Un blog sulle "microstorie" della Basilicata e sulla Storia che ad esse si intreccia.
giovedì 28 novembre 2019
giovedì 21 novembre 2019
Storie locali. 3. Terra di Bari
La produzione storiografica di Terra di Bari fu connotata da una notevole presenza, pressoché schiacciante, di storiografi di provenienza ecclesiastica, che spesso si ponevano essi stessi come committenti delle proprie opere, prendendo, dunque, in mano il discorso apologetico per produrre opere di significativo rilievo per l’ibridazione, in esse, tra apologia cittadina, discorso ‘salvifico’ fondato sulla fondazione di chiese petrine e retrodatazione della fedeltà religiosa della città all’epoca del ‘mito cristiano’ di Noè.
Tra i vari casi nell’ampia produzione barese, spiccano i nomi di Bari, Conversano, Monopoli, Bisceglie, per la rilevanza storico-politica dei loro storiografi ufficiali, espressioni di una significativa dialettica degli ordini in una provincia cruciale dal punto di vista economico.
Antonio Beatillo , con la sua storia di Bari, fu uno dei massimi esponenti di questa produzione cittadina, in una provincia ad alta concentrazione di grandi comunità, gravitante, appunto, intorno a Bari. Il Beatillo, privo di un reale bagaglio critico di base, ebbe il merito di aver raccolto documenti d’archivio e materiale epigrafico nella sua Storia di Bari principal città della Puglia.
L’opera è divisa in quattro libri, il primo dei quali dalle origini alla fine del dominio bizantino; il secondo dai Normanni alla battaglia di Benevento; il terzo da Carlo d’Angiò alla conquista del Regno da parte di Alfonso il Magnanimo; il quarto dagli Aragonesi all’epoca dell’autore.
Le Historiae Cupersanenses di Paolo Antonio De Tarsia sono, sulla stessa falsariga, opera di un personaggio di notevole rilevanza, abate di S. Antonio di Conversano e frequentatore della corte di Madrid.
Il polignanese Pompeo Sarnelli, Protonotario apostolico e fecondo poligrafo, tra l’altro vescovo di Bi-sceglie, fu autore di due storie cittadine che: la Cronologia de’ vescovi et arcivescovi sipontini risale agli anni in cui il Sarnelli collaborava nello studio di Vincenzo Maria Orsini, arcivescovo della città, mentre le Memorie de’ vescovi di Biseglia e della stessa città, pubblicate due anni dopo la nomina a vescovo della città, furono un significativo discorso di difesa della preminenza di Bisceglie sugli altri centri della diocesi.
Per Monopoli, spicca la Istoria del primicerio Giuseppe Indelli, simile, per l’uso di fonti dagli archivi capitolari, a quella potentina del Rendina, o ancora, alle coeve storie materane. Simili, per struttura e tematizzazione, furono l’Historia dell’abate Francesco Antonio Glianes e la Minopoli dell’abate Alessandro Nardelli, nel privilegiare la storia recente della cittadina anche dal punto di vista religioso.
La Storia di Giovinazzo fu pubblicata da Ludovico Paglia che, in cinque libri, impostò la propria analisi sulla disamina degli eventi e sulla cronotassi vescovile, dedicando ampio spazio alla riproduzione integrale dei documenti, come, ad esempio, gli statuti cittadini.
BIBLIOGRAFIA:
Antonio D'Andria, IDENTITÀ SVELATE. La parabola dell’antico nelle storie locali del Mezzogiorno moderno, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2018.
giovedì 14 novembre 2019
Storie locali. 2. Capitanata e Terra di Bari
La storiografia di Capitanata, ancorché non abbondante, produsse opere in aree più strategiche e ad alto tasso di dinamiche socio-economiche, quali Foggia, San Severo, Cerignola.
La scarsa produzione di Capitanata presenta solo 10 storie, delle quali 8 sono di tipo cittadino, 2 di carattere erudito, mentre solo una è propriamente ecclesiastica. Anche in questa provincia la dialettica degli ordini è ben rappresentata dalle provenienze degli storici, con ben 6 autori ecclesiastici e la notevole presenza, tra i restanti, dei gruppi legati alle professioni legali e alla medicina.
Notevoli, in questo senso, per ricostruire l’importanza delle famiglie del patriziato locale tra Sei e Settecento le produzioni storiografiche cittadine, ancorché non abbondanti. Così, le Memorie di Foggia del canonico Girolamo Calvanese, esponente di una delle più importanti famiglie del patriziato foggiano del XVII secolo , offrono, accanto alla dissertazione sulla fondazione di Foggia ad opera di Diomede, identificata con la virgiliana Argirippa – la Arpi straboniana –, un interessante panorama di una città mercantile che, assai più della ‘scontata’ fondazione mitica, poggiava le basi per la propria preminenza politica ed economica sugli intensi scambi adriatici, connotandosi come polo più ‘interprovinciale’ rispetto a Bari. Altresì, Teodoro Kiriatti, con le sue Memorie di Cerignola, rappresenta la voce delle élites dirigenti cerignolesi, connotate dall’ascesa di famiglie della locale borghesia terriera che, cresciute all’ombra del feudo, amministrando i possedimenti dei baroni locali, erano riuscite a ritagliarsi spazi socio-economici e politico-amministrativi sempre più ampi. In effetti, il Kiriatti, medico, era figlio del capovignarolo dei locali feudatari, immigrato da Brindisi a Cerignola .
Come lui, il medico Vincenzo Giuliani, autore di Memorie su Vieste, esponente della locale borghesia delle professioni, si concentrava sulla descrizione del territorio viestano, soffermandosi non più su origini mitiche o su fon-dazioni ecclesiastiche petrine, quanto sull’esame delle fonti antiche, in primis su Tolomeo, identificando Vieste con la Apeneste della Geografia e indicandola come colonia romana sulla scorta di Frontino. Sempre in base alla documentazione disponibile, il Giuliani incentrava la propria narrazione sui documenti, giungendo a narrare la storia di Vieste fino al 1554, quando essa fu aggregata al Regio Demanio.
Nell’area garganica spicca anche la Cronica Istoriale di Tremiti di Benedetto Cocarella, Canonico Regolare Lateranense che, all’inizio del XVI secolo, su incarico del proprio abate, aveva composto in latino tale descrizione delle isole adriatiche, poi pubblicata, tradotta in latino da Pietro Paolo Di Ribera, che vi aggiunse una cronaca più specificamente storiografica: in sei libri, il canonico vercellese, iniziando con una trattazione del mito di Diomede, si soffermava sulla descrizione geografica delle isole (libro II), per poi dilungarsi in una sorta di agiografia dei Canonici Regolari (libri III-VI), ritenuti come ‘secondi fondatori’ delle comunità tremitane.
BIBLIOGRAFIA:
Antonio D'Andria, IDENTITÀ SVELATE. La parabola dell’antico nelle storie locali del Mezzogiorno moderno, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2018.
giovedì 7 novembre 2019
Paesi lucani. 49. Notizia di Ripacandida (Giovanni Rossi, 1752)
N O T I Z I A
DI RIPACANDIDA
Ripacandida luogo della Diocesi di Rapolla unita a quella di Melfi è una terra della Provincia di Basilicata, così oggi detta quella parte dell’antica Lucania confinante alla Puglia nel Regno di Napoli : sta ella situata tra Atella, e Venosa sull’erto d’una collina. Ne’ tempi antichi fu assai più ampia di giro, e solamente Candida si chiamava. Per quanto scorgesi da varie iscrizioni, che ritrovansi qua, e là disperse, ed infrante, da un pezzo di grossa colonna, in cui serpeggiante fulmine vedesi inciso, da molte monete, ed idoletti di bronzo, che nello scavarsi la terra si sono ritrovati, come pure da’ sepolcri, ne’ quali, ed armature, e lucerne, ed urne di ceneri sovventi volte si sono scoverte, chiaramente si scorge, che da personaggi di conto fosse abitata, e che molto ragguardevole stata ella fosse. Ciò anche dimostra una lapida non sono molti anni scoverta, in cui stava inciso il decreto di Vitale Pretore contro un reo cittadino aqua, & igne interdetto.Mostra di grande magnificenza sono gli archi in lunga fila, de’ quali alcuni se ne veggono tutti interi, e di moltissimi altri le gambe sole spezzate, che servivano di acquedotto, che da ben lungi conducente l’acqua dalla sorgiva, e per istrada ancor malagevole, chiamata an-cor la costa degli archi, portavanla al piano dell’abitato.
Questa Candida dall’inondazione de’ Barbari fu assai malmenata, come molte altre cospicue Città della mi-sera Italia. Quindi i Cittadini rimasti, lasciate in ab-bandono l’abitazioni della pianura più esposte a con-simili disastri, si ritirarono a fortificarsi nella parte più eminente, ove eravi un’antico tempio di Giove, e v’è rimasto un pezzo della già detta colonna. Cinsero il colle, che s’erge in rapida ripa sopra il fiume, che il divide dall’Appennino, di buone mura con Baluardi, e Torri fortificate, vi edificarono in mezzo un ben’inteso Castello a canto d’una ben’ampia Bastìa, e chiamarono la nuova abitazione Ripacandida.
Nelli primi secoli della Chiesa renderono più illustre questa Patria li gloriosi SS.Martiri Mariano Diacono, e Laviere suo fratello Vergine, e le loro Reliquie si vene-rano nella Città di Acerenza, e nella Terra del Tito, ivi del primo, e quivi del secondo.
Mantennero li posteri il decoro, e lustro dagli avoli lor tramandato, avendo seguite le bandiere de’ Principi Normandi loro padroni nella gloriosa impresa di Terra Santa; ed anche nel secolo seguente, quando Guglielmo il Buono si portò a vendicare il sangue latino sparso dalla perfidia de’ Greci, quattro Baroni //4// roni di Ripacandida gli diedero otto Soldati, e nove altri Cittadini presero volontarj l’armi per quella spedizione.
Splendore più grande accrebbe a questa Patria nel tempo istesso Donato Monaco Virginiano, che di tene-ra età vestì le lane religiose di S.Guglielmo Abate, nel Monistero di S.Onofrio della Massa, oggi detto dell’Abetina finì nella sola età di diecannove anni la sua penitentissima vita, pernottando anche in tempo di crudo inverno nudo in orazione dentro un gorgo d’acque e di profondo torrente : e la sua profonda, e cieca ubbidienza fu dal Signore coronata con rari prodigj, così colla sua cinta un’Orso feroce devastatore dell’alveari del suo Convento, come purgando un’ardente Forno con le nude sue mani, entratovi per ubbidienza, ed uscitone senza che o capello del capo, o pelo dell’abito avesse fralle fiamme perduto.
Morto questo Santo Giovinetto, in trasportarsi, come par costuma vasi in que’ tempi, anche da’ Religiosi il cadavero, alla patria d’onde in processione eran venuti i cittadini a pigliarselo, usciti popoli convicini in istrada; così, dissero piangenti; Donato ci abbandoni. e niente ci lasci del tuo? Alzatosi sulla bara il defonto gittò loro, staccata dal gomito, la mettà del destro Braccio, che accolto con tenerezza, e gioja si depositò nel Con-vento de’ PP. Benedettini, all’ora di S.Andrea, ove si custodisce oggi da’ PP. Minori Conventuali incorrotto, ed intiero.
Nell’istorie più moderne è celebre ancora il nome di Ripacandida per aver avuto coraggio, e valore i suo cit-tadini di resistere, e superare multiplicati assalti nell’assedio postole da Consalvo di Cordova, detto il Gran Capitano, che vi mandò a gara l’una dopo l’altra varie milizie di nazioni diverse sotto la sua bandiera assoldate, ed all’ora solamente cedettero, quando comparve sotto le mura la persona reale del Re Ferrante, dandosi vinti alla maestà del Sovrano, non alle forze dell’armi. Di ciò consapevole Monsù detto di Lautrec,chiamato il devastatore delle Città, portandosi alla desolazione di Melfi, ripresse le scorrerie de’ suoi, acciocchè non cimentassero l’onore con quei di Ripacandida, li quali in tal congiuntura per ostentazione di star ben provveduti, lanciarono con le fionde pane, e formaggio in mezzo d’alcune truppe, che s’erano inoltrate alla lor vicinanza.
Recasi ancora questa Patria ragionevolmente ad onore, l’essere in essa nato nell’anno 1585. il celebre Andrea Molfese. Questi nell’età puerile stando in orazione innanzi ad una devotissima Immagine di nostra Signora sentì con voce miracolosa animarsi da Maria Santissima allo stato Clericale, al quale già introdotto, portossi poi di quattordici anni in Napoli con D. Lionardo Baffari suo paesano : colà attese agli studj legali, il Baffari s’impiegò poi nella lettura de’ Sacri Canoni nella Cattedra di quella pubblica Università. Il Molfese s’acquistò nome di Avvocato dottisimo ne’ Tribunali, e nel principio del secolo ante passato quelli si ritirò alla patria, e fu fatto Arciprete, esso nell’età di trent’anni si fece Chierico Regolare nella casa de’ SS.Appostoli, ove per lo spazio d’altri sedici santamente visse, ed unì a’ regolari esercizi gli studj : diede alle stampe i dottissimi Commentarj sopra le Consuetudini del regno, e la prima parte della Somma Morale, la seconda uscì postuma dalle stampe, e moltissimi altri trat-//5//trattati si conservano ancor manoscritti. Religioso per la fama della dottrina, e santità della vita stimato assai : compose varj, e grandi litigj, eletto arbitro da’ Signori di primaria nobiltà, e ricorrendo anche altra povera gente, fece a tutti la carità di sentirli, e dirimere le loro differenze; e con queste, ed altre opere di pietà, ed esercizio di religiose virtù nel 1619. finì di vivere, e diede materia da scrivere agli istorici della sua illustrissima Religione. Nella sua casa in Ripacandida sita nel mezzo della strada principale, e detta alla francese, la Rue, in un marmo sopra d’una finestra si vede scolpita la Croce de’ Teatini; e quello in cui vi erano scolpiti questi versi;
Altius ascendet si servent tempora vires
Quo patriae poscit Molphetiense decus.
Caduto per un terremoto, e posto poi dentro la nuova fabbrica, senz’avvertirsi, non più si vede. […].
Fonte: G. ROSSI, Notizia di Ripacandida, in ID., Vita del Gran Servo di Dio Giambattista Rossi Arciprete di Ripa-Candida. Dedicata a Sua Santità Benedetto XIV, in Napoli, nella Stamperia Muziana, 1752, pp. 3-5.
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