domenica 10 marzo 2013

Nicola Fiorentino. 1. Un illuminista lucano


Nicola Fiorentino nacque a Pomarico il 3 aprile 1755, primo di cinque figli, da Giuseppe gentiluomo di Montalbano Jonico, e da Giulia Sisto, appartenente ad una famiglia gentilizia di Pomarico.
Il padre facoltoso medico di Montalbano, si occupava anche di compravendita di terreni immobili e commerciava in prodotti agricoli. Molto presto la famiglia si trasferisce a Montalbano, dove Nicola compì i primi studi. All’età di dieci anni si trasferì a Tricarico, sede di un seminario diocesano istituito agli inizi del Seicento, e nel 1767 fu a Napoli nelle scuole del Salvatore diventando allievo di Marcello Cecere, insegnante di matematica. Aveva solo quattordici anni, quando vinse la cattedra di matematica presso il liceo dell’Aquila, ma venne costretto a rinunciare all’insegnamento, poiché non aveva compiuto i quindici anni richiesti dalla legge. Conseguì di lì a poco la laurea in giurisprudenza a Bologna. Nel 1770, in seguito alle riforme sull’istruzione attuate da Ferdinando IV, su proposta di Antonio Genovesi, sorsero nelle principali città del Regno (l’Aquila, Bari,Catanzaro, Matera ecc.), altri collegi Reali che non avevano, però, la facoltà di rilasciare un titolo di studio come la laurea, poiché rimaneva una prerogativa della Regia Scuola di Napoli. Con la nascita della Regia Scuola di Bari, Nicola Fiorentino ottenne nel 1775, la cattedra di matematica e filosofia razionale. Fu, in seguito, Soprintendente della stessa scuola, quindi governatore di Calabria e Campania, mentre negli stessi anni avviava una fiorente attività commerciale di prodotti coloniali come spezie, cacao ecc. Nel 1793 pubblicò a Napoli i Principi di Giurisprudenza criminale, una Dissertazione sopra alcuni punti di giurisdizione criminale e, nel 1785 le Istituzioni di pratica criminale. Scrisse un saggio Sulla Quantità Infinitesima e sulle forze vive e morte, mentre nel 1794 pubblicò a Napoli le Riflessioni sul Regno di Napoli. La sua formazione, come testimoniano i suoi scritti, si ispirava ai principi riformatori dell’Illuminismo: conosceva Rousseau e il Contratto Sociale, ma era ancora legato alla monarchia quando, nel 1794, a Mario Pagano veniva affidata d’ufficio la difesa di alcuni congiurati accusati di aver cospirato contro il re. Tra i cospiratori vi erano anche Vincenzo Vitaliani, Galiani e De Deo , che vennero giustiziati il 18 ottobre 1794. Il momento cruciale per la scelta definitiva di Nicola Fiorentino fu la fuga del re Ferdinando, davanti alle truppe francesi , che apparve come un vero e proprio tradimento; così come un tradimento venne considerato dal Foscolo, un anno dopo, il trattato di Campoformio. La sua adesione ai principi rivoluzionari venne sottolineata da un Inno a S. Gennaro e da un’incitazione Ai giovani studiosi, con i quali Fiorentino intendeva incoraggiare alla mobilitazione. Fiorentino, a questo punto, anche se in ritardo rispetto agli eventi, diventò consapevolmente un giacobino e andò ad allargare le fila dei repubblicani; tra questi c’erano anche molti dei suoi amici e colleghi e suo cugino Francesco Lomonaco. La sua decisione non fu mossa dalla volontà di salire sul carro del vincitore, bensì dalla consapevole scelta di conseguire la pubblica felicità. Poiché il sovrano aveva abbandonato il suo popolo, l’unica via d’uscita era rappresentata dal movimento rivoluzionario, incarnato dai giacobini. Mantenne, comunque, un atteggiamento sempre critico e moderato nei confronti di quanto stava accadendo con uno sguardo particolare al popolo, il quale non aveva tratto nessun vantaggio, dalla Repubblica; e un atteggiamento altrettanto comprensivo nei confronti di quanti, pur avendo all’inizio dimostrato un atteggiamento favorevole alla monarchia, avevano poi con coerenza dimostrato la propria adesione incondizionata alla Rivoluzione. Il Colletta, suo compagno, di cella riporta infatti il discorso veemente con cui Fiorentino rispose all’indomani della sua cattura, allorché interrogato dal Giudice Guidobaldi, rispondendo «mi governai con le leggi e con la necessità, legge suprema» e, incalzato dal giudice, proseguì, accusando il re di aver dichiarato guerra ai francesi, di aver abbandonato il proprio popolo alla mercé dei conquistatori e che la tirannide, ormai instaurata, perseguiva la vendetta e non la giustizia. Nicola Fiorentino venne condannato il 5 dicembre 1799 dalla Giunta di Stato, e i suoi beni confiscati. L’accusa fu di essersi opposto alle forze del re, aver pubblicato un commento sulla Costituzione Repubblicana, un Inno a S. Gennaro per la conservazione della libertà e due proclami, uno indirizzato alla gioventù studiosa, l’altro contenente un Ragionamento su la tranquillità della Repubblica. La condanna venne eseguita il 12 dicembre 1799.

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