Teodoro Rendina è considerabile come il “fondatore” di Campomaggiore, costruita su progetto di Giovanni Patturelli, allievo del Vanvitelli, che pose come base della sua progettazione le idee delle teorie utopistiche di Robert Owen e Charles Fourier.
Il centro abitato fu, infatti, progettato per sole 1600 persone, con case disposte a scacchiera, i cui abitanti avessero un appezzamento di terra da coltivare con un numero di ulivi predefinito ed una vigna. Al centro del paese si trovava la Chiesa, intitolata alla Beata Vergine Maria del Monte Carmelo e il Palazzo baronale, disposti in armonica posizione rispetto alla Piazza dei Voti, per indicare, non più in posizione opposta, quanto piuttosto concorde, la volontà di collaborazione tra i poteri locali. Le prime 16 famiglie si insediarono il 20 novembre 1741.
Il modello di comunità agricola di Campomaggiore, dunque, rientrava in pieno nell’alveo della cultura dei riformatori napoletani, in primis di Antonio Genovesi e delle sue Lezioni di Commercio, secondo il quale era necessario perseguire un indirizzo politico di decentramento della popolazione e del commercio dalla Città verso la periferia, con un’accorta ripartizione della proprietà.
In non casuale sintonia, dunque, con l’esperimento borbonico di San Leucio, “simbolo e modello” di una società pacifica, nella quale non sarebbe esistita la proprietà privata e il commercio sarebbe stato fondato sull’agricoltura e sui mestieri.
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