giovedì 20 luglio 2017

Storici Lucani. 10. A margine della "Istoria di Potenza" pubblicata da R. M. Abbondanza (Marina Corsini)

La monografia di Rocchina Maria Abbondanza Blasi, Storia di una città: Potenza. Da un manoscritto della seconda metà del sec. XVII, pubblicata da Edisud Salerno, 2000, si caratterizza come un’analisi critica del manoscritto di Don Giuseppe Rendina, Istoria della città di Potenza di D. Giuseppe Arcidiacono Rendina de’ Baroni di Campomaggiore, accresciuta da tempo in tempo, trascritta ed accresciuta da D Gerardo Picernese, del 1758. Il manoscritto, di 793 fogli, è conservato nella biblioteca provinciale di Potenza, non come originale, ma come copia “accresciuta” dal canonico Picernese nel Settecento in pergamena di dimensione 21x16.
L’autrice, discorrendo e analizzando in maniera critica le varie parti del manoscritto, riportato dattilografato alla fine del libro, struttura lo scritto in cinque capitoli. Nel complesso dell’analisi la Abbondanza ne deriva la definizione del profilo storico della città dalle sue origini, la storia religiosa di Potenza e dell’agiografia lucana, le notizie intorno ad avvenimenti cittadini, rivolte, pestilenze e famiglie che “hanno fatto la storia di Potenza” che è la parte più interessante a livello storico, insieme alla prima sulle origini della città. 
Dalle notizie sparse nel manoscritto, databile entro la seconda metà degli anni sessanta del Seicento e il 1673 (tempo in cui era già vescovo di Potenza), se ne ricava un sommario profilo del Rendina, nato nel 1608 e morto poco dopo questo manoscritto, opera di vecchiaia come egli stesso ci riporta. E’ un manoscritto nato dall’"Amore della Padria che spinge a tentar cose impossibili per essere grati a rendere il latte che in essa succhiarno"; tuttavia questo “patriottismo” è equilibrato dall’obiettività che il canonico cerca ad ogni costo, attraverso una narrazione che è regolata dal ruolo quasi egemone del documento.
Definendo le origini della città antichissima della Lucania viene svolto un excursus sull’origine del toponimo Lucania per poi passare ad analizzare le notizie sul sito e positura della città, la quale all’origine sorgeva nella valle, lungo le rive del Basento mentre al tempo di Rendina è situata sul colle sovrastante il fiume, a metà strada tra Salerno e Taranto. Definita come la città più antica della Lucania, il Rendina si appoggia a riferimenti tratti da Cicerone e Plinio, per quella, che anche in epoca romana, sembrava essere una città ricca e splendente che rivive in tutta una serie di epigrafi scolpite nei marmi dispersi sul territorio lucano. Queste vengono riportate dal Rendina a dimostrare “l’antichità, la cospicuità e lo splendore della città”. In un’analisi generale dell’autrice attraverso un incrocio anche con altre fonti, dalle sue origini, la città, vede il massimo splendore nel periodo normanno-svevo, diventando la città fortificata e turrita ma avviandosi, dopo la morte di Federico II (1250), ad una lenta e plurisecolare decadenza che si protrarrà fino al tempo in cui Rendina scrive la sua Istoria.

“/Abbiamo sin qui discorso dell’Antichità di Potenza circa lo Stato Temporale, è ben di dovere che ora si parli del Spirituale […]”

Così si apre la terza parte del manoscritto, che nell’analisi dell’autrice, ripercorre la storia dell’agiografia lucana secondo tutta una serie di tesi e contro tesi volte a sostenere o meno le datazioni e i racconti agiografici riportati dal Rendina nel manoscritto. In particolare si discorre sulle passiones dei dodici Sati Fratelli martiri (tra i quali era compreso Oronzo, antico patrono della città) e delle storie di altri santi del posto. Ampio spazio è dato al racconto della vita, dei miracoli, della morte e della canonizzazione di San Gerardo Della Porta, vescovo di Potenza e successivamente patrono della stessa città. Dopo aver definito le personalità del mondo spirituale potentino, l’analisi si rivolge alle strutture ecclesiastiche che popolarono nel corso del tempo il territorio della città. In realtà l’analisi dell’autrice sulla “storia sacra” scritta dal Rendina giunge ad un’ipotesi, non del tutto azzardata, che vede di come il canonico ed arcidiacono avesse attinto esclusivamente dalle fonti del suo archivio poiché in alcune parti l’Istoria non è nient’altro che l’inventario commentato di quello che ai suoi tempi era l’archivio della cattedrale. Constatato ciò, questo non toglie l’importanza della “fatica letteraria” intrapresa dal Rendina per un profilo generale a trecentosessanta gradi della città di Potenza.
L’ultima parte del manoscritto, che l’autrice affronta nel quinto e ultimo capitolo del suo libro, è dedicata alla famiglia Loffredo e ad altre famiglie “ragguardevoli” della città. Il Rendina, se pur in maniera non convincente, vuole dimostrare le origini longobarde dei Loffredo, conti di Potenza; tuttavia la storiografia contemporanea è ancora divisa tra varie ipotesi sulle origini germaniche o normanne. Dopo un discorso generale sulla famiglia Loffredo, il canonico si sofferma sui vari membri della famiglia riuscendo a risalire fino all’undicesimo secolo perché prima si questo tempo non vi sono Istorie che ne parlino. Il manoscritto si conclude con un trionfo di titoli (conti, marchesi e duchi) attribuiti alla famiglia Loffredo e poi con notizie intorno a varie famiglie e personaggi “ragguardevoli” della città.
Osservazioni critiche dell’autrice portano a vedere di come due delle quattro parti del manoscritto siano dedicate alla storia ecclesiastica e scarne parti a notizie politiche e storiche, per poi dedicare addirittura interi capitoli alla famiglia Loffredo; una tale strutturazione trova spiegazione nel fatto che Rendina nacque e visse nel Seicento e nel fatto che fu un ecclesiastico, per giunta, intimo della casa Loffredo. 
Il libro di Rocchina Maria Abbondanza Blasi si configura, così, come un primo tentativo, certamente divulgativo, di portare l'attenzione sul manoscritto del Rendina, considerato fondatore della storiografia potentina. L’approccio dell’autrice è abbastanza critico e al tempo stesso appassionato nella volontà a portare alla luce un così importante documento della storia potentina, forse troppe volte lasciato nel dimenticatoio.

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