
Gli anni della formazione artistica
Già in tenera età viene educata all'arte dal padre Giuseppe, medico con la passione dell'arte e della fotografia, descritto da Lucio Luccioni un "delicato e preciso acquarellista"[1]. Nonostante ciò, quando nel 1943 Maria Luisa esprime la volontà di iscriversi al Liceo Artistico di Roma, non ha dai familiari l'entusiasmo che si attendeva, auspicando per lei un percorso di studi più "concreto" e adatto ad una donna, per di più apparente alla borghesia. Ma lei procede nel suo intento e, dopo il liceo, si dedica agli studi accademici, entrando nella temperie artistica romana, in un periodo di fermenti legati all'astrattismo.[2].
Entra a Roma nei cenacoli di giovani intellettuali ed artisti, tra cui casa Costabile dove, con la scultrice Delia Costabile, frequenta Giandomenico Giagni, Michele Parrella, Mino Minola, Edoardo Trillo. Frequenti sono anche i suoi contatti con gli intellettuali e gli artisti di Potenza, città dove espone con Maria Padula, nell'ottobre del 1953, in una Collettiva di 85 opere organizzata da un comitato diretto da Pietro Valenza, segretario del Partito Comunista Italiano inviato a Potenza dalla direzione del partito. Nella mostra, che per la prima volta metteva a confronto esperienze artistiche lucane con quelle di altre regioni e correnti artistiche, Maria Luisa espone due monotipi, accanto ai dipinti di Carlo Levi, Renato Guttuso, Giuseppe Antonello Leone, e ai lucani Italo Squitieri, Michele Giocoli, Mauro Masi, Remigio Claps, Francesco Ranaldi, Rocco Falciano. Con il matrimonio e la nascita dei due figli la sua attività di pittrice viene temporaneamente sospesa; riprenderà negli anni settanta, dopo aver partecipato ad una personale nel 1965 alla Galleria Schneider, in un periodo fecondo per le istanze femministe che si intrecceranno con la sua poetica.
I simboli della sua poetica
Fin dall'inizio la sua arte è caratterizzata da una grammatica espressiva ironica e dissacrante e da un immaginario fantastico, così descritto da Giorgio Di Genova ed Elio Mercuri:
« Negli abissi del suo io, certo, convivono strani ibridi antropomozoomorfi (Il sipario del piacere) o antropofitomorfi (Apollo e Dafne), nei quali non è difficile cogliere simbologie sia del maschile che del femminile, com'è anche nei "grilli" ideati dal grande Hieronymus Bosch, artista con il quale, assieme a De Chirico, Ernst, e forse Clerici mi sembra l’Es della Ricciuti si senta maggiormente in sintonia. Tutta la sua opera dice sempre "altro" (e di più) di ciò che mostra. Per questo affascina ed allarma allo stesso tempo, come sempre accade quando ci si trova di fronte alle confessioni di qualcuno che mette il proprio cuore, tutto il proprio cuore, a nudo.[3] »
« La ricerca di Maria Luisa Ricciuti è una intensa e tesa, nonostante l’intenzione dissacrante, canzonatoria e ironica, approssimazione alla dimensione dimenticata dell’esistenza; un voler rendere espliciti i meccanismi della psiche, la struttura segreta della nostra immagine, che appartiene ormai, come ogni opera, non più alla sfera dell'object réel ma all'altra, sfuggente e indefinibile dell'«object de connaissance». È il suo affondo, che apre quella sotterranea realtà, dove come in un gioco di specchi, l'archetipo, l'immagine e il simbolo si compenetrano in una percezione lucida e lacerante.[4] »
Palmarosa Fuccella definisce l'arte di Maria Luisa Ricciuti "totale":
«pittrice, scultrice, scenografa (ha collaborato con Gae Aulenti in alcuni importanti allestimenti, in teatro lavora con Carmelo Bene, Béjart e Robert Wilson, nel 1994 le viene assegnata la targa d'oro per la scultura dalla rivista "Arte" di Mondadori) esce dal suo animato atelier per popolare spazi urbani, teatri, giardini (...) Con la mostra "Animalità" Maria Luisa Ricciuti entra nel Museo Civico di Zoologia di Roma, per raccontare il suo fantastico universo zoomorfo, fatto di dipinti, sculture, pietre»[5].

Note
2. P. Fuccella, Generazioni di artiste. Tracce per una mappa dell'arte delle donne in Basilicata", Lagonegro (Pz) 2010, passim.
3. G. Di Genova, Le scene del profondo di Maria Luisa Ricciuti, in Aa.Vv., Maria Luisa Ricciuti, Roma 1990, pp. 5-9.
4. E. Mercuri, Nota, in Maria Luisa Ricciuti, cit., p. 20.
5. P. Fuccella, Generazioni di artiste..., cit., pp. 27-28.
6. Maria Luisa Ricciuti, Animalità, catalogo della mostra tenuta al Museo Civico di Zoologia di Roma, 2002.
Bibliografia
G. Di Genova, M. Lunetta, E. Mercuri et al., Maria Luisa Riccuti, Roma 1990.
L. Luccioni, I Ricciuti a Potenza, in La Borghesia tra Ottocento e Novecento in Basilicata. Storie di famiglia, Rionero in Vulture 2006.
P. Fuccella, Generazioni di artiste. Tracce per una mappa dell’arte delle donne in Basilicata, in Le donne nella storia della Basilicata, a cura di M. Strazza, Lagonegro (PZ) 2010, pp. 15-51.
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