N O T I Z I A
DI RIPACANDIDA
Ripacandida luogo della Diocesi di Rapolla unita a quella di Melfi è una terra della Provincia di Basilicata, così oggi detta quella parte dell’antica Lucania confinante alla Puglia nel Regno di Napoli : sta ella situata tra Atella, e Venosa sull’erto d’una collina. Ne’ tempi antichi fu assai più ampia di giro, e solamente Candida si chiamava. Per quanto scorgesi da varie iscrizioni, che ritrovansi qua, e là disperse, ed infrante, da un pezzo di grossa colonna, in cui serpeggiante fulmine vedesi inciso, da molte monete, ed idoletti di bronzo, che nello scavarsi la terra si sono ritrovati, come pure da’ sepolcri, ne’ quali, ed armature, e lucerne, ed urne di ceneri sovventi volte si sono scoverte, chiaramente si scorge, che da personaggi di conto fosse abitata, e che molto ragguardevole stata ella fosse. Ciò anche dimostra una lapida non sono molti anni scoverta, in cui stava inciso il decreto di Vitale Pretore contro un reo cittadino aqua, & igne interdetto.Mostra di grande magnificenza sono gli archi in lunga fila, de’ quali alcuni se ne veggono tutti interi, e di moltissimi altri le gambe sole spezzate, che servivano di acquedotto, che da ben lungi conducente l’acqua dalla sorgiva, e per istrada ancor malagevole, chiamata an-cor la costa degli archi, portavanla al piano dell’abitato.
Questa Candida dall’inondazione de’ Barbari fu assai malmenata, come molte altre cospicue Città della mi-sera Italia. Quindi i Cittadini rimasti, lasciate in ab-bandono l’abitazioni della pianura più esposte a con-simili disastri, si ritirarono a fortificarsi nella parte più eminente, ove eravi un’antico tempio di Giove, e v’è rimasto un pezzo della già detta colonna. Cinsero il colle, che s’erge in rapida ripa sopra il fiume, che il divide dall’Appennino, di buone mura con Baluardi, e Torri fortificate, vi edificarono in mezzo un ben’inteso Castello a canto d’una ben’ampia Bastìa, e chiamarono la nuova abitazione Ripacandida.
Nelli primi secoli della Chiesa renderono più illustre questa Patria li gloriosi SS.Martiri Mariano Diacono, e Laviere suo fratello Vergine, e le loro Reliquie si vene-rano nella Città di Acerenza, e nella Terra del Tito, ivi del primo, e quivi del secondo.
Mantennero li posteri il decoro, e lustro dagli avoli lor tramandato, avendo seguite le bandiere de’ Principi Normandi loro padroni nella gloriosa impresa di Terra Santa; ed anche nel secolo seguente, quando Guglielmo il Buono si portò a vendicare il sangue latino sparso dalla perfidia de’ Greci, quattro Baroni //4// roni di Ripacandida gli diedero otto Soldati, e nove altri Cittadini presero volontarj l’armi per quella spedizione.
Splendore più grande accrebbe a questa Patria nel tempo istesso Donato Monaco Virginiano, che di tene-ra età vestì le lane religiose di S.Guglielmo Abate, nel Monistero di S.Onofrio della Massa, oggi detto dell’Abetina finì nella sola età di diecannove anni la sua penitentissima vita, pernottando anche in tempo di crudo inverno nudo in orazione dentro un gorgo d’acque e di profondo torrente : e la sua profonda, e cieca ubbidienza fu dal Signore coronata con rari prodigj, così colla sua cinta un’Orso feroce devastatore dell’alveari del suo Convento, come purgando un’ardente Forno con le nude sue mani, entratovi per ubbidienza, ed uscitone senza che o capello del capo, o pelo dell’abito avesse fralle fiamme perduto.
Morto questo Santo Giovinetto, in trasportarsi, come par costuma vasi in que’ tempi, anche da’ Religiosi il cadavero, alla patria d’onde in processione eran venuti i cittadini a pigliarselo, usciti popoli convicini in istrada; così, dissero piangenti; Donato ci abbandoni. e niente ci lasci del tuo? Alzatosi sulla bara il defonto gittò loro, staccata dal gomito, la mettà del destro Braccio, che accolto con tenerezza, e gioja si depositò nel Con-vento de’ PP. Benedettini, all’ora di S.Andrea, ove si custodisce oggi da’ PP. Minori Conventuali incorrotto, ed intiero.
Nell’istorie più moderne è celebre ancora il nome di Ripacandida per aver avuto coraggio, e valore i suo cit-tadini di resistere, e superare multiplicati assalti nell’assedio postole da Consalvo di Cordova, detto il Gran Capitano, che vi mandò a gara l’una dopo l’altra varie milizie di nazioni diverse sotto la sua bandiera assoldate, ed all’ora solamente cedettero, quando comparve sotto le mura la persona reale del Re Ferrante, dandosi vinti alla maestà del Sovrano, non alle forze dell’armi. Di ciò consapevole Monsù detto di Lautrec,chiamato il devastatore delle Città, portandosi alla desolazione di Melfi, ripresse le scorrerie de’ suoi, acciocchè non cimentassero l’onore con quei di Ripacandida, li quali in tal congiuntura per ostentazione di star ben provveduti, lanciarono con le fionde pane, e formaggio in mezzo d’alcune truppe, che s’erano inoltrate alla lor vicinanza.
Recasi ancora questa Patria ragionevolmente ad onore, l’essere in essa nato nell’anno 1585. il celebre Andrea Molfese. Questi nell’età puerile stando in orazione innanzi ad una devotissima Immagine di nostra Signora sentì con voce miracolosa animarsi da Maria Santissima allo stato Clericale, al quale già introdotto, portossi poi di quattordici anni in Napoli con D. Lionardo Baffari suo paesano : colà attese agli studj legali, il Baffari s’impiegò poi nella lettura de’ Sacri Canoni nella Cattedra di quella pubblica Università. Il Molfese s’acquistò nome di Avvocato dottisimo ne’ Tribunali, e nel principio del secolo ante passato quelli si ritirò alla patria, e fu fatto Arciprete, esso nell’età di trent’anni si fece Chierico Regolare nella casa de’ SS.Appostoli, ove per lo spazio d’altri sedici santamente visse, ed unì a’ regolari esercizi gli studj : diede alle stampe i dottissimi Commentarj sopra le Consuetudini del regno, e la prima parte della Somma Morale, la seconda uscì postuma dalle stampe, e moltissimi altri trat-//5//trattati si conservano ancor manoscritti. Religioso per la fama della dottrina, e santità della vita stimato assai : compose varj, e grandi litigj, eletto arbitro da’ Signori di primaria nobiltà, e ricorrendo anche altra povera gente, fece a tutti la carità di sentirli, e dirimere le loro differenze; e con queste, ed altre opere di pietà, ed esercizio di religiose virtù nel 1619. finì di vivere, e diede materia da scrivere agli istorici della sua illustrissima Religione. Nella sua casa in Ripacandida sita nel mezzo della strada principale, e detta alla francese, la Rue, in un marmo sopra d’una finestra si vede scolpita la Croce de’ Teatini; e quello in cui vi erano scolpiti questi versi;
Altius ascendet si servent tempora vires
Quo patriae poscit Molphetiense decus.
Caduto per un terremoto, e posto poi dentro la nuova fabbrica, senz’avvertirsi, non più si vede. […].
Fonte: G. ROSSI, Notizia di Ripacandida, in ID., Vita del Gran Servo di Dio Giambattista Rossi Arciprete di Ripa-Candida. Dedicata a Sua Santità Benedetto XIV, in Napoli, nella Stamperia Muziana, 1752, pp. 3-5.
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