Ferdinando Petruccelli della Gattina, personaggio di respiro europeo, giornalista brillante, uomo d’azione. Un uomo della modernità nel nostro Risorgimento, non solo meridionale. Petruccelli della Gattina, infatti, va compreso come scrittore a trecentosessanta gradi, non semplice giornalista, non puro romanziere, non solo “storiografo” e anticlericale: questo lo sa bene Luigi Beneduci, Dottore di Ricerca dell’UniSa, che in questa edizione del 2020 per i tipi di Francesco D’Amato (tra l’altro in un comodo formato
paperback) lo colloca degnamente nel contesto culturale dell’epoca, con una doviziosa premessa biografica (p. 5-40) ed una bibliografia ragionata (p. 66-76). Elementi fondamentali, questi dati biobibliografici, per inserire appieno l'autore in un
milieu di tutto rispetto, che comprende nomi come Federico De Roberto e Luigi Capuana e che lo vide tra i grandi protagonisti del dibattito giornalistico, accanto a colleghi pure illustri come Ferdinando Martini e Edoardo Scafoglio. Eppure, “di questo personaggio si sono perse le tracce all’interno del dibattito storico e letterario nazionale più recente” (p. 7), facendone una sorta di "solitario di Moliterno". Da Torraca a Fortunato, da Racioppi a Indro Montanelli, il caustico e onesto giornalista e romanziere lucano suscitò certamente notevole interesse nei decenni immediatamente successivi alla sua morte; ostracizzato dal giudizio perentorio di Croce (p. 38-39), fu conosciuto più per l’aneddotica legata al suo carattere diretto e scevro da compromessi, salvo che per
I moribondi di Palazzo Carignano, un
instant book di grande successo, scritto come una serie di medaglioni ed impressioni del Parlamento italiano da uno che c’era stato. Petruccelli, come inviato speciale dall’interno, delineava per il pubblico vizi e virtù dei nuovi protagonisti della vita politica, non semplicemente per darli in pasto all’opinione pubblica, ma proprio perché i lettori (prima quelli francesi de “La Presse”, su cui aveva composto questi medaglioni tra 1861 e 1862) si facessero un’idea il più realistica e meno oleografica possibile.
È naturale che questo testo rimanesse un best seller all’epoca e che venisse puntualmente ripreso nel corso del “secolo breve”, fino a diventare uno stereotipo legato al nome di Petruccelli, anche in recenti, barocche e roboanti “riletture” (tra l’altro sponsorizzate con rulli di tamburi istituzionali, in uno stile che avrebbe acceso di sdegno la penna petruccelliana) che del lucano fanno capire ben poco – forse perché dell’uomo di Moliterno non hanno compreso nulla nemmeno loro. Ben intitolata, dunque, la premessa, che presenta il testo come “sfida letteraria e politica all’antipolitica”, laddove in quella E si condensa la sua interpretazione di Petruccelli. Beneduci evidenzia come le due dimensioni del volume siano evidentemente intrecciate fin dal titolo, che evidenzia la sua capacità di scrivere in presa diretta un reportage capace di catturare il lettore non solo con la finezza della sua analisi critica, ma soprattutto di alzare il sipario sulle miserie dei parlamentari con uno stile modernissimo, fatto di frasi incalzanti, aforismatiche, pointe tipiche di certo giornalismo d’autore – e che oggi avrebbero da insegnare a molti pennivendoli, accademici e giornalisti, che si barcamenano tra barocchismi e stili da post di Twitter. Luigi Beneduci, in una prefazione rapida e serrata, ma completa, evidenzia, con dovizia di particolari e finezza da italianista "informato", la complessità e la modernità della scrittura e del messaggio testo, che va, come egli stesso puntualizza, ad essere un tassello della produzione di Petruccelli, ma non deve essere interpretato disgiuntamente da essa.
Un’edizione, quindi, che ci restituisce la freschezza di un documentario giornalistico di uno di quei “delusi” che di lì a poco avrebbero amaramente constatato che il loro apporto di seconda fila non aveva portato a nulla. Anche I moribondi sarebbero stati uno dei modi di fare gli Italiani.
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