Nel corso dell’Età moderna, anche in Basilicata notevole, se non quasi “monocratica”, fu la rilevanza assunta dalla Chiesa, che assunse una posizione tutt’altro che statica nei confronti della società, adoperandosi per stabilire rapporti solidi con il mondo laico, conformando la propria azione in vita di un reale, incisivo, inserimento all’interno dei quadri dirigenti locali.
In effetti, la Chiesa seppe garantirsi una rilevante base patrimoniale, tanto più in coincidenza con il difficile periodo attraversato negli anni della Controriforma, soprattutto perché essa gestiva gran parte dell’agro lucano. Se, in effetti, l’«azienda clerale» ricettizia fu il perno socio-economico della provincia, anche in Basilicata gli ordini religiosi ebbero notevole rilevanza nella “riconquista” delle anime e, in realtà, la tenuta del clero sul territorio lucano fu garantita proprio da monasteri e grancie, tra le quali spiccano quelle dei Benedettini, che vi lasciarono una traccia profonda. Notevoli sono, infatti, le testimonianze e i dati.
La presenza di monasteri, italogreci e benedettini, è attestata in Basilicata a
partire dall'VIII secolo con la diffusione di monasteri, chiese, grancie, prova
evidente del contributo della regione ad una forte identità culturale del
Mezzogiorno. L'insediamento e la diffusione capillare di quelle comunità
monastiche, inoltre, testimonia non solo la forte religiosità delle popolazioni
lucane, ma anche la capacità di quegli ordini di organizzare il territorio,
determinarne l'assetto degli abitati e dare un apporto significativo allo
sviluppo dell'agricoltura, del commercio e dell'industria del territorio. Gran
parte degli edifici e delle fabbriche monastiche sono ormai ridotti a ruderi, e
di alcuni non vi è più traccia, distrutti da eventi naturali o dall'azione
dell'uomo, anche se le fabbriche più importanti, come la Santissima Trinità
di Venosa e Monticchio, hanno conservato parti significative degli edifici.
Ormai distrutta è, inoltre, l'abbazia di Santa Maria dello Juso a Irsina, fondata nel secolo XI e annessa all'abbazia di Chaise de Dieu di Clermont Ferrand, in Francia, al quale facevano capo la cattedra vescovile della città e l'officiatura della cattedrale, di cui si conserva un campanile gotico, opera degli stessi monaci. Appartenne, invece, all'ordine benedettino pulsanense il monastero di San Pietro in Cellaria, a Calvello, sorto nella seconda metà del XII secolo, soppresso nel XVI secolo e poi concesso alla basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, così come sono rimasti ormai solo i ruderi, in agro di Chiaromonte, del monastero e del campanile appartenuti all'abbazia di Santa Maria del Sagittario dove si insediarono, intorno al 1202, i monaci provenienti dall'abbazia di Casamari.
FONTI: L. BUBBICO, Irsina, il priorato di S Maria dello Juso, in L. BUBBICO-F. CAPUTOA.
MAURANO (a cura di), Monasteri italogreci e benedettini in Basilicata, Matera, La
Tipografica, 1997, vol. II, pp. 95-98; N. MASINI, Il cenobio pulsanese di S. Pietro a Calvello, in «Basilicata Regione
Notizie», n. 5 (1993), pp. 41-50; D. LEUCCI, Santa Maria del Sagittario: inventario dei beni nell'atto di
soppressione in data 26 febbraio 1807, in «Rivista Cistercense», X (1993), n. 3, pp. 252-
283.
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