lunedì 10 febbraio 2014

Risorgimento lucano. 14. Autorappresentazione dei ceti dirigenti

Quella della rappresentazione e dell’autorappresentazione delle comunità del Mezzogiorno d’Italia in età moderna è, negli ultimi anni, una questione storiografica di notevole interesse nella ricostruzione e lettura della gestione dei luoghi e delle forme del potere da parte dei gruppi dirigenti locali. Tale rappresentazione fu, di fatto, condivisa tra “letteratura” - quella della storiografia locale -, “visibile parlare” - quello delle dimore  e delle case palaziate - e “fattualità - quella della pratica politico-istituzionale-amministrativa - . Questi nodi problematici hanno evidenziato, negli ultimi anni, i termini caratterizzanti di un altalenante equilibrio tra modalità comunicative visibili a tutti e modalità di comunicazione verso l’esterno.
Nel caso degli edifici pubblici, ciò che si intendeva mostrare era, tra l’altro, la forma che nelle intenzioni dei poteri locali rappresentava l’immagine che la città aveva di se stessa, laddove, nel caso delle storie cittadine, il rapporto comunicativo non si limitava alla comunità, ma all’autorappresentazione esterna verso la Capitale, ovviamente basata su strumenti, per così dire, più “metodologici”, utilizzati dai diversi storici per ottenerla, nell’ottica, sempre, di un costante riferimento alla cultura ed all’immagine di sé che la comunità aveva.
In quest’ottica, ponendo più insistita attenzione alle funzioni cittadine, si è evidenziata, negli ultimi anni, la necessità di uno studio della percezione di sé all’interno e verso Napoli per le realtà urbane del Mezzogiorno d’Italia di media e piccola dimensione, con popolazione inferiore ai diecimila abitanti, ma con incisive funzioni, a livello politico-istituzionale e socio-culturale.
In via preliminare, va chiarito il significato di “descrizione” e “autorappresentazione”. Laddove la descrizione è essenzialmente affidata alle testimonianze coeve – ma non solo – e comunque riferita al periodo in questione per delineare l’immagine esterna, oggettiva, per così dire, dei gruppi dirigenti locali, per autorappresentazione si intende la nuova strategia politica, più immediatamente attuata nel Decennio, volta ad offrire un’immagine di sé che, pur evidentemente soggettiva, doveva di necessità essere strumento della presentazione delle élites locali al nuovo governo centrale. In ciò, il riferimento è ad una variegata tipologia di fonti, quali storie locali, testi a stampa, cronache, atti all’interno delle sedi istituzionali, dichiarazioni dei notai, che già di per sé connotano le difficoltà di una ricostruzione della comunicazione politica.
Tale auto rappresentazione ebbe modo di esplicitarsi, in modi e forme variegate, a livello di gruppi dirigenti, nel corso del processo di Unificazione nazionale che, in Basilicata, come ormai noto, fu un percorso tortuoso, partecipato, condiviso di crescita politico-istituzionale, amministrativo, comunicativo, associazionistico, partito con il fecondo esperimento di progettualità e di pratica istituzionale-amministrativa condotto nel breve, ma significativo, pentamestre rivoluzionario del 1799. Un momento notevolissimo di “scoperta della politica”, continuato nel Decennio napoleonico, che, nel quadro di un rideterminato rapporto tra centro e periferia, concretizzò riforme appena abbozzate nel corso del 1799, dalla legge eversiva della feudalità al riassetto territoriale alla nuova maglia istituzionale-amministrativa nei territori provinciali.
La nuova borghesia di tradizione agraria, spina dorsale della nuova classe dirigente provinciale, la cui condizione sociale si connetteva all’esercizio delle professioni civili ed impiegatizie, si rafforzò nel Decennio grazie alle opportunità provenienti dal mercato dei beni ecclesiastici e demaniali, oltre che dal controllo stesso della gestione amministrativa locale, specchiandosi, infine, nell’autorappresentazione del proprio potere e impostando le basi per ridiscutere l’assetto economico-sociale provinciale, come evidente dalla breve stagione rivoluzionaria e costituzionale del 1820-21.
Nonostante la sanguinosa repressione e la successiva ristagnazione politica nel ventennio seguente, tali fermenti di cultura e pratica politica ebbero modo di riprendere nella provincia di Basilicata e in particolar modo nel Lagonegrese, fulcro, nel giugno-luglio 1848, di una notevole azione rivoltosa contro il governo borbonico e volta a coinvolgere tutte le Province del Regno. Nel contempo, si ebbe una fitta serie di rivendicazioni in ogni centro della provincia da parte del proletariato rurale, che richiedeva la spartizione dei terreni demaniali usurpati dagli ex feudatari o dalla ricca borghesia. La Rivoluzione del 1860, dunque, fu il punto d’arrivo di una cultura politica maturata nel corso dell’intero arco risorgimentale, memore dell’associazionismo politico che aveva dato i primi frutti nel 1799, per poi radicarsi, in modi e forme sempre più compiute ed organizzate, durante i fondamentali snodi delle rivoluzioni costituzionali del 1820-21 e del 1848-1849.

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