giovedì 12 dicembre 2019

La Basilicata moderna. 33. Il Regolamento di Polizia di Potenza

Nel momento in cui Ferdinando IV di Borbone tornò al potere, nel 1815, fu obbligato dagli Austriaci, in cambio del loro appoggio, ad accettare condizioni specifiche: concedere l’amnistia generale, riconoscere le alienazioni dei beni demaniali ed ecclesiastici e i titoli concessi da Murat, conservare nei loro impieghi tutti i funzionari e gli ufficiali in servizio durante il Decennio. Tutto ciò significò accettare tutte le profonde trasformazioni che erano avvenute in quegli anni. In effetti, Ferdinando prese atto dei sostanziali mutamenti che erano avvenuti nel suo Regno e che era impossibile ripristinare lo status quo ante; mantenne la stessa divisione del regno, apportando modifiche non sostanziali, le stesse istituzioni e paradossalmente portò a compimento molte delle cose che i suoi nemici francesi avevano posto in nuce.
Il 12 dicembre 1816 venne emanata la Legge organica sull'amministrazione civile (in «Bollettino delle leggi e decreti del Regno delle Due Sicilie», n. 570 (12 dicembre 1816), pp. 423-502) in cui si confermavano le istituzioni già esistenti, apportandovi piccole modifiche. 
Vi si prevedevano come “mezzi per provvedere alla polizia amministrativa” i regolamenti, che diventarono lo strumento di controllo di ogni ambito della vita collettiva, espressione della progettualità politica ed esempio di pratica istituzionale-amministrativa.
Al riconfermato impianto istituzionale francese a “piramide” corrispondeva, a livello legislativo, un identico assetto piramidale e, come alla base delle istituzioni era il Comune, così alla base delle leggi c’erano i regolamenti, che andavano ad incidere in modo diretto la vita dei cittadini. I Decreti e le leggi emanate dallo Stato contenevano norme più generiche, mentre erano i regolamenti, scendendo nello specifico e disciplinando ogni ambito della vita sociale, a rendere effettiva l’applicazione della legge. 
«Dalla esistenza de’ regolamenti di polizia urbana e rurale, e dalla osservanza de’ medesimi può giudicarsi senza tema di errare dello stato in cui trovasi una popolazione.(…) Dove esistono buoni regolamenti di polizia amministrativa, e sono eseguiti, non han luogo disordini» (GIORNALE DEGLI ATTI DELL’INTENDENZA DI BASILICATA, (2° uffizio), 1831, Si sollecita la formazione de’ Regolamenti di Polizia urbana e rurale, pp. 229- 231): così scriveva il Segretario Generale d’Intendenza Chiarini, in un dispaccio del 12 agosto 1831 ai Sindaci della Provincia di Basilicata per invitarli a redigere o a rivedere i regolamenti.
Erano redatti dai Decurioni ma richiedevano l’approvazione degli Intendenti e rimanevano in vigore per cinque anni, scaduti i quali, o si deliberava la continuazione nella sua integrità, oppure si apportavano modifiche sottoposte nuovamente all’approvazione della longa manus dello Stato.  Essi avevano come obiettivo la «conservazione della tranquillità e dell’ordine pubblico; la legittimità ed esattezza de’ pesi e delle misure; la vigilanza sull’annona e su i venditori di generi annonarj; la vigilanza sulla conservazione e la nettezza delle strade, delle piazze e de’ pubblici stabilimenti; e la pubblica salute. Quelli di polizia rurale si propongono la salubrità, la sicurezza e la custodia delle campagne, degli animali, degli strumenti, e de’ prodotti di esse; la ripartizione e l’uso delle acque pubbliche, e degli acquedotti addetti al pubblico comodo». 
Alcune piccole realtà locali, comunque, emanarono regolamenti riproponendo antiche consuetudini, invece altre, presentarono nuove regole, figlie dei nuovi tempi ed espressione dei mutamenti avvenuti. 
La città di Potenza fu una di queste ultime: infatti il Regolamento di Polizia Urbana e Rurale non faceva nessun riferimento agli antichi statuti e alle vecchie consuetudini.
Il Regolamento potentino, pubblicato sul Supplemento del Giornale degli Atti dell’Intendenza di Basilicata nel 1817 (in GIORNALE DEGLI ATTI DELL’INTENDENZA DI BASILICATA, n. 2 (1817), Supplemento pp. 17-32), andava a regolamentare la vita dei cittadini, disciplinando in modo più capillare il centro urbano, meno il contado.
Era composto da quattro capitoli: 
Primo capitolo: conteneva 26 articoli e regolamentava il commercio e la vendita dei beni alimentari e prevedeva i requisiti e gli obblighi dei bottegarj;
Secondo capitolo: prevedeva 22 articoli e stabiliva norme igienico-sanitarie.
Terzo capitolo: aveva 9 articoli e disciplinava la vita rurale, la protezione dei poderi, degli animali e delle culture.
Quarto capitolo: 4 articoli e specificava a chi spettava l’obbligo di fare rispettare quanto previsto.

Il regolamento, come si legge in una delibera decurionale del 1824, fu approvato il 7 giugno 1817 e fu sottoscritto dai decurioni sua manu , quindi i firmatari erano tutti alfabetizzati, infatti non ci sono segni di croci. Rimase in vigore fino al 1831 quando venne redatto uno nuovo, ma quello del 1817 fu il modello sul quale si elaborarono tutti gli altri e che venne preso ad esempio per tutti i comuni che non avevano provveduto ad approntarlo. 
Tutto ciò grazie all’apporto dei nuovi funzionari pubblici e della nuova classe dirigente, di quegli uomini, di quella “generazione napoleonica” che dal 1799 al 1820-21, aveva trasformato e innovato il paese per idealità, azione politica e pratica istituzionale.
Molti dei programmi risalenti al Decennio napoleonico furono attuati più tardi ma previsti e disciplinati nel regolamento del 1817, come il progetto del 1812 dell’ingegnere Olivieri, che prevedeva vari interventi urbanistici - tra cui l’eliminazione di scale sporgenti sulla pubblica via – e che fu regolamentato dall’art. 12 Cap. II; in questo articolo si imponeva ai singoli cittadini, a proprie spese, l’eliminazione delle scale, pena una multa di sei ducati, a chi non adempiva all’obbligo, ciò al fine di rendere le strade “libere” e permetterne a tutti l’utilizzo. 
I cittadini erano coinvolti in prima persona nel decoro e nella trasformazione della città, con l’onere di pulire le strade davanti alla loro abitazione, di liberarle dal ghiaccio e dalla neve, di non occupare i pubblici spazi con cose private, di tenere in modo decoroso le proprie abitazioni e di sistemarle lì ove minacciavano rovine. Quest’articolo, come altri del medesimo capitolo e dell’intero regolamento, dava forma a quella che era l’idea napoleonica di città, trasformata in modo funzionale, con necessaria progettazione, pianificazione e regolamentazione di ogni intervento, con dotazione di sistemi stradali rettilinei, di piazze, di mercati, di opere di igiene pubblica come lavatoi, fontane, di cimitero fuori dell’abitato, di macello, di ospedali, ma anche di luoghi di educazione civile come teatri, musei, ecc. Il carattere strutturale della città derivava dai codici, dalle leggi e dai regolamenti e sotto questo aspetto la codificazione napoleonica segnò una rottura con le città dell’Ancien Regime.
Grande importanza fu data anche alle norme igienico-sanitarie in ossequio sempre all’impostazione francese garante dell’igiene e della salubrità. 
Il tema dell’igiene e della salute diventa uno strumento di controllo sociale e per questi motivi vennero consentiti usi diversi degli spazi pubblici: fu vietato, ad esempio di macellare gli animali nella piazza, (fino a quel momento gli animali venivano macellati a Largo Beccheria, adiacente alla piazza del Sedile e, poi, in un locale sottano di proprietà della chiesa di San Michele situato nel medesimo rione), ma evidentemente i macellai non rispettarono il divieto, se in alcune delibere decurionali (una del 7 settembre 1826 e un’altra del 24 agosto 1836) si vietava di macellare gli animali negli stessi locali di vendita o sulla pubblica piazza. Il «mandrone per lo scannaggio degli animali da macello» venne poi progettato nel 1854 dall’architetto Antonio Ferrara e come sito fu scelto uno esposto a nord, vicino al seminario, ma solo il 30 marzo 1876 fu approvata la costruzione del macello, prevedendo la somma di 167.590 lire per la sua realizzazione e il luogo scelto fu Santa Maria.
Era vietato anche introdurre greggi in città o detenere animali nelle abitazioni; era però permesso di avere i “neri”, cioè i maiali nelle stalle in città, da agosto a gennaio, per uso proprio, dato che il consumo di maiale era molto diffuso ed i potentini lo consideravano un asciament’, cioè un’agiatezza, poiché serviva da provvista per tutto l’anno. 
Anche il commercio dei “commestibili” era disciplinato per tutelare i cittadini da frodi alimentari e da truffe sui pesi. I commercianti alimentari, che dovevano essere muniti di autorizzazione sindacale, erano obbligati a tenere in negozio alcuni generi ritenuti beni di prima necessità a cui era imposto il prezzo. In una delibera decurionale del 22 agosto 1824, i decurioni facendo esplicito riferimento al Regolamento di polizia urbana del 7 giugno 1817, obbligavano i negozianti a tenere sempre in bottega questi alimenti e ne calmieravano i prezzi. Esisteva un mercato dei commestibili che si svolgeva in piazza del Sedile ma, dopo la realizzazione della piazza dell’Intendenza, il mercato della domenica si svolgeva lì e per questo motivo la piazza fu denominata inizialmente “piazza del Mercato”.
Si obbligavano tutti i titolari di pubblici esercizi a rimanere aperti fino alle due di notte e ad apporre davanti al loro uscio un lume, appare singolare che, prescrizioni simili, si trovano anche nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931 n. 773 tuttora in vigore.
Pochi articoli erano dedicati alla protezione dei poderi, ma improntati al rispetto della proprietà altrui e del bene pubblico.
Nell’ultimo capitolo all’art. 3, era previsto che gli introiti delle contravvenzioni servissero al mantenimento della polizia stessa. 
Il Regolamento di Polizia del 1817 fu precursore della modernità, figlio di quei tempi, specchio della realtà potentina, strumento di controllo della società; servì da modello a tutti quelli che si susseguirono, anche se nella seconda metà dell’Ottocento furono redatti due regolamenti: uno di polizia urbana (1869) e uno di polizia rurale (1868). In quello del ’17 si dà più importanza al centro urbano perché si deve dare l’impostazione delle regole di civile convivenza: utilizzo delle aree pubbliche, rispetto dell’igiene, tutela per il commercio. Nel momento in cui ci si rende conto dell’importanza della campagna proprio per la sussistenza della città, si avverte l’esigenza di regolamentare, in modo più profondo, la vita del contado, l’utilizzo del demanio comunale, il rispetto dei fondi altrui e delle norme igieniche.   

Nessun commento:

Posta un commento

La cultura meridionale. 7. Contadini del Sud di Rocco Scotellaro

  (Clicca sull'immagine per aprire il file)