Recenti
riattenzioni storiografiche per ricostruzioni e riletture del pur debole
sistema urbano del Mezzogiorno e della Basilicata, con specifiche
evidenziazioni relative non solo ai luoghi di esercizio del potere, ma anche sugli spazi ed i protagonisti di promozione
e diffusione di iniziative e attività culturali fuori dai consolidati contesti,
rendono quanto mai rilevante il ruolo
che, in tale direzione, fu svolto, tra la metà del Cinquecento ed i primi
decenni del Seicento, dai Gesualdo nell’area al centro di questo volume.
E ciò in
particolare a Venosa, che toccava, nel ventennio del mandato del vescovo Andrea
Perbenedetti, il suo periodo di massimo splendore, con un’incidenza notevolissima del potere
feudale dei Gesualdo, che attuavano una politica di
laicizzazione culturale in aperto contrasto con la rigida applicazione dei decreti
tridentini promossa dalla Chiesa. Del resto, notevole era stato il potere
feudale nella città oraziana, fin da quando Pirro del Balzo, duca d’Andria, aveva ricevuto dalla moglie,
Maria Donata Orsini, figlia di Gabriele, contessa di Montescaglioso, uno Stato
ricchissimo, costituito da città e terre, fra cui Acerra, Guardialombarda,
Lacedonia, Lavello e appunto Venosa, con il titolo di duca. Qui il del Balzo
fece costruire il Castello (dal 1460 al 1470), distruggendo la preesistente
cattedrale cittadina, che fece erigere nuovamente - in posizione
significativamente decentrata rispetto all’abitato - con lavori terminati solo nel 1502.
Incarcerato
il del Balzo, coinvolto nella congiura dei baroni del 1485, Venosa era passata
al regio demanio, rimanendo città regia fino a quando Ferdinando il Cattolico
la concesse a Consalvo de Cordova come premio della conquista del Regno di
Napoli contro i francesi del duca di Nemours (1503),
finché Luigi iv Gesualdo al titolo
di conte di Conza aggiunse, nel 1561, il titolo di principe di Venosa, che
trasmise al figlio Fabrizio.
Primo frutto
di questo fertile clima culturale era stata l'opera, a metà strada tra descrizione
della città e storia cittadina, Discrittione della città di Venosa, sito e
qualità di essa, scritta il 28 febbraio 1584 da Achille Cappellano, vicario generale
del vescovo Giovanni Tommaso Sanfelice dal 1583 al 1585, primicerio e parroco
di San Marco in Venosa nel 1589 e studioso di diritto sotto la guida di
Scipione di Bella e di Francesco Gruosso12. Proprio in quell’anno, tra l’altro, Fabrizio Gesualdo entrava in Venosa
per prendere possesso del feudo:
nell’anno
1584, del mese di ottobre, a tempo fe l’intrata in Venusa, per
il possesso del principato l’Eccellentia di D.
Fabritio Gesualdo con l’Ill.mo et R.mo Cardinale suo fratello,
si serui di detto baldacchino, e uolse detta università che dodici gentiluomini
della città, nell’entrare di detto Principe et Ill.mo
Cardinale, se ritrouassero con detto baldacchino nella porta della città vicino
la piazza, et accompagnassero quelli fino alla cathedrale, dove si ferno le
solennità ordinate nel pontificale, e se recitorno uarii poemi et orationi,
tanto per la città dove erano eretti archi trionfali, quanto nella cathedrale,
dove detti Signori e Ecc.mi dedero grata audienza a tutti coloro che
recitauano. Nell’intrare della città fu spiegato detto baldacchino,
e Federico Maranta all’ hora mastro giurato di detta città pigliò
le redine del caualla dell Eccelentia
del Principe e Gio. Andrea Costanzo all’hora erario pigliò le
retine del cauallo di detto Ill.mo Cardinale. Il baldacchino il portorno il
Dottore Donato Porfido, il Dottore Ascanio Cenna, il Dottor Gio. Battista
Maranta, il Medico Gio. Battista Cafaro, Marco Aurelio Giustiniani, Manilio
Cappellano, Gioan Francesco Barbiano, Horatio Caputi, Angelo Solimene, Roberto
Piumbarolo, Bartholomeo d’ Aytardis et Augustino Fenice. E furno
dodeci, perché dodeci bastoni retiene detto baldacchino.
Ed all’entrata del principe Fabrizio, come d’uso, il nuovo feudatario aveva soddisfatto alcune richieste del locale patriziato a proposito dell’Università:
a
t(em)po l’ Eccelentia del Principe Don Fabritio
Gesualdo, bona memoria piglio il possesso di detta citta con l’
Ecc(ellentissi)mo et R(euerendissi)mo Cardinale suo fratello si fe
co(n)test(atio)ne tra L’m Vinersita e detto Ecc(ellentissi)mo
S(igno)re che l’ officio di mastro giurato se eligesse
ogn’anno in
persona di uno Nobile di detta citta e che li dodeci Eletti ch’ hanno da gouernar(e)
q(ue)lla sei siano Nobili ,e, de nobilm(en)te uiuano ,e, sei altri siano del
populo.
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