Nell’articolo 2 della legge dell’8 agosto 1806, al titolo iv, si disponeva che «le Università trattano de’ loro comunali interessi per mezzo de’ decurioni eletti in pubblico Parlamento da’ capi di famiglia, compresi nel ruolo delle contribuzioni» e il successivo articolo dava ai decurioni il mandato di nominare gli amministratori comunali. Solo successivamente tale rilevante ruolo ebbe delle limitazioni, con la legge del 18 ottobre del 1806, che stabiliva come i decurioni non potessero più essere eletti, ma «tratti a sorte» tra i proprietari con rendita di 24 ducati nei centri con popolazione di 3.000 abitanti, di 48 nei centri con popolazione compresa tra 3.000 e 6.000 abitanti e 96 nei comuni con più di seimila abitanti. Si potrebbe pensare che la rinuncia della formazione degli amministratori comunali da parte delle famiglie stesse fosse avvertita come potenzialmente destabilizzante per l’autorità centrale, tanto da apportare cambiamenti al disegno di legge iniziale.
Proprio tali successive modifiche, specificate nella legge del 20 maggio 1808, diedero un maggiore peso ai proprietari: l’estrazione a sorte, inizialmente pensata come un deterrente per evitare il posizionamento degli stessi elementi rappresentativi delle maggiori famiglie locali – come avvenuto nell’amministrazione delle Università -, non garantiva, comunque, un’amministrazione competente, sicché un’ulteriore modifica di legge stabiliva che, per i centri maggiori, i decurioni sarebbero stati scelti direttamente dal Ministro dell’Interno in base a terne presentate dall’Intendente, mentre per i centri minori la scelta sarebbe spettata all’Intendente stesso, che poteva, altresì, destituire un decurione o proporne al sovrano la destituzione in caso di assenza senza «legittimo impedimento» alla prima riunione, reiterando l’assenza per tre volte. In tal caso, il decurione in questione era cancellato dalla «lista degli eligibili» ed interdetto da ogni impiego statale.
Condizioni rigide erano stabilite per concorrere alla carica di decurione: un’età minima di ventuno anni; l’obbligo di residenza nel territorio comunale; non essere debitori del Comune «per amministrazione tenuta, o cauzione data ad un agente comunale»; non avere in corso cause contro il Comune stesso. Soprattutto, gli ascendenti e discendenti in linea diretta non potevano essere componenti di uno stesso decurionato. Deroga alla nomina di decurione era l’età massima di settant’anni.
Il Sindaco convocava il consiglio comunale per le riunioni ordinarie e straordinarie – in caso di richiesta dell’Intendente o dello stesso Ministro dell’Interno. Durante il consiglio, a porte chiuse, i voti erano a scrutinio palese, concludendosi con delibere firmate da tutti i decurioni e riportate in apposito registro dal Segretario del Decurionato. Il Sindaco era incaricato, dopo l'approvazione dell’Intendente, di dare formale esecuzione alla delibera.
Tra gli altri compiti, i Decurionati, nella prima settimana di settembre, dovevano presentare all’Intendente una terna dalla «lista degli eligibili» – in nessun caso tra i Decurioni - per le cariche di Sindaco e di Eletto, mentre il secondo eletto era scelto direttamente dall’Intendente. Le nomine erano, poi, pubblicate tra il 1 e 15 novembre, per permettere agli Intendenti di prendere visione di eventuali reclami che potevano essere inoltrati al Ministro dell’Interno non oltre il 31 dicembre. In caso di approvazione di un reclamo, comunque, il decurione già entrato in carica veniva rimosso.
Importante funzione del Decurionato era quella di fissare le spese dell’amministrazione comunale, le cui rendite ed introiti ordinari provenivano dagli affitti di immobili, dai posti concessi ai rivenditori in fiere e mercati, dagli introiti dei terreni patrimoniali, dal taglio dei boschi comunali, dai canoni su beni patrimoniali o demaniali e, infine, dalle multe e dalle «sportule di mastrodattia», ossia i proventi della cancelleria. In caso di mancanza di fondi, l’Intendente aveva la facoltà di ridurre le spese al minimo, distinguendo le spese nelle due classi di «reali» e di «personali», ossia la rendita fondiaria e i generi di consumo.
Di tali rendite si occupava un Cassiere, i cui compiti e modalità di elezione erano state stabilite con decreto del 25 febbraio 1809, che aveva disposto che i Cassieri erano scelti da una terna formata dal Decurionato sulla lista degli eleggibili fra i maggiori possidenti. L’Intendente, anche in questo caso, sceglieva dopo aver approvato lo «stato discusso» del Comune, mentre, in altri casi, il sovrano scrutinava le terne inviate dall’Intendente, accompagnate da relazioni personali.
Come detto, il Sindaco e i due Eletti coadiutori venivano nominati rispettivamente dal Ministro o dall’Intendente su terne presentate al Decurionato.
Al Sindaco furono lasciati i compiti amministrativi, come già nelle Università di antico regime, mentre ad uno degli Eletti fu affidata la polizia municipale e rurale, all'altro l’incarico di supplire il Sindaco in caso di congedo o dimissioni anticipate. Proprio in base a questi compiti, con decreto del 27 settembre 1815, l’incarico di Eletto venne parificato a quello di Sindaco, pur con significative differenze di indennità: infatti, il Sindaco percepiva uno stipendio annuale di diecimila lire, mentre gli Eletti percepivano un’indennità di sessanta ducati mensili. Il Sindaco, come amministratore principale, secondo il decreto del 2 maggio 1808, era tenuto a presentare un rendiconto della propria gestione, letto, discusso e approvato in un’assemblea di rendicontazione annuale, nella quale la presidenza era tenuta dal Decurione più anziano.
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