venerdì 15 marzo 2013

La Basilicata napoleonica. 1. I nuovi amministratori

Fin dalla prima metà del Settecento Potenza era ritenuta “una delle cittadine più progredite dell’allora provincia per il numero degli uomini di lettere e per le condizioni generali della sua popolazione”, seppur mal collegata con il resto della provincia e del Regno. Dunque, la scelta di Potenza capoluogo non fece che evidenziare politicamente la positiva impressione dei francesi per la cittadina arroccata lungo la collina, centro periferico ma già connotato da significative presenze d’ordine culturale.
Questa scelta avrebbe rappresentato un fattore determinante nella percezione stessa del contesto urbano, che non presentava specifici connotati non solo a livello d’esercizio di funzioni, ma anche di quadri istituzionali-amministrativi e socio-economici. L’andamento degli avvenimenti politici che nel corso del 1799 coinvolsero le popolazioni basilicatesi, infatti, scompose e rideterminò ruoli e funzioni dei rispettivi ceti dirigenti, oltre che degli stessi assetti istituzionali-amministrativi, nonché di luoghi e modi d’esercizio del potere locale, con notevoli riflessi socio-economico-religiosi e di autopercezione da parte degli stessi gruppi dirigenti.
Nella città di Potenza, la costituzione della cui Municipalità repubblicana era stata espressione di un’ampia e partecipe base sociale, oltre che frutto di concause per vari aspetti legate anche a locali gruppi massonico-giacobini e di cultura politica più riformista; i noti avvenimenti del 24 febbraio (nel corso dei quali furono tragicamente uccisi il vescovo Andrea Serrao e il direttore del locale Seminario, Antonio Serra), non riuscirono comunque nell’obiettivo di cancellare l’esperienza amministrativa repubblicana, pur condizionandone la successiva attività. L’epilogo del 1799, infatti, accanto alla caduta ed al rinvio di tante speranze di cambiamento, segnava rideterminazioni e ricollocazioni di ruoli e di poteri, che andarono a sconvolgere precedenti assetti e gerarchie e, con essi, tipologie e funzioni, da parte di ceti e gruppi dirigenti nei diversi contesti.
Cosicché in conseguenza del nuovo ruolo, alla classica stratificazione funzionale e sociale della Potenza settecentesca andarono via via subentrando, di necessità, nuove forme di classificazione e di presentazione di sé che il nuovo capoluogo offriva al potere centrale. All’antica ripartizione degli ambiti spaziali per parrocchie, infatti - rappresentata, ancora nel 1805, da quel tardo epigono della storiografia locale che fu Emmanuele Viggiani-, subentrò un modello gerarchico basato sugli spazi pubblici, che faceva capo a via Pretoria e alle tre piazze poste lungo il suo percorso, che raggruppavano le sedi d’espletamento delle nuove funzioni della città capoluogo, peraltro ancora contenuta nel perimetro delle antiche mura, con un tessuto estremamente compatto, come rilevava lo stesso Viggiani e come, quasi a fine XIX secolo, avrebbe evidenziato Raffaele Riviello nella sua Cronaca.
 Così, se nella piazza del Sedile si andavano ora concentrando le funzioni fondamentali della vita collettiva (i pubblici parlamenti, il mercato settimanale, le feste popolari e religiose), erano però assenti le infrastrutture a rete, creando nel centro urbano una forte pressione, certamente non tollerabile per una città che aspirava finalmente a diventare “polo di attrazione cittadina”, in diretta concorrenza con la configurazione degli spazi sviluppatisi a Matera nel corso del suo lungo esercizio delle sue funzioni di capoluogo.  
Diametralmente, Matera subì non senza contraccolpi il passaggio dei poteri amministrativi sin dal 1806, in quanto, come noto, le forme del potere giudiziario che si traducevano nel tribunale straordinario rimasero presenti nell’antico capoluogo fino al 1811: se il tribunale straordinario rappresentava  l’ultimo baluardo materiale della condizione di privilegio sulla provincia pregressa, contemporaneamente, seguirono alla perdita della funzione di capoluogo insistite proteste manifestatesi in una sorta di autorappresentazione tra “descrizione” e ripercorrenza della “gloriosa vita passata”, in seconda battuta almeno per la conservazione dei Tribunali. 
Colpiscono, nelle forme di tali richieste,  i dettagliati e puntigliosi richiami a solidi elementi di  fedeltà al sovrano, oltre che a ragioni connesse con una serie di considerazioni sul contesto strutturale e di servizi che meglio connotava al ruolo  la città di Matera rispetto a quella di Potenza, con una sorta di “colpo di coda” ancora una volta rinviante alla tradizionale forma di autorappresentazione legata alle storie locali. Si poneva, infatti, in risalto la netta differenza dei due contesti urbani anche in termini di strutture, posizione geografica, condizioni di vivibilità.
Di fatto, proprio l’età napoleonica avrebbe rappresentato una fase fortemente caratterizzante nella storia politico-istituzionale delle due città, invertendone la stessa veste delle relative forme di gerarchizzazione rispetto, peraltro, ad un debolissimo sistema urbano provinciale.

 Emblematico è il caso, per Potenza, di Basileo e Nicola Addone. I due fratelli, dottori in utroque jure, avevano partecipato alla costituzione della Municipalità potentina del 3 febbraio ma erano stati successivamente coinvolti, non senza ambiguità, nei sanguinosi eventi che avevano portato all’assassino del vescovo Serrao e di Antonio Serra, cui aveva fatto seguito lo scioglimento della Municipalità. Al riguardo, era stato redatto un pubblico documento in loro favore, perché sospettati di essere mandanti degli assassini del vescovo: il documento aveva inteso testimoniare la loro eroica difesa contro gli uomini della guardia civica sospettati di averli assaliti nel loro palazzo.  La processione per “la Reliquia del Sangue di Cristo” del 27 febbraio avrebbe poi avvolto di nuovi dubbi la condotta degli Addone, rivelandosi come uno stratagemma ordinato dagli stessi assassini del vescovo con l’obiettivo di eliminare gli Addone e di saccheggiare le loro case: secondo l’atto pubblico, era stata cura degli stessi Addone, scoperto il complotto, eliminare definitivamente queste “avanguardie sanfediste”. Durante la restaurata Municipalità, Basileo e Nicola Addone avevano, inoltre, attivato una corrispondenza con i più «distinti soggetti attaccati alla Francia», legati com’erano da vincoli di parentela con le maggiori famiglie ed avendo, inoltre, nel clero, alcuni familiari con posizioni di tutto riguardo.
I fratelli Addone furono – come è stato detto -  tra i protagonisti del movimento repubblicano e protagonisti politici di prima fila durante il Decennio. In ogni caso,  il documento relativo ai fatti dell’omicidio Serrao, che al tempo stesso li aveva scagionati durante il semestre repubblicano, permise loro di rappresentarsi come “moderati” durante la prima restaurazione borbonica e come “patrioti del ‘99” durante il Decennio, permettendo loro un dignitoso adattamento nel susseguirsi diversi contesti politici, senza comprometterne l’immagine pubblica.

3. Se nelle due città troviamo forme più articolate di autorappresentazione, nei centri minori risultano essersi seguite strategie più elementari, ma comunque di autolegittimazione da parte, in genere, di singole, poche famiglie, quelle che da lungo corso erano state protagoniste nell’esercizio del potere locale.  
Caso emblematico fu, tra gli altri, quello di Tolve, già connotata da un’alta conflittualità socio-politica nel corso del semestre repubblicano del 1799.
 Qui colpisce una vera e propria emulazione tra ceti diversi, che ricoprirono un decisivo ruolo nella scena politica, ripresentandosi con le connotazioni politico-sociali e culturali dell’esperienza repubblicana. Tra i tanti esempi, emerge quello del notaio Vincenzo Cavallo, nominato il 27 febbraio 1799 segretario della Municipalità da Oronzo Albanese ed incluso nel “Notamento dei rei di Stato” dopo la caduta della Repubblica: nonostante la condanna per i fatti del 1799, Cavallo continuò a svolgere la propria attività di notaio in Tolve; messo da parte dai filo-borbonici subito dopo la caduta della Repubblica, ritornò alla ribalta della politica locale tolvese con il nuovo Governo francese. Infatti, allora ricoprì per alcuni anni, a partire dal 1° gennaio 1807, la carica di sindaco, così come quella di decurione in quelli successivi e, addirittura, durante la seconda Restaurazione. Altro nome significativo è quello di Giuseppe Albanese, il quale, nel 1799, aderì al movimento repubblicano, seguendo lo zio Oronzo Albanese a Vaglio e a Potenza. Arrestato dopo la caduta della Repubblica napoletana, fu condannato “a straregno per anni 20”. Riparato in Francia, partecipò, poi, alla campagna d’Italia del 1800. Rientrato in Tolve, fu capitano della Guardia Civica del suo paese e decurione negli anni 1810, 1812 e 1813. E ancora, il Dottore fisico Francesco Paolo Mona, che nel 1799 partecipò al movimento repubblicano nel Potentino; arrestato dopo la caduta della Repubblica napoletana, fu “sfrattato da’ Reali Domini” ed “esportato a Marsiglia”. Rientrato in Italia meridionale dopo la pace di Firenze, ricoprì nel 1810, 1812 e 1813 la carica di decurione.

Si nota, dunque, la forte volontà esercitata essenzialmente da parte della media borghesia dei liberi professionisti di “inserirsi” nella gestione del potere, facendo prevalentemente leva su competenze pratiche, come nel caso di Tolve, ma comunque attestate da autoreferenzialità, come emerso dal caso Addone.

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