Oronzo Albanese, nato a Tolve nel 1748 da Antonio e da Camilla Pappalardo, dopo aver studiato nel Seminario di Matera fu ordinato sacerdote nel 1766. La sua formazione fu strettamente legata alla sfera storico-giuridica, in stretto rapporto con la scuola napoletana di Mario Pagano e Domenico Cirillo, di cui forse era entrato in contatto.
Soggiornò a Potenza, anche se i collegamenti con il suo paese rimasero stretti; in primis per tutelare gli interessi economici della sua famiglia, e poi perché era componente del Gremio Capitolo, cioè del gruppo di preti che regolavano il buon governo della Chiesa tolvese. I rapporti con il Capitolo erano sempre stati buoni, e la considerazione che il clero aveva della sua persona era decisamente alta, soprattutto per le sue competenze giuridiche; infatti, era dottore in “ambo i diritti”, ovvero aveva conoscenze di diritto canonico e di diritto civile. Sovente il Capitolo aveva chiesto al Dottor Oronzo Albanese di esercitare la carica di Avvocato del Clero per tutelare le ragioni dei sacerdoti tolvesi.
In questi anni, tuttavia, la sua famiglia accusò delle difficoltà economiche, tanto che l’Albanese, assieme al fratello Giovanni, fece richiesta di un prestito di 323 ducati al Capitolo. E ciò nonostante i rapporti che la famiglia Albanese manteneva in diversi centri della Provincia, tra gli altri i Carelli di Picerno, don Prospero di San Chirico e i Tamburrino di Vaglio. Negli anni seguenti, don Oronzo fu tenuto a restituire la somma avuta in prestito che, così come prevedevano le consuetudini capitolari, gli venne detratta dalla tangente della Massa Comune e da quella di Massa di Cappella che annualmente riceveva in qualità di prete partecipante. La mancata entrata pesò certamente sul bilancio familiare, tanto che Albanese per alcuni anni fu costretto a celebrare messe nel paese – lui che prestava servizio vicariale a Potenza - richiedendone le spettanze relative.
Il 3 febbraio a Potenza, sotto la direzione del vescovo Serrao, venne innalzato l’albero della libertà, in concomitanza a quanto avveniva in altri centri vicini quali Tolve, Pietragalla, Cancellara e Vaglio. A Tolve l’innalzamento dell’albero della libertà, in largo Duomo, non creò scontri in giornata, che però si ebbero l’8 febbraio, quando un gruppo di realisti scatenò uno scontro a fuoco che portò alla morte di uno di loro, Andrea Becce, ed al ferimento, dimostratosi mortale, di Nicola Catenazzo, appartenente alla Guardia Civica comandata dal fratello di Oronzo, Domenico, ma in un primo tempo in contrasto con lo stesso Oronzo. L’indomani l’arciprete Matteo Grignetti ed esponenti della borghesia conservatrice dei ricchi proprietari terrieri promossero un moto popolare, ma l’intervento della Guardia Civica evitò fatti di violenza, non riuscendo, però, ad impedire che proprio coloro che avevano sperato in quella reazione popolare prendessero la direzione della nuova Municipalità.
Dopo il 24 febbraio, quando tra le strade di Potenza sfilò il macabro corteo con le teste del martire giacobino Serrao e del reggente del Seminario Antonio Serra, don Oronzo Albanese riuscì a riparare a Tolve sfuggendo all’ira assassina dei realisti. La Municipalità capeggiata dal Giorgio, affiancato dal Grignetti, era in rotta di collisione con la maggior parte delle famiglie patrizie, anche per via di comportamenti ambigui che sfioravano, in alcuni casi, il legittimismo borbonico.
Il ritorno di Oronzo fu accolto dai cittadini tolvesi, a lui vicini, con entusiasmo; il sacerdote, guidato dal suo giacobinismo schietto e protetto dalla fitta rete familiare che in lui vedeva la guida futura, ben presto riuscì a togliere dalle mani del Giorgio, dell’arciprete Grignetti, del Mattia, dei fratelli Filippo e Raffaele Perrone e di Nicola D’Auria, la Presidenza della Municipalità tolvese. Eletto Presidente il 27 febbraio, Albanese cercò da subito di attuare tutte le idee che lo avevano guidato in quegli anni, cercando la collaborazione dei diversi poteri esistenti nel paese.
Soggiornò a Potenza, anche se i collegamenti con il suo paese rimasero stretti; in primis per tutelare gli interessi economici della sua famiglia, e poi perché era componente del Gremio Capitolo, cioè del gruppo di preti che regolavano il buon governo della Chiesa tolvese. I rapporti con il Capitolo erano sempre stati buoni, e la considerazione che il clero aveva della sua persona era decisamente alta, soprattutto per le sue competenze giuridiche; infatti, era dottore in “ambo i diritti”, ovvero aveva conoscenze di diritto canonico e di diritto civile. Sovente il Capitolo aveva chiesto al Dottor Oronzo Albanese di esercitare la carica di Avvocato del Clero per tutelare le ragioni dei sacerdoti tolvesi.
In questi anni, tuttavia, la sua famiglia accusò delle difficoltà economiche, tanto che l’Albanese, assieme al fratello Giovanni, fece richiesta di un prestito di 323 ducati al Capitolo. E ciò nonostante i rapporti che la famiglia Albanese manteneva in diversi centri della Provincia, tra gli altri i Carelli di Picerno, don Prospero di San Chirico e i Tamburrino di Vaglio. Negli anni seguenti, don Oronzo fu tenuto a restituire la somma avuta in prestito che, così come prevedevano le consuetudini capitolari, gli venne detratta dalla tangente della Massa Comune e da quella di Massa di Cappella che annualmente riceveva in qualità di prete partecipante. La mancata entrata pesò certamente sul bilancio familiare, tanto che Albanese per alcuni anni fu costretto a celebrare messe nel paese – lui che prestava servizio vicariale a Potenza - richiedendone le spettanze relative.
Il 3 febbraio a Potenza, sotto la direzione del vescovo Serrao, venne innalzato l’albero della libertà, in concomitanza a quanto avveniva in altri centri vicini quali Tolve, Pietragalla, Cancellara e Vaglio. A Tolve l’innalzamento dell’albero della libertà, in largo Duomo, non creò scontri in giornata, che però si ebbero l’8 febbraio, quando un gruppo di realisti scatenò uno scontro a fuoco che portò alla morte di uno di loro, Andrea Becce, ed al ferimento, dimostratosi mortale, di Nicola Catenazzo, appartenente alla Guardia Civica comandata dal fratello di Oronzo, Domenico, ma in un primo tempo in contrasto con lo stesso Oronzo. L’indomani l’arciprete Matteo Grignetti ed esponenti della borghesia conservatrice dei ricchi proprietari terrieri promossero un moto popolare, ma l’intervento della Guardia Civica evitò fatti di violenza, non riuscendo, però, ad impedire che proprio coloro che avevano sperato in quella reazione popolare prendessero la direzione della nuova Municipalità.
Dopo il 24 febbraio, quando tra le strade di Potenza sfilò il macabro corteo con le teste del martire giacobino Serrao e del reggente del Seminario Antonio Serra, don Oronzo Albanese riuscì a riparare a Tolve sfuggendo all’ira assassina dei realisti. La Municipalità capeggiata dal Giorgio, affiancato dal Grignetti, era in rotta di collisione con la maggior parte delle famiglie patrizie, anche per via di comportamenti ambigui che sfioravano, in alcuni casi, il legittimismo borbonico.
Il ritorno di Oronzo fu accolto dai cittadini tolvesi, a lui vicini, con entusiasmo; il sacerdote, guidato dal suo giacobinismo schietto e protetto dalla fitta rete familiare che in lui vedeva la guida futura, ben presto riuscì a togliere dalle mani del Giorgio, dell’arciprete Grignetti, del Mattia, dei fratelli Filippo e Raffaele Perrone e di Nicola D’Auria, la Presidenza della Municipalità tolvese. Eletto Presidente il 27 febbraio, Albanese cercò da subito di attuare tutte le idee che lo avevano guidato in quegli anni, cercando la collaborazione dei diversi poteri esistenti nel paese.
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