e nobreza = mais do mesmo: venderam-se a interesses económicos....]
    .
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    6.
    O europeu do sistema XX-XXI procura implementar uma censura pró-neoesclavagismo:
    --- trabalhadores que protestem afirmando o óbvio [« num planeta aonde mais de 80% da riqueza está nas mãos dos mais ricos, que representam apenas 1% da população, quem deve pagar a ajuda aos povos mais pobres é a Taxa-Tobin, e não a degradação das condições de trabalho da mão-de-obra servil de outros povos »] devem ser considerados racistas... e... o seu discurso deve ser banido da internet.
    - etc.
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    .
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    -> Urge um movimento pan-europeu de liberdade/distância/separatismo em relação aos europeus remanescentes do esclavagismo.
    (SEPARATISMO-50-50)
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    A MONUMENTAL HIPOCRISIA VIVE DA COBARDIA
    A monumental hipocrisia do europeu remanescente do esclavagismo (o europeu do sistema XX-XXI) vive... da cobardia Identitária em reivindicar liberdade/distância/SEPARATISMO!
    .
    --->>> Reivindica Liberdade/Distância/SEPARATISMO!!!
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    .
    SEPARATISMO-50-50
    Todos Diferentes, Todos Iguais... isto é: todas as Identidades Autóctones devem possuir o Direito de ter o SEU espaço no planeta -» INCLUSIVE as de rendimento demográfico mais baixo, INCLUSIVE as economicamente menos rentáveis.
    .
    obs: os 'globalization-lovers', UE-lovers, etc, que fiquem na sua... desde que respeitem os Direitos dos outros... e vice-versa.
    -» blog http://separatismo--50--50.blogspot.com/

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