
Questa scelta avrebbe rappresentato un fattore determinante nella percezione stessa del contesto urbano, che non presentava specifici connotati non solo a livello d’esercizio di funzioni, ma anche di quadri istituzionali-amministrativi e socio-economici. L’andamento degli avvenimenti politici che nel corso del 1799 coinvolsero le popolazioni basilicatesi, infatti, scompose e rideterminò ruoli e funzioni dei rispettivi ceti dirigenti, oltre che degli stessi assetti istituzionali-amministrativi, nonché di luoghi e modi d’esercizio del potere locale, con notevoli riflessi socio-economico-religiosi e di autopercezione da parte degli stessi gruppi dirigenti.
Nella città di Potenza, la costituzione della cui Municipalità repubblicana era stata espressione di un’ampia e partecipe base sociale, oltre che frutto di concause per vari aspetti legate anche a locali gruppi massonico-giacobini e di cultura politica più riformista; i noti avvenimenti del 24 febbraio (nel corso dei quali furono tragicamente uccisi il vescovo Andrea Serrao e il direttore del locale Seminario, Antonio Serra), non riuscirono comunque nell’obiettivo di cancellare l’esperienza amministrativa repubblicana, pur condizionandone la successiva attività. L’epilogo del 1799, infatti, accanto alla caduta ed al rinvio di tante speranze di cambiamento, segnava rideterminazioni e ricollocazioni di ruoli e di poteri, che andarono a sconvolgere precedenti assetti e gerarchie e, con essi, tipologie e funzioni, da parte di ceti e gruppi dirigenti nei diversi contesti.
Cosicché in conseguenza del nuovo ruolo, alla classica stratificazione funzionale e sociale della Potenza settecentesca andarono via via subentrando, di necessità, nuove forme di classificazione e di presentazione di sé che il nuovo capoluogo offriva al potere centrale. All’antica ripartizione degli ambiti spaziali per parrocchie, infatti - rappresentata, ancora nel 1805, da quel tardo epigono della storiografia locale che fu Emmanuele Viggiani-, subentrò un modello gerarchico basato sugli spazi pubblici, che faceva capo a via Pretoria e alle tre piazze poste lungo il suo percorso, che raggruppavano le sedi d’espletamento delle nuove funzioni della città capoluogo, peraltro ancora contenuta nel perimetro delle antiche mura, con un tessuto estremamente compatto, come rilevava lo stesso Viggiani e come, quasi a fine XIX secolo, avrebbe evidenziato Raffaele Riviello nella sua Cronaca.
Così, se nella piazza del Sedile si andavano ora concentrando le funzioni fondamentali della vita collettiva (i pubblici parlamenti, il mercato settimanale, le feste popolari e religiose), erano però assenti le infrastrutture a rete, creando nel centro urbano una forte pressione, certamente non tollerabile per una città che aspirava finalmente a diventare “polo di attrazione cittadina”, in diretta concorrenza con la configurazione degli spazi sviluppatisi a Matera nel corso del suo lungo esercizio delle sue funzioni di capoluogo.
Diametralmente, Matera subì non senza contraccolpi il passaggio dei poteri amministrativi sin dal 1806, in quanto, come noto, le forme del potere giudiziario che si traducevano nel tribunale straordinario rimasero presenti nell’antico capoluogo fino al 1811: se il tribunale straordinario rappresentava l’ultimo baluardo materiale della condizione di privilegio sulla provincia pregressa, contemporaneamente, seguirono alla perdita della funzione di capoluogo insistite proteste manifestatesi in una sorta di autorappresentazione tra “descrizione” e ripercorrenza della “gloriosa vita passata”, in seconda battuta almeno per la conservazione dei Tribunali.
Colpiscono, nelle forme di tali richieste, i dettagliati e puntigliosi richiami a solidi elementi di fedeltà al sovrano, oltre che a ragioni connesse con una serie di considerazioni sul contesto strutturale e di servizi che meglio connotava al ruolo la città di Matera rispetto a quella di Potenza, con una sorta di “colpo di coda” ancora una volta rinviante alla tradizionale forma di autorappresentazione legata alle storie locali. Si poneva, infatti, in risalto la netta differenza dei due contesti urbani anche in termini di strutture, posizione geografica, condizioni di vivibilità.
Di fatto, proprio l’età napoleonica avrebbe rappresentato una fase fortemente caratterizzante nella storia politico-istituzionale delle due città, invertendone la stessa veste delle relative forme di gerarchizzazione rispetto, peraltro, ad un debolissimo sistema urbano provinciale.

I fratelli Addone furono – come è stato detto - tra i protagonisti del movimento repubblicano e protagonisti politici di prima fila durante il Decennio. In ogni caso, il documento relativo ai fatti dell’omicidio Serrao, che al tempo stesso li aveva scagionati durante il semestre repubblicano, permise loro di rappresentarsi come “moderati” durante la prima restaurazione borbonica e come “patrioti del ‘99” durante il Decennio, permettendo loro un dignitoso adattamento nel susseguirsi diversi contesti politici, senza comprometterne l’immagine pubblica.
3. Se nelle due città troviamo forme più articolate di autorappresentazione, nei centri minori risultano essersi seguite strategie più elementari, ma comunque di autolegittimazione da parte, in genere, di singole, poche famiglie, quelle che da lungo corso erano state protagoniste nell’esercizio del potere locale.
Caso emblematico fu, tra gli altri, quello di Tolve, già connotata da un’alta conflittualità socio-politica nel corso del semestre repubblicano del 1799.

Si nota, dunque, la forte volontà esercitata essenzialmente da parte della media borghesia dei liberi professionisti di “inserirsi” nella gestione del potere, facendo prevalentemente leva su competenze pratiche, come nel caso di Tolve, ma comunque attestate da autoreferenzialità, come emerso dal caso Addone.
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