Sabato 22 marzo, ad Avigliano, alle ore 18, presso la sala “Andrea Claps” della S.O.M.S., si terrà la presentazione del nuovo libro di Angelo Lacerenza, dal titolo Il brigantaggio meridionale dopo l’Unità d’Italia: tra storiografia, identizzazione e mitizzazione.
Il brigantaggio in Basilicata rappresenta uno degli episodi più significativi e controversi della storia dell’Italia postunitaria. Dopo l’Unità del 1861, la regione fu teatro di una lunga e sanguinosa insurrezione che coinvolse ampie fasce della popolazione, soprattutto contadini poveri, ex soldati borbonici, disertori, fuorilegge comuni e uomini in cerca di vendetta o giustizia. Il fenomeno non fu soltanto una forma di criminalità, ma un'espressione concreta del disagio sociale, politico ed economico che colpì il Sud Italia a seguito dell’unificazione.
In Basilicata, come in molte zone del Mezzogiorno, il nuovo Stato italiano fu percepito da molti non come un liberatore, ma come un nuovo oppressore. Le nuove tasse, la leva obbligatoria, l’abolizione di alcuni usi civici, il peggioramento delle condizioni di vita e l'esclusione delle masse contadine dalle decisioni politiche contribuirono a creare un clima di forte malcontento. A questo si aggiunse la repressione brutale messa in atto dal governo per mantenere l’ordine e affermare il controllo del territorio, che spesso alimentava ulteriore rabbia e risentimento.
Il paesaggio aspro e montuoso della Basilicata favoriva le bande di briganti, che trovavano rifugio nelle foreste e nelle gole dei monti lucani. Qui organizzavano agguati contro l’esercito, rapine, sequestri e attacchi a municipi e caserme. Non mancarono episodi di violenza contro civili accusati di collaborare con lo Stato. In molte aree rurali, i briganti erano visti come giustizieri, uomini che si opponevano ai soprusi dei ricchi e delle autorità. In altri casi, però, le loro azioni erano dettate da interessi personali e sfociavano in veri e propri atti di banditismo.
Una delle figure più emblematiche del brigantaggio lucano fu Carmine Crocco, originario di Rionero in Vulture. Ex soldato borbonico, divenne il capo di una delle bande più numerose e organizzate del Meridione. Per alcuni, Crocco fu un eroe popolare, un ribelle che si batté per la sua terra; per altri, un feroce criminale. La sua vicenda rappresenta in modo esemplare l’ambiguità del fenomeno: tra rivolta sociale e delinquenza, tra lotta politica e violenza spietata.
Il brigantaggio in Basilicata fu combattuto con durezza dallo Stato italiano, che impiegò decine di migliaia di soldati, promulgò leggi eccezionali e adottò metodi repressivi spesso brutali. La fine del fenomeno, intorno al 1870, non coincise però con la risoluzione dei problemi che lo avevano generato. La Basilicata, come gran parte del Mezzogiorno, continuò a vivere condizioni di arretratezza economica, marginalità politica e disagio sociale per molti decenni.
Il mito del brigantaggio postunitario rappresenta una narrazione storica che ha avuto un forte impatto sulla costruzione dell'identità nazionale italiana. Dopo l'unità d'Italia, il fenomeno del brigantaggio, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, venne interpretato in modo ambiguo: se da un lato veniva visto come una reazione violenta contro l'occupazione sabauda e le sue politiche, dall'altro fu presentato come una "barbarie" da sradicare per consolidare l'unità nazionale. Con questo testo, Lacerenza riconsidera il tema della mitizzazione e dell'identità del brigante, basandosi non solo sulle complesse motivazioni sociali ed economiche che stavano alla base di questi movimenti di resistenza, ma anche al tema delle "classi pericolose" che riduceva tali fenomeni a mera criminalità.
Un incontro, dunque, da non perdere per una riflessione seria e pacata su un tema quanto mai attuale e scottante per studiosi e appassionati.
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