Tra il 13 e il 15 giugno, riuscendo ad intuire la manovra ideata dai patrioti, ovvero attaccare simultaneamente l’esercito sanfedista frontalmente e alle spalle, accerchiandolo e non lasciandogli lo spazio e il tempo per riorganizzarsi, fece sì che i componenti del governo si rifugiassero nei castelli, da dove assistettero impotenti alle violenze e agli episodi di furia cieca che si posero in essere fino al 19 giugno.
La lungimiranza del Ruffo risiedeva anche nell’equiparare la rovina dei traditori alla possibilità di ricostruire il consenso intorno alla figura del sovrano e della corte intera, poiché alcun vantaggio sarebbe derivato da una drastica azione punitiva senza appelli. Nonostante egli fosse a conoscenza del pensiero della Corona riguardo al trattamento da riservare ai ribelli, il Ruffo si prodigava in quella stessa missiva ad insistere sul valore strategico di «Editti, di Pattuglie, di Prediche», ai fini del ripristino dell’ordine nella Capitale, ovviamente, in contrapposizione con quanto auspicato dalla regina Maria Carolina. I giacobini dovettero sottoscrivere il documento di Capitolazione, a seguito delle trattative con Antonio Micheroux, incaricato dal Ruffo di occuparsi della parte preliminare dell’accordo.
Il documento, firmato il 21 giugno dal comandante di Castel Nuovo, di fatto sanciva il rispetto per la proprietà degli individui coinvolti, che avrebbero potuto scegliere «di imbarcarsi sopra bastimenti parlamentari, […] preparati per condurli a Tolone, senza essere inquietati essi, né le loro famiglie». Ciò avvenne cinque giorni più tardi anche per la Capitolazione di Castel dell’Ovo. La notizia della «Capitolazione» dei castelli non venne accolta di buon grado dall’alleato inglese, che, nella persona di Lord Nelson, fece pervenire al cardinale una lettera nella quale si mostrava rammaricato per gli ultimi avvenimenti, dato che la Corona non poteva scendere a patti con chi l’aveva tanto avversata. La reazione del Ruffo a tale disapprovazione fu quella di recarsi subito a bordo della “Fulminante” per cercare di indagare le reali motivazioni che si celavano dietro il comportamento dell’ammiraglio Nelson. Sebbene egli avesse espresso con chiarezza le ragioni che lo avevano indotto ad assumere una tale iniziativa, ovvero il vociferare dell’arrivo della flotta gallo-ispanica, era evidente che la frattura tra i due si prospettava insanabile. Ma, all’insaputa del cardinale, che pure era stato accolto con riguardo dall’ammiraglio inglese, gli accordi vennero deliberatamente violati, tanto che si attese che i nemici fossero usciti dai castelli e imbarcati per farne bloccare il passaggio da una squadriglia inglese.
Così, non potendo agire in concomitanza con la pesante sconfitta subita, sostanziatasi con la nomina a Luogotenente e capitano generale, egli nel corso delle settimane, privato di qualsiasi possibilità di iniziativa politica, fece in modo di scomparire dietro le quinte di una restaurazione al culmine di una inaudita ferocia.
Si concludeva, così, l’impresa del cardinale Ruffo.
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