Nel convegno del giorno 24 marzo 2017 presso l’Università degli studi della Basilicata, polo del Francioso, a 60 anni dalla storica firma dei trattati di Roma, il 25 marzo 1957, di cui siamo occupati la settimana scorso, notevolissimo è stato l’intervento del prof. Salvatore Lardino, che verte intorno alla genesi formativa della Banca d’Italia, partendo dalla grande sensibilità storica, che a suo avviso l’ha sempre contraddistinta. Quest’ultima di fatto, è sempre stata attenta alla dimensione storica e conserva attraverso molte collane (tra cui le ultime pubblicate dalla Laterza nel 1992 e successivamente dalla Marsilio), la migliore storiografia nazionale e internazionale. Tutto ciò va sottolineato soprattutto perché anche in Basilicata, nonostante tale istituzione fosse assorta in problemi tecnico-finanziari, i suoi uffici hanno sempre mantenuto un alto spessore e interesse storico rispetto a molte altre istituzioni. Interessante è la citazione di un grande storico-economico italiano, Carlo Maria Cipolla, il quale, introducendo uno dei volumi della Banca d’Italia, delinea in linea generale identità e funzioni di una banca centrale, connotandola non nella sua fissità ma nel suo divenire. La banca d’Italia infatti non va intesa come un istituto obsoleto, ancorato ai suoi principi. Cipolla asserisce che le origini della banca“ si perdono nella notte dei tempi” ma non così quelle delle banche centrali. La loro storia si evolve negli ultimi tre secoli dell’età moderno-contemporanea: banca centrale di Svezia 1668, banca centrale d’Inghilterra 1694, banca centrale di Francia 1800, banca d’Olanda 1814, banca austriaca 1817, banca del Belgio 1850, banca di Germania 1875, banca del Giappone 1882, banca d’Italia 1893, Federal Reserve System degli Stati uniti 1913.
Nonostante queste precise datazioni, Cipolla precisa che le banche centrali non nascono come istituzioni compiute e definite come oggi le conosciamo, bensì è un organismo che si sviluppò nel corso del tempo acquisendo funzioni, competenze e fisionomie nuove sempre più complesse, instaurando relazioni col resto del sistema bancario finanziario, con il potere politico e con il sistema economico.
Lo sviluppo progressivo appena descritto è stato analizzato nel particolare da Lardino relativamente alla nostra banca d’Italia, partendo dalla sua relazione con la situazione preunitaria che caratterizzò il nostro territorio. Solitamente i libri di testo riportano erroneamente l’esistenza di sei banche di emissione all’epoca; in realtà erano in numero minore. Al nord: la banca degli stati sardi che si evolse nella banca nazionale del Regno di Sardegna e poi nel Banco Nazionale del Regno d’Italia nel 1849 fondendo la banca di Genova col Banco di Torino, la Toscana presentava la banca nazionale toscana nata nel ’57 ed erede della banca di sconto sviluppatasi negli anni 1817- 1826, lo Stato Pontificio aveva la propria banca di emissione nata nel 1833 (assorbendo anche la banca delle Quattro Legazioni) divenuta dal ’70 Banca Romana, nel meridione esisteva il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.
Nel 1863 si aggiunse la Banca Toscana di credito per l’industria e il commercio, nel momento in cui Firenze, con la Convenzione di Volterra, diviene capitale d’Italia e molti degli interessi si spostano nei suoi territori.
In genale in quegli anni era comune in tutto il territorio nazionale, lo scarso uso della banconota, difatti fino al 1866 la moneta metallica costituiva il 90% del denaro in circolazione.
L’emissione di banconote in lire nasceva il 24 Agosto 1862 mediante la Legge Pepoli, con non poche problematiche come il superamento del mono-metallismo / bi-metallismo o anche nella scelta del regime da utilizzare, se decimale o altro.
Già nel momento dell’Unità Cavour, aveva in mente l’idea di una Banca unica, prefigurava la nascita di una banca Nazionale del Regno d’Italia che fosse la sola emissaria di banconote e che determinasse quindi l’esautorazione del potere di emissione da parte degli altri istituti bancari. Tale progetto fu ostacolato dagli istituti bancari locali e dalla scuola liberale facente capo a Francesco Ferrara che non accettava un regime di monopolio da parte di un'unica banca per quanto concerne l’emissione. Nel 1863-’65 ci furono altri tentativi di Minghetti e Quintino Sella di fondere la Banca Nazionale con quella Toscana, ma tale unità non si raggiunse. Marco Ovato, un eccellente storico- economico che varie volte ha delineato il sistemi di emissione e i sistemi bancari in genere, afferma che quella fu la prima occasione che andò perduta di unificare i sistemi di emissione.
Nel 1866 il ministro Antonio Scialoia propose all’approvazione del Parlamento l’introduzione del “corso forzoso”( non convertibilità della moneta in oro) per venir meno al presupposto vigente di equiparare il valore della moneta ad un quantitativo di oro. Questo provvedimento, di conseguenza, portò ad un aumento della circolazione cartacea rispetto alla circolazione metallica.
Nel 1874 ci fu il primo tentativo fallimentare di giungere ad una razionalizzazione del sistema di emissione con la storica bozza “Minghetti- Finali” che propose un consorzio tra le banche di emissione.
In realtà la possibilità plurima di avere più banche di emissione non era un vero aspetto negativo. Infatti, un grosso economista, afferma che la scarsa diffusione di depositi bancari determinava il fatto che la fonte principale di risorse, per effettuare il credito bancario, fosse costituita proprio dall’emissione di banconote: sostanzialmente, accettando le banconote, il pubblico faceva credito agli istituti di emissione e quindi questi ultimi potevano dar credito ai propri clienti.
Soltanto negli anni ’70 iniziavano ad affermarsi banche di non emissione come il credito mobiliare e la banca generale di livello nazionale ma con contatti internazionali. In questo quadro gli istituti di emissione svolsero un ruolo importante nello sconto di cambiali, nel finanziamento della produzione e dell’investimento, la lotta all’usura, la monetizzazione dell’economia italiana.
La storia ci dimostra che ci fu un tentativo di abolizione del corso forzoso negli anni del decollo economico-industriale dell’Italia, nel 1881-’83, che però durò solo fino al 1887 a causa della bolla speculativa per la proliferazione edilizia di Roma Capitale e per una crisi dei campi. In seguito la crisi del 1892 porta alla presentazione in Parlamento della relazione Alvisi-Biagini (di cui ne furono promotore il deputato siciliano Napoleone Colaianni e il collega Gamazzi) che era stata segretamente commissionata dal governo per capire quali fossero le condizioni della Banca Romana che appariva molto in dissesto. Tale relazione illuminò su questo evento tristemente noto come “scandalo della Banca Romana” che vide clandestinamente la stampa di 9 milioni di lire e l’eccedenza abusiva di 25 milioni di lire nella circolazione cartacea. Da tale episodio emerse la responsabilità di tre governi (Crispi, Rudinì, Giolitti) accomunati tutti da un tipico finanziamento illecito dei partiti politici, avevano sfruttato questo istituto per finanziare le proprie campagne elettorali. L’unificazione bancaria che tante volte si tentò di ottenere, si raggiunse quindi ,solo forzatamente in un momento di crisi come era stato quello appena descritto; perciò il 10 Agosto 1893 con la legge bancaria n°449 si istituì la Banca d’Italia che assorbì la banca nazionale del Regno, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito e la Banca Romana che però fu messa in liquidazione. Il banco di Sicilia e il Banco di Napoli continuarono ad avere potere di emissione, videro invariate le loro prerogative.
Infine non va tralasciato, che il vero salto di qualità la Banca d’Italia non lo fece con i suoi primi direttori ( Grillo e Marchioni) ma con un grande economista, Bonaldo Stringher, che ne fu direttore per ben ventotto anni e poi governatore dal 1928 al 1930 quando tale figura fu istituita. Il prestigio della Banca d’Italia crebbe notevolmente con lui, venne istituito un sistema bancario misto, fu fondamentale il sostegno di tale organismo nel superamento della crisi nel 1907 e nel 1926, con due importanti decreti, ottenne l’esclusiva dell’emissione (anche le banche meridionali vennero quindi estromesse da tale possibilità). Inoltre, sempre nel ’26, il decreto n° 1830 affida alla Banca d’Italia la vigilanza sulle casse di risparmio che più compiutamente sarà recepita con la legge bancaria del 1936 la quale: la rese istituto di diritto pubblico (con un ridimensionamento netto del capitale privato) e detentrice dell’emissione in esclusiva.
In conclusione, citando un studio sulla Banca d’Italia (2010) di Giampiero Cama, risulta importante un passo ripreso dall’economista James Tobin "Nulla è più politico della moneta", che probabilmente può essere capace di renderci consapevoli di quanto la moneta e quindi la Banca d’Italia, sia fortemente calata nel politico. Difatti, spesso ha avuto un ruolo di supplenza politica, soprattutto nel passaggio tra le due guerre mondiali (basti pensare alle presidenze Enaudi e Ciampi, personalità provenienti dalla Banca d’Italia).
La banca d’Italia ancora oggi ha questo importante compito, accompagna lo sviluppo economico, la stabilità democratica, la modernizzazione, il progresso civile del nostro Paese, connotandosi come uno degli istituti che meglio difende tali prerogative. Compito di recente assorbito dalla Banca d’Italia è promuovere la scrittura di regole in un capitalismo maturo, che devono oltrepassare il “medioevalismo” e ammodernarsi per meglio rispondere allo sviluppo economico.