Nel corso dell'Ottocento lucano di particolare interesse risulta la normativa inerente gli scavi archeologici. Essa data a partire dal decreto n. 86 del 15 febbraio 1808, con il quale Giuseppe Bonaparte regolamentava la materia:
ART. I. È permesso ad ognuno d’intraprendere le ricerche de’ monumenti antichi nelle terre private, ma colle limitazioni, e condizioni espresse nel presente decreto.
2. Se ne farà precedentemente la petizione al nostro Ministro dell’interno, descrivendo con determinate misure il sito, che si vuol cavare, e la licenza sarà accordata purché non si tocchino, né mettano in pericolo i monumenti ragguardevoli, come sono i tempj, le basiliche, gli anfiteatri, i ginnasj, le mura di città distrutte, gli acquedotti, ed i mausolei di nobile architettura.
3. Nel caso che le terre, dove si dovranno fare le ricerche, non fossero proprie del ricercatore, dovrà somministrare la pruova del consenso accordato dal proprietario, e delle indennità stipulate.
4. La licenza sarà accordata, comunicandola agl’intendenti delle provincie, ed al direttore generale degli scavi, il quale incaricherà persona di sua fiducia, per in vigilare sulla esecuzione delle dette condizioni, e far nota del risultato delle ricerche.
5. Questi rapporti saranno inviati in ogni fine di mese al Ministro dell’interno, e partecipati all’Accademia di storia, ed antichità, la quale determinerà gli oggetti, che rimarranno alla libera disposizione de’ proprietarj, e quelli che per la loro eccellenza si dovranno riguardare come conducenti alla istruzione, ed al decoro nazionale.
6. In questo secondo caso l’Accademia ne farà rapporto, per determinarci a farne l’acquisto per gli (sic) Reali Musei, o a prendere le opportune precauzioni, perché non si disperdano, né sieno, contravvenendo al nostro decreto de’ 7 aprile 1807, estratti fuori del regno.
7. Le disposizioni contenute così in questo decreto, come in quello poco anzi accennato de’ 7 aprile 1807, dovranno esattamente osservarsi sotto la pena della confisca di quel che si troverà negli scavi, che si faranno senza licenza, e di ciò che si tenti estrarre dal regno, senza nostro permesso.
8. Il nostro Ministro dell’interno prenderà a tempo opportuno i nostri ordini perché ne’ reali collegj si stabiliscano i pubblici depositi di quei monumenti, che non si destineranno pei musei di Napoli.
9. I nostri Ministri delle finanze, della polizia, e dell’interno, per quanto si contiene nelle loro attribuzioni, sono incaricati della esecuzione del presente decreto.
Firmato GIUSEPPE
Da parte del Re
Il Segretario di Stato, firmato F. RICCIARDI
Notevole, fu nell’ambito del rispetto di tale regolamentazione degli scavi anche sul territorio della provincia di Basilicata, un rapporto trasmesso l’8 agosto del 1814 dal funzionario Giuseppe de Stefano all’Intendente di Basilicata, nel quale si rendicontava il ritrovamento, tra altri reperti, di «una corona, o sia una ghirlanda d’oro al peso di un rotolo e due once», sulla quale erano «pampini, uve, e sei geni alati di uno straordinario disegno». Scoperta dal colonnello Diodato Sponsa di Avigliano, successivamente la corona fu venduta sul mercato di Napoli e, quindi, acquistata da Carolina Bonaparte Murat.
Nel primo decennio del successivo governo borbonico, con il regio decreto del 20 giugno 1821, tale competenza venne assegnata al Ministero della Real casa. La legge 10 gennaio 1817 (art. 3), la cosiddetta “legge organica” delle Segreterie e Ministeri di Stato, menziona, poi, la Real segreteria della casa reale da un punto di vista meramente negativo, perché «non riguardando che gli oggetti e gli interessi particolari della real casa e famiglia, de' siti reali, e de' nostri ordini cavallereschi». Col r.d. n. 64, del 20 giugno 1821, ne furono fissate le attribuzioni, tra le quali gli scavi d'antichità. Ciò perché, come lo stesso decreto riportava in premessa, era necessaria un’opera di centralizzazione delle attribuzioni inerenti gli oggetti «confidati» alla Real Segreteria.
Il r. d. 14 maggio 1822 vietava gli scavi di antichità senza autorizzazione governativa e, con r. d. 29 settembre 1824, si disponeva, per evitare trafugamenti, che essi fossero sorvegliati dal sindaco, dall'incaricato del direttore del Real Museo e da agenti di polizia. Così, infatti, scriveva il Ministro della Polizia Generale, Intonti, in una lettera circolare agli Intendenti:
La real segreteria e ministero di stato di casa reale mi ha comunicato la determinazione Sovrana, che da ogg’innanzi gli scavi di antichità sieno sorvegliati non solo dal sindaco comunale, e dall’incaricato del direttore del Real Museo Borbonico, giusta l’art. 2° del real decreto de’ 14 maggio 1822, ma eziandio dagli agenti di polizia, nei quali si abbia una fiducia maggiore; imponendosi loro sotto la più stretta responsabilità d’investigare, e vigilare tutte le operazioni de’ ricercatori di antichità, ed aver cura particolare, che non si nascondano, né s’involino gli oggetti trovati; ma che se ne faccia, e rimetta la nota per mezzo del sindaco all’Intendente della provincia, eseguendosi per tutt’altro quanto contiensi nel citato real decreto de’ 14 maggio 1822. I motivi che hanno indotto Sua Maestà a prescrivere le norme indicate, derivano dall’essersi conosciuto, che i ricercatori di oggetti antichi eseguiscono degli scavi senza Sovrano permesso, e che altri dopo averlo ottenuto, trasgrediscono il sudetto real decreto de’ 14 maggio 1822, vendendo ed asportando furtivamente gli oggetti rinvenuti.
(Decreto n. 42 (29 settembre 1824), in G. MALERBA, Le tre leggi del 12 dicembre 1816, 21 e 25 marzo 1817 fondamentali dell'amministrativo sistema del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1843, vol. 4, p. 355).
La documentazione archivistica testimonia, nel primo trentennio dell’Ottocento, un’intensa attività di scavi, anche se soprattutto abusivi, in particolar modo nelle subaree di Marsico Nuovo, Santarcangelo, Anzi e Pomarico. Le ricerche costituivano un redditizio lavoro, soprattutto per i «cavatori di antichità» di Anzi, ottimamente pagati ed impegnati in scavi abusivi per il mercato d’arte: alcuni risultano promossi addirittura da ecclesiastici, come nel caso degli scavi organizzati dal sacerdote Vincenzo Fella e dal frate Daniele Mazzei, o persino autorizzati dal Ministero dell’Interno. Tuttavia non erano infrequenti le convenzioni di scavo nel pieno rispetto dell’art. 3 della legge 86/1808, come già avviato dal notaio Vincenzo Ambrosino, nel 1814 e nel 1815.
La soppressione del Ministero della Real Casa era, intanto, infine disposta da Ferdinando II, con il r. d. 9 settembre 1832: la gestione degli scavi, dunque, fu affidata all’Amministrazione della Real Casa. I musei, antichità e belle arti furono, con r. d. 6 marzo 1848, poi, ulteriormente trasferiti al Ministero della pubblica istruzione; e con r. d. 17 gennaio 1852 restituiti definitivamente alla Soprintendenza della Casa Reale.
Si può facilmente immaginare che, malgrado le disposizioni del Governo, gli interventi affidati caso per caso ad autorità locali, che, quand’anche fossero state animate da zelo ed imparzialità, non potevano certo avere una competenza specifica in cose d'arte e di storia, siano spesso mancati e che, specie nei centri minori e più lontani dalle città, molto sia andato irreparabilmente perduto.
Il tramutolese Andrea Lombardi, negli anni Quaranta, in qualità di Intendente, ebbe a scrivere sui rinvenimenti di Anzi, ritenuta «ormai classica per i tanti e sì svariati oggetti di antichità che essa fornisce». Si ritiene utile riportare in extenso la “cronistoria” degli scavi fatta dal Lombardi:
Prodigioso è il numero de’ sepolcri che si sono scavati nel suolo dell’odierno comune di Anzi e nelle sue adiacenze. Da quel feracissimo terreno nello spazio di sei lustri e più si sono tratti infiniti vasi fittili, e molti di sommo pregio. Non poche reliquie di edifizi si sono ancora rinvenute in quel territorio, e qualche raro marmo letterato vi si è anche scoperto. […] Gli scavi ebbero principio in Anzi nel 1797, ed il primo sepolcro fu scoperto da un tal Giuliano Garramone nella contrada denominata li Pastini. Esisteva alla profondità di cinque palmi, e conteneva molti vasi figurati, che furono acquistati dal Governo, tra’ quali uno a campana di ottima patina e di eccellente pennello. Le contrade la Raia, la Potente, l’Avellana, e S. Caterina hanno somministrato una maggior quantità di sepolcri. […]. Sono degni di essere ricordati circa cento sepolcri, che si scavarono pochi anni addietro nel luogo detto Coste di S. Maria al nord dell’abitato, e che fornirono oggetti pregevolissimi, cioè vasi presso che tutti nolani e molti siculi istoriati, ed alcuni con greche iscrizioni, ottimi bronzi, vasetti di cristallo benché rari, e qualche ornamento di oro e di argento. Meritano similmente di essere rammentati e brevemente descritti due sepolcri, che furono scoperti ultimamente dal sig. Giuseppe de Stefano dello stesso comune. Il primo era distante da quello circa cinquanta passi, e situato sulla nuova strada rotabile comunale. Grandi pietre di tufo costituivano la sua covertura. Si rinvenne sulle prime molta terra mista a frammenti di vasi, e questi raccolti e messi insieme, ne sortì un vaso nolano a tromba alto tre palmi, di eccellente disegno, di lucidissima vernice, con ventiquattro figure collocate in due linee, rappresentante la prima una danza, e l’altra Bellerofonte che teneva con una mano la briglia del cavallo Pegaso, ed accennava coll’altra un vecchio cui pareva che volgesse il discorso. Questo pregevole vaso donato ad un augusto personaggio, fu spedito immediatamente a Parigi. […] Il secondo sepolcro era alla distanza di un miglio circa da Anzi nel luogo detto il Varco della Regina, e profondo non meno di quaranta palmi. […] Meritano infine di essere ricordati il sepolcro discoperto in una vigna nella contrada la Raia, ove si trovò quel collo di vaso siculo assai pregiato, rappresentante la guerra di Troja, che or si conserva nella collezione del sig. Fittipaldi, l’altro sepolcro scoperto nell’Aia di S. Antonio sulla pubblica strada presso l’abitato. […] L’immensa copia de’ sepolcri e de’ vasi italo-greci, nolani, siculi ec. rinvenut’in Anzi fa giudicare con fondamento, che quivi dovessero in abbondanza fabbricarsi tali stoviglie; che vi esistessero molte officine; che gli artefici fossero del luogo, od in parte anche forestieri quivi stabiliti, e che dalle manifatture di Anzi, non che dalle altre di Armento, […] si traesse numeroso vasellame, e si smaltisse nella Lucania e nelle regioni finitime. Prodigioso, come di sopra diceva, è il numero dei vasi di ogni grandezza e forma, che ha fornito questo fertilissimo suolo. Il Museo Reale Borbonico, il Museo Santangelo, e diverse collezioni di Napoli e de’ regni esteri, abbondano di stoviglie quivi rinvenute. Se ne conservano ancora non poche dagli amatori di cose antiche in Potenza e nel resto della Basilicata, e presso che l’intiero Museo Fittipaldi di Anzi è formato da vasi ottenuti dagli scavi patri. Ricca è questa collezione e degna di essere visitata da’ cultori delle belle arti e della classica antichità. Contiene doviziosa suppellettile di vasi italo-greci, nolani, siculi, egizi, ec. tra’ quali alcuni di sommo pregio, non che molti bronzi, cristalli, terre cotte, armi, ornamenti muliebri, utensili ed altri oggetti di oro, di argento, e di rame. Il sig. Arcangelo Fittipaldi, che n’è il proprietario, dietro le mie replicate istanze, si è determinato di farne formare un’esatta descrizione e pubblicarla colle stampe unita ai disegni de’ più scelti pezzi; ed è da sperarsi, che un tale divisamento sia presto mandato a termine. Né è da tacersi che ad Anzi appartengono i più valenti ed istruiti scavatori e restauratori di vasi ch’esistano in Provincia
(A. LOMBARDI, Discorsi accademici ed altri opuscoli, Cosenza 1840, pp. 281-285, con tagli).
Il testo del Lombardi è di rilevante importanza non solo per il quadro schematico informativo degli scavi - effettuati secondo un ordine topografico che andava dalla costa verso l'interno, seguendo le vie d'accesso tradizionali. Soprattutto, in un contesto provinciale segnato dall'assenza di controlli, il resoconto del Lombardi poneva l’accento su Giuseppe De Stefano di Anzi, che, autorizzato ufficialmente ad effettuare scavi, aveva eseguito fruttuose ricerche a Pomarico, dove i sepolcri, ben noti ai clandestini, erano pieni di ricchi corredi. Del resto, il De Stefano, come riportato dal Lombardi, si era ampiamente esercitato nella professione di «scavatore» nei sepolcreti anzesi, divenendo uno di quei «valenti ed istruiti scavatori» citati nel resoconto dell’Intendente.
In secondo luogo, emerge la figura di un notabile anzese, Arcangelo Fittipaldi, di ricca famiglia gentilizia, che durante il Decennio aveva perfezionato a Napoli, ormai trentenne, gli studi archeologici, avvalendosi certamente del De Stefano per i numerosi scavi condotti, i cui materiali aveva raccolto nel suo palazzo. La collezione, il cui inventario, allo stato, non risulta essere stato pubblicato come auspicato dal Lombardi , andò dispersa certamente subito dopo il suo arresto, nel 1850, per «eccitamento ai sudditi ed abitanti del Regno ad armarsi contro l’Autorità Reale ed armamento effettuito (sic) ad oggetto di cambiare e distruggere l’attuale legittimo Governo». In effetti il Fittipaldi, peraltro imparentato, tramite matrimonio, ad altra ricca famiglia anzese, i Pomarici, fu tradotto a Potenza come componente il Circolo Costituzionale formato da lui ad Anzi nel 1848 e vi morì il 21 dicembre 1851 mentre era ancora in attesa di giudizio.
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