1. Siris era una colonia greca della Magna Grecia, fondata, come generalmente si crede, verso la metà del sec. VII a. C., alla foce del fiume omonimo (Siris, poi Sinis, oggi Sinni), sulla costa lucana, fra Sibari e Metaponto.
Il territorio aveva prima appartenuto al popolo del Coni: dalla nuova città prese il nome di Siritide. Celebri scrittori antichi, come Aristotele e Timeo, ne attribuivano la fondazione ad un gruppo di profughi da Troia, che avrebbero portato con loro il Palladio ed il culto di Atena Iliade; altre fonti tutte trasmesse a noi da Strabone e da Ateneo (XII, 523 c), l'attribuiscono invece ai Rodi ed altre infine, che sembrano più attendibili, ai Colofoni, fuggiti dalla patria quando fu invasa dai Lidi di Gige (circa 675 a. C,). Varî indizî fanno sospettare la presenza di un forte elemento focese fra i coloni di Siri. Anche è probabile che la data di fondazione della città debba farsi risalire assai più addietro, verso la metà del sec. VIII.
La città divenne presto fiorente, grazie alla fertilità della vallata del Sinni, la cui bellezza e amenità fu celebrata nei versi di Archiloco di Paro: mantenne con l'Oriente mediterraneo intensi commerci.
La ricchezza e la potenza di Siri risvegliò i sospetti dei Metapontini e la cupidigia di Sibari: onde le due città, unitesi in alleanza e aggiunti alla loro lega i Crotoniati, assalirono Siri e la distrussero (circa 530-525 a. C.). Gli abitanti superstiti vennero trasferiti a Metaponto, che rimase padrona di gran parte della Siritide: la porzione meridionale di questa venne invece in mano dei Sibariti e, dopo la distruzione di Sibari, di Crotone. Più tardi Atene accampò diritti sul territorio della città: e su di essi s'imperniò probabilmente la lunga contesa che arse fra Taranto e Turi, subito dopo la fondazione di quest'ultima città.
La guerra finì nel 432 a. c. con la vittoria di Taranto, che ottenne il dominio della Siritide, concedendo però agli antichi abitanti di restare ad abitarvi: in esso i Tarantini fondarono la nuova colonia di Eraclea; Siri continuò a esistere come porto di essa.
2. Esclusa l'attribuzione a Siris delle monete di tipo acheo, che le erano state assegnate, non vi è più motivo per sospettare né della cronologia né delle caratteristiche ioniche, riferite dalla tradizione antica e molto discusse dalla critica moderna. Esse sono anzi validamente confermate da un peso fittile da telaio proveniente dall'area sirite (Policoro) con il nome del proprietario Isodike iscritto nel dialetto e nell'alfabeto ionico più arcaico.
Il lusso di Siris fu proverbiale quanto quello di Sibari ed è deplorevole che nulla oggi sappiamo della sua raffinata civiltà: forse un riflesso se ne può sorprendere nei più antichi monumenti di Poseidonia e dello Heraion sul Sele. Certo non possono aver rapporto con la città perita in età arcaica né gli spallacci con amazzonomachia ad altorilievo, spesso menzionati come bronzi di S. e che sono invece mirabili prodotti del maturo IV sec., né le tombe ed i ruderi ellenistici affiorati nei lavori di bonifica sulla riva sinistra del fiume Sinni, presso Policoro: forse nelle murature relativamente tarde è compreso qualche blocco arcaico.
Che Siris sia stata preceduta o seguita da una città chiamata Polieion Πολίειον) è leggenda spiegabile con l'uso contemporaneo di due nomi, l'uno più diffuso, tratto da quello del fiume e l'altro più solenne, forse ufficiale, ma meno popolare.
3. Diverse fonti lasciano intendere che almeno la prima fase di Siris si deve ricercare proprio verso la foce del fiume, dove, d'altronde, come è stato ipotizzato, doveva trovarsi il porto, e dove alami studiosi conducono le loro ricerche. Il sito di una vera pòlis si trova sulla lunga collina di Policoro, in mezzo a una ricca pianura. Proprio la ricchezza di queste terre aveva richiamato anche le popolazioni indigene - i Choni - che avevano formato grandi e piccoli insediamenti intorno alla collina di Policoro e di S. Maria d'Anglona. Ai piedi di queste colline si sono formate le necropoli indigene della I fase dell'Età del Ferro, come quelle di Valle Sorigliano, con diverse presenze orientali nei corredi di produzione locale, mentre sui pendii di S. Maria d'Anglona i recenti scavi hanno messo in luce qualche tomba con oggetti greci arcaici. Anche queste zone, considerate dalle fonti antiche (Strabone, VI, I, 10) κτίσις των 'Ροδίων, facevano parte di quella Siritide del VII sec. a.C. cantata da Archiloco. Sulla collina di Policoro i primi segni di presenza greco-orientale e insulare sono della fine dell'VIII-inizî del VII sec. a.C.: questi appaiono più densi sulla punta orientale, nella zona chiamata del Castello. Gli ultimi scavi e ricerche effettuati hanno evidenziato che la collina, con un circuito di c.a 4 km, era difesa da una fortificazione in mattoni crudi, larga m 1,80-2, oggi conservata in altezza in qualche parte fino ami. Assai probabilmente, verso la metà del VII sec., l'intera collina venne stabilmente occupata e fortificata dai Colofoni rifugiatisi in questa zona già conosciuta attraverso informazioni fornite da gente della stessa origine microasiatica, arrivata ancora prima sulla costa ionica per formare empòria come quello di Incoronata. Mentre la punta orientale era difesa già prima dell'arrivo dei Colofoni, la fortificazione centrale e occidentale può essere attribuita a questi ultimi.
Anche le poche abitazioni finora conosciute risultano costruite con mattoni crudi su uno zoccolo in pietrame irregolare, come risulta nell'area della collina e ancora più a S. La loro pianta è quasi sempre rettangolare e, come appare nel caso delle tracce rinvenute nell'area a S del Castello (Giardino murato), erano costruite anche in legno e formate solo da uno o due ambienti. La loro presenza in aree ancora più lontane dalla collina indica una pòlis formata da diverse kòmai.
Le aree sacre di S. sono distribuite all'interno e all'esterno dell'area fortificata. Mentre sulla collina è stato trovato sporadicamente qualche frammento di terrecotte architettoniche arcaiche, sul pendio della vallata meridionale sono stati messi in luce un tempio e un santuario di Demetra, quest'ultimo racchiudente anche qualche traccia di piccoli edifici (naìskoi) decorati con terrecotte architettoniche del VI sec. a.C. Il tempio, molto simile al tempio C di Metaponto e, inizialmente, anche a un altro di S. Biagio, era decorato con un fregio fittile che ha conosciuto una larga diffusione a Metaponto e nel suo territorio, fino a Sibari, Posidonia e Serra di Vaglio.
Tanto nell'area del Santuario di Demetra che nell'area del tempio vi sono chiare testimonianze che la vita di Siris è continuata dalla fine dell'VIII e dai primi anni del VII sec. a.C. fino alla fine del VI sec. a.C.: vasi, statuette, terrecotte architettoniche e bronzi s'inquadrano in questo lungo periodo. Qualche altro documento (skỳphoi del tipo Bloesch C) scende fino al primo quarto del V sec. a.C., come dimostrano anche le necropoli.
La fase achea della metà del VII sec. a.C. a S. non è ben definita attraverso i rinvenimenti archeologici finora conosciuti in quest'area. Una cesura molto evidente è soltanto quella databile tra il primo e il secondo venticinquennio del V sec. a.C.
Tanto le necropoli quanto le stipi votive e i diversi rinvenimenti di vasi, statuette e bronzi dimostrano chiaramente quanto vasta sia stata l'espansione commerciale di Siris lungo la fascia costiera e i fiumi Agri e Sinni. L'espansione sulla costa è documentata dall'emporio di Incoronata, mentre lungo i due fiumi vicini alla collina di Policoro le testimonianze si ritrovano nelle necropoli di Latronico, Roccanova, Alianello e Chiaromonte. Gli oggetti rinvenuti sono d'origine insulare e greco-orientale; in altri casi si tratta di riuscite imitazioni locali di tali produzioni. I vasi dell'Orientalizzante antico e qualche figura di animale in bronzo sono i migliori esempi di produzione sirita, in cui i cavalli affrontati costituiscono uno dei motivi decorativi più apprezzati dai maestri locali.
FONTE: 1. Voce di G. GIANNELLI in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1936; 2. Voce di P. ZANCANI MONTUORO in Enciclopedia dell'Arte Antica, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966; 3. Voce di D. ADAMESTEANU in Enciclopedia dell'Arte Antica. II Supplemento, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1997.
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