Sorta sui cigli e nei fianchi di una rupe di tufo calcareo, Acerenza aveva una posizione importante dal punto di vista strategico, che dominava le antiche vie consolari e metteva in diretta comunicazione la Basilicata e la Capitanata.
Oltre alla posizione strategica, la città bradanica si era posta, fin dal X secolo, come centro di aggregazione, grazie al fatto che Alessandro II aveva elevato Acerenza al rango di sede metropolitica, comprendente le città di Venosa, Montemilone, Potenza, Tolve, Tricarico, Montepeloso, Gravina, Matera, Oblano, Turri, Tursi, Latiano, San Chirico, Oriolo. L’arcidiocesi aveva, tuttavia, registrato una fase di crisi tra la fine del XII e l’inizio del XII secolo, nel passaggio dalla dominazione normanna a quella sveva, conclusasi con l’elevazione di Matera a sede arcivescovile di dignità pari ad Acerenza, pur se la città continuava ad essere centro amministrativo della metropolia ed all’arcivescovo acheruntino era concesso il privilegio di decidere le variazioni di numero del collegio dei canonici delle città suffraganee, di effettuare periodicamente visite pastorali e di indire concili provinciali. A questo rinnovamento ed ampliamento di privilegi era seguita una fase di crescita urbana, organizzata intorno ai grandi poli religiosi, anche se molteplici furono anche, nel corso dell’età moderna, gli interventi di riqualificazione e di ampliamento, improntati ad un’efficace autorappresentazione del potere ecclesiastico.
Acerenza, inoltre, era stata Università feudale, possedimento di Covella Ruffo, moglie del duca di Sessa, tra il 1423 e il 1440, per poi passare in eredità al figlio Marino de Marzano tra il 1445 e il 1465. Solo il 18 agosto del 1465 Ferdinando I concesse ai cittadini di Acerenza la liberazione dal pagamento delle dodici onze pro custodia et guardia castri, decretandone la demanialità. La ristrutturazione di Acerenza, in senso autorappresentativo, fu avviata dai nuovi feudatari, i conti Ferrillo, venuti in possesso della città per un caso fortuito, dopo il sisma del 1456, quando la città era stata rasa al suolo ed erano morte circa 12000 persone. Dopo questo catastrofico evento, Sisto IV aveva deciso di dividere, per motivi economici, l’arcivescovado di Acerenza e Matera, mentre, nel 1479, Ferdinando I d’Aragona alienò la città, per 12.00 ducati, a Mazzeo Ferrillo.

Il declino dei Pinelli si acuì a partire da Galeazzo Francesco, marito di Giustiniana Pignatelli, figlia di Fabrizio marchese di Cerchiara, che, per sfuggire ai debiti, entrò in convento, mentre suo figlio Cosimo Pinelli junior portò alla completa rovina la proprietà, sicché la sua pronipote Anna Francesca Pinelli (nata a Belmonte nel 1702), principessa di Belmonte e duchessa di Acerenza, unica erede del duca Oronzo Pinelli , reggente della Vicaria, passò il titolo del feudo ad Antonio Pignatelli dei duchi di Belmonte, che l’avrebbero tenuta fino all’eversione della feudalità.
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