Giacomo Cenna, tipico esponente del patriziato cittadino, nacque a Venosa nel 1560 da Ascanio, giurista e letterato di nobile famiglia. Dopo la laurea a Salerno, dottore in utroque iure, ritornò a Venosa, dove tenne scuola di diritto e, per i suoi meriti letterari, fu nominato, già nel 1589, canonico ed arcidiacono della Cattedrale di Venosa.
Nel 1614, quando il vescovo borromaico Andrea Perbenedetti progettò di aggiungere alle costituzioni sinodali della diocesi venosina la cronotassi dei vescovi, incaricò proprio il Cenna di compilarla, dandogli carta bianca nella consultazione dell’archivio della Cattedrale. Il risultato fu un catalogo accurato, Nomina episcoporum, qui pro tempore praefuerunt Ecclesiae Venusinae, allegato agli atti sinodali del 1613-14.
Proprio per questo motivo, il Cenna aveva ottenuto l’autorizzazione a consultare i documenti dell’archivio vescovile e capitolare, venendo a contatto con la documentazione utile a comporre una storia di Venosa. Tuttavia, probabilmente, l’accademico venosino trattenne presso di sé alcune carte da utilizzare per la stesura dell’opera, sicchè il Perbenedetti, in base ad informazioni anonime, il 7 giugno del 1616 inviò i procuratori del Capitolo, Angelo Spata e Giovanbattista di Santa Lucia, a perquisirne l’abitazione.
In seguito a quest’episodio, Cenna perse la carica di arcidiacono, non riottenendola neanche con i successori del Perbenedetti, Frigerio e Conturla. L’unica carica che gli rimase fu quella di sacerdote capitolare, tuttavia senza particolari compiti. L’astio per questa estromissione si riversò nel seguito della Cronaca antiqua della Città di Venosa, quando, trattando dei vescovi venosini, Cenna affermò, del Perbenedetti, «che duoi errori erano stati fatti al mondo: l’uno da Paulo V a farlo Vescovo di Venosa, e l’altro da esso Urbano a farlo visitatore del Regno di Napoli».
In quella che risulta essere, dunque, più che una vera e propria storia di Venosa, un’apologia dell’antichità e della grandezza della cittadina basilicatese, fondata sulla Chiesa, Cenna si dedicò ad imbastire un discorso apologetico costruito, più che su una rigida intelaiatura cronologica, su vere e proprie argomentazioni “indiziarie” dell’antichità di Venosa:
i “fatti d’arme” (capp. I-VI): «l’antichità, nobiltà e grandezza del Populo di questa città di Venosa se può videre dalle guerre da esso fatte ne i tempi antiqui»;
l’elenco delle chiese cittadine: «dalle chiese dedicate alla Divina Maestà del Signore Iddio se può medesmamente conietturare l’antiquità e nobiltà di Venosa»;
l’elenco dei privilegi concessi alla città dai vari sovrani (XXV-XXVIII): «l’antiquità e nobiltà della città di Venosa si può considerare medesmamente dall’altri privilegij e prerogative che tiene»;
le «persone litterate» (XXIX-XXXIII): «l’antiquità e nobiltà delle città si considera medesmamente dalla grandezza degl’ingegni di suoi cittadini».
Bibliografia
D. GAGLIARDI, Percorsi storiografici della Basilicata. Gli studi classici, in «Bollettino Storico della Basilicata», X (1994), 10.
G. PINTO, Prefazione a G. CENNA, Cronaca Venosina. Ms. del sec. XVII della Bibl. Naz. di Napoli, Trani, Vecchi, 1902 (rist. anast. Venosa, Editrice Appia 2, 1982).
A. D’ANDRIA, «Dell’antiquità e nobiltà di Venosa». Intorno alla Cronaca Venosina di Giacomo Cenna, in «Bollettino Storico della Basilicata», XXIV (2008), n. 24.
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