giovedì 21 settembre 2017

Paesi lucani. 41. Cenni su San Fele nella prima età moderna

Confinante con le due province di Principato Citra e Ultra, al tempo della nota Relazione Gaudioso (1736), San Fele, «posta alla fine della provincia di Basilicata» contava circa 3200 abitanti «inclinati alla coltura de campi et all’industria del bestiame» . 
Posta tra i domini del Principe di Melfi «colla rendita di docati 2000 incirca destinandovi in essa il Governatore per l’amministrazione della Giustizia» per la giurisdizione feudale e amministrativa, si trovava soggetta per la parte spirituale alla Diocesi di Muro, contando anche un Convento dedicato a Sant’Antonio da Padova.
Le prime notizie risalgono all’età normanna quando San Fele risultava compresa nella contea di Roberto di Quaglietta, come si legge in G. DEL RE, Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti ordinati per serie e pubblicati da Giuseppe del Re. Storia della Monarchia, vol. I, Napoli 1845, p. 584. Passò successivamente al maresciallo Drogone di Beaumont (nel 1273) – cui il re angioino Carlo aveva affidato il compito di perseguitare il brigante Marcello di San Fele, accusato di saccheggiare il territorio con Giovanni Coppola ed era un personaggio fortemente legato alla corte angioina – che a sua volta la concesse, dopo la morte di suo figlio ed erede Adamo (o Adametto) a Guglielmo di Melun che la tenne fino al 1278, anno della sua morte. La terra passò poi a Stefano di Guascogna l’anno successivo, poi concessa dal re al signore di Minervino e castellano di Canosa Gerardo d’Ivort. Il feudo appartenne agli Ivort sicuramente fino al 1301, considerata la pretesa di diritti su un mulino della chiesa di S. Maria di Perno da parte del figlio di Gerardo, Giannetto.
«Come Castello-Fortezza che Ottone I di Sassonia, Imperatore del Sacro Romano Impero fece costruire subito dopo la battaglia di Bovino su questa altura di confine del Principato Longobardo di Salerno, particolarmente idonea alla strategia dell’offesa e della difesa contro gli assalti dei Bizantini. Al castello fu dato, sin dall’inizio, il nome originale di San Felice, perché costruttori o primi custodi di esso dovettero essere cittadini o militi di Venosa città che si gloria della protezione di San Felice Vescovo Africano di Tibari, ivi martirizzato ai tempi dell’Imperatore Diocleziano» (V. M. PASCALE, Nella terra di San Fele. San Fele nella storia delle dominazioni sassone, normanna e sveva (969-1269), Salerno: Tip. G. Jovane e C., 1962, p. 7).
L’importanza strategica di San Fele, ubicata in un’area montuosa, posta ad un’altitudine di oltre 870 mt. s.l.m., che le permetteva di rifuggire i pericoli cui si trovavano esposti gli abitanti delle aree pianeggianti (come il diffondersi della malaria per la presenza della palude o della peste, eventi bellici o di natura alluvionale) e rispondente alla tendenza a seguire il fenomeno dell’incastellamento  radicatosi del meridione italiano in età altomedievale, emerse nel periodo svevo, in quanto nella successiva dominazione angioina  si presentava di natura demaniale il suo castello-fortezza risalente al X secolo, insieme agli altri tre del Giustizierato di Basilicata (Acerenza, Melfi e Muro) .
Evoluzione demografica di San Fele in Età moderna
Evoluzione demografica di San Fele in età moderna

La terra di San Fele fu governata nel corso del tempo da diversi signori, finché, con l’avvento degli Aragonesi, si assistette ad una prima fase di mera distribuzione di feudi a borghesi arricchiti, o squattrinati uomini d’arme, cadetti della piccola nobiltà aragonese-catalana prima, castigliana dopo. In seguito subentrano i rappresentanti di cospicue famiglie mercantili genovesi che ottengono feudi in cambio di crediti vantati verso la corona con la diretta e conseguente imposizione di «criteri di sfruttamento delle rendite, spesso con spirito di rapina».
San Fele fu tra i possessi del principe d’Orange, Filiberto Chalon, a lui donata insieme ad altre Terre da parte di Carlo V per i servigi militari prestati, mentre due anni dopo Antonio de Leyva ricevette il feudo di Atella ed Abriola. Successore di Antonio fu Luigi de Leyva, principe di Ascoli e signore di Atella e San Fele, che commissionò dei lavori nel convento adiacente alla chiesa di Santa Maria di Pierno, come ricordava Fortunato .
«Che la peste avesse insevito nel vicino comune di San Fele nell’anno precedente (1529), risulta dalla Bolla, già citata, di Mons. De Grifoni che, sotto la data 25 Luglio dello stesso anno, inviava da Melfi al Sindaco di quel paese per la erezione di una Cappella a S. Sebastiano «ut, eo Martyre Protectore, clades paestis sedaretur» diffondendosi l’anno successivoi nel resto della Diocesi, come riportato nella stessa p. poco più sopra: «In una postilla del mio Ms. di carattere di Mons. Ferrone, scritta sul margine che corrisponde al nome di Mons. De Grifoni, 31° Vescovo del sillabo murano, si legge: Anno 1530, mense Februarii, Muro et in tota Dioecesi, paestis grassabat» (L. MARTUSCELLI, Numistrone e Muro Lucano, Napoli, Tip. Pesole, 1896, p. 454).
I due feudi venduti poi, con patto di ricompra, a Fabio Gesualdo e successivamente al genovese Francesco Grimaldi (1603), furono ancora oggetto di compravendita, affidati in seguito alla gestione dei Doria, signori di Melfi, per il tramite di Giacomo, figlio di Francesco Grimaldi . I Doria  mantennero il controllo del feudo di Melfi, tra cui la Terra di San Fele, fino all’eversione della feudalità (1806).

«San Fele aveva il “camerario”, il “bajolo” e il “giudice”. Neʼ tempi angioini, il Camerarius era l’impiegato camerale nell’amministrazione di qualche importante baronia; il Baiullus era un magistrato locale, che aveva il carico finanziario e amministrativo, ed anche giudiziario in civile; il Judex era l’assessore del Bajuolo» (G. FORTUNATO, Badie feudi e baroni nella Valle di Vitalba, a cura di T. Pedio, Manduria, Lacaita, 1968, vol. II, p. 16).




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