domenica 2 agosto 2015

Il Viceregno spagnolo. 4. La capitale

Durante il XVI secolo in Europa si concretizzarono i primi stati nazionali che definirono ulteriormente il passaggio alla modernità. In Spagna con il matrimonio tra Isabella, erede al trono di Castiglia, e Ferdinando d’Aragona si fusero le due principali realtà politiche della penisola portando all’unione delle due corone e ridando vigore alla secolare lotta contro i mori, che si concluse con la loro cacciata dal territorio iberico nel 1492 in seguito alla caduta del regno musulmano di Granada.
Grazie ad una altrettanto accorta politica dinastica, il Cattolico riuscì altresì ad unire la figlia, Giovanna, all’erede al trono asburgico, Filippo, sicché il loro erede, Carlo di Gand, nel secondo decennio del Cinquecento si trovò a governare un insieme di possedimenti che andavano dalla Borgogna ai Paesi Bassi, dalla Spagna ai regni italiani di Napoli, Sicilia e Sardegna. Questi ultimi erano il punto nevralgico di una vasta politica di predominio sul Mediterraneo da parte di diverse potenze europee: già nei primi decenni del Cinquecento, infatti, il predominio sull’Italia era considerato un perno della politica di potenza di Spagna e Francia, interessate al controllo di Milano e del Regno di Napoli. Milano era uno dei centri più importanti del nord dal punto di vista economico, ma garantiva anche collegamenti con gli Stati marinari della penisola, assicurando la produzione della parte meridionale. Proprio a sud della penisola, il Regno di Napoli e le sue province godevano di una posizione strategica, poiché avevano facile sbocco sul Mediterraneo e garantivano le risorse finanziarie del Mezzogiorno d’Italia. Tutto ciò aveva contribuito ad incentivare le ostilità tra Francia e Spagna. Del resto, era nota, per il Regno di Napoli, non solo la posizione strategica, ma anche l’abbondanza di materie prime. Non a caso, con questo topos Scipione Mazzella iniziava la sua descrizione del Regno di Napoli, evidenziandone i pregi che facevano gola alle potenze d’oltralpe: "Eccede questo felice e gran reame tutti gli altri regni, non meno per ragion di sito, giacendo nel mezzo del quinto clima che si tiene la più temperata parte del mondo, che per cagione d’abondanza veramente d’ogni bene, poiché non è cosa, da desiderarsi che non vi si trovi di tanta perfettione ed in copia grandissima".
Il decennio 1494-1503 aveva visto lo scontro tra la corona aragonese e quella francese, con alterne fortune e un deciso calo dell’economia regnicola . Francia e Spagna, dopo una serie di scontri, erano giunte ad una spartizione, sottoscritta nel Trattato di Granada del 1500 e, successivamente, sanzionata dalla bolla pontificia del 25 giugno 1501, nella quale era stato deliberato che la Francia ottenesse la metà settentrionale del Regno, inclusa la capitale, mentre la Spagna avrebbe occupato le Puglie, la Basilicata e la Calabria . Tale spartizione fu, tuttavia, piuttosto effimera a causa della forma vaga che il Trattato presentava sui punti che dovevano definire le pertinenze tra le due potenze; d’altra parte erano anche molteplici i motivi della conquista del Regno da parte di Ferdinando il Cattolico, che utilizzò tutte le risorse e gli strumenti della politica del tempo per unire il Mezzogiorno d’Italia alla costruzione del nuovo impero spagnolo, per ottenere il controllo di Napoli, di province chiave come la Basilicata e la Capitanata, vere porte di controllo per il dazio sulla transumanza .
Le sorti del conflitto vennero decise nella battaglia di Cerignola del 28 aprile 1503, quando le due potenze antagoniste si affrontarono militarmente, con i francesi guidati dal duca di Nemours e gli spagnoli capeggiati da Consalvo de Cordova. Questa battaglia fu importante non solo per l’esito a cui portò, ma anche per l’arte militare, il valore del comando e la strategia evidenziatasi: lo stesso condottiero spagnolo portò la Spagna alla vittoria grazie alla sua astuzia, contando sulla poca forza militare che aveva a disposizione e sfruttando la morfologia del territorio . La conquista spagnola del Regno di Napoli giunse a compimento con la battaglia del Garigliano del 28 dicembre 1503, inizio della dominazione spagnola in Italia, che sarebbe durata fino al 1707 .
Lo stesso Gran Capitano prese in mano le redini del comando nel Regno per un breve periodo, durante il quale dimostrò ancora la sua capacità organizzativa. Cercando di adottare un atteggiamento equilibrato favorì la Piazza del Popolo, autorizzò la circolazione della moneta coniata dai francesi, approvò varie immunità per gli Eletti della Città e riuscì a portare a compimento il Parlamento del Regno già nell’aprile del 1504, imponendo contribuzioni straordinarie alle Terre del Regno, favorendo baroni ed ecclesiastici . Dopo circa tre anni di governo, Consalvo di Cordova non aveva solo agito in positivo per il bene del popolo e per la Corona, ma aveva nutrito anche i suoi interessi e di tutti coloro che avevano partecipato con lui alla guerra contro i francesi. Questi ed altri fatti bastarono per insospettire Ferdinando il Cattolico, che lo esonerò dall’incarico . Lo stesso sovrano, nel novembre del 1506, si era recato personalmente a Napoli per realizzare un modello di sviluppo politico amministrativo contrassegnato da una concezione patrimonialistica dello Stato, costruendo un’«unità nella diversità», nel rispetto delle autonomie e delle leggi tradizionali . Del resto, non mancavano elementi di modernità promossi già in passato: era già presente, infatti, un moderno apparato burocratico, era stata riformata la camera della Vicaria, con il relativo ordinamento tributario e, inoltre, gli Aragonesi avevano organizzato la grande dogana pugliese delle pecore, aprendo un nuovo corso per l’economia del Mezzogiorno d’Italia .
A capo di questa politica moderata, il Re Cattolico aveva nominato il vicerè don Ramon de Cardona, sotto il quale il Regno conobbe un periodo di positività che portò la stessa Napoli a livelli di sviluppo pari a quelli di altre metropoli europee .
Quando, nel 1519, Carlo acquisì il titolo imperiale, deteneva i poteri su mezza Europa e, per assicurarsi il controllo del suo vasto impero, si rivelò un sovrano “itinerante”, poiché non preferì una corte fissa, adottando, nel contempo, diverse strategie politiche per i vari territori dell’impero. Nel decennio 1520-1530 venne elaborata una linea politica per la parte spagnola dell’impero, valorizzando le istituzioni già presenti nei nuovi territori occupati, senza tralasciare i due principali poli d’interesse, ovvero il Mediterraneo e l’Atlantico. Il Mediterraneo, secolare crocevia di scambi, durante il governo di Carlo V divenne un grande «spazio politico», fatto non solo di ricchezze, ma anche di relazioni e conflitti fra tre nuovi modelli di potere . La centralità di questo mare nella politica dell’impero carolino rese vita difficile anche ai Turchi, dopo la presa di Tripoli nel 1510 e quella di Tunisi nel 1535. Inoltre, per salvaguardare il territorio imperiale, il governo carolino attuò la politica dei “bastioni”, in base alla quale le province imperiali più esterne avevano il compito di difendere l’entroterra e la Spagna, ricevendone, in cambio, sostegno militare e finanziario e, in tal modo, configurandosi come spazio dinastico e diplomatico-militare .
In questo vasto scenario, il Regno di Napoli occupò una posizione centrale di supporto alla strategia dell’imperatore , in realtà non solo di tipo politico, ma anche economico, in quanto la Corte richiedeva denaro per le varie evenienze che andavano dai viaggi dell’imperatore alle elezioni e soprattutto alle battaglie. Tutto ciò creava motivo di scontro tra la Corte e il governo di Napoli, poiché i regnicoli tentavano di sottrarsi alle continue richieste di denaro tanto che, durante il governo del vicerè Cardona, si verificò una netta opposizione, alimentata da uno spirito autonomistico . Proprio per controllare meglio la situazione nel Regno, alla morte del Cardona il sovrano incaricò Charles de Lannoy , un suo fidato, al quale impartì anche delle istruzioni di governo tese ad informarlo sulla situazione del Regno. Il viceregno più lungo, però, fu quello di don Pedro de Toledo, che governò per ventuno anni, dal1532 al 1553, godendo della piena fiducia del sovrano attenendosi alle sue volontà, tra cui quella di togliere l’autonomia al Regno e affermare l’assolutismo, mettendo a tacere sia il baronaggio sia la municipalità napoletana.  Dopo la pace di Augusta del 1555, Carlo V abdicò a favore del figlio Filippo II, al quale andò la parte spagnola e borgognona, mentre al fratello spettarono i territori austriaci e il titolo imperiale.
Accanto a Carlo V, infatti, un altro importante protagonista fu Filippo II che contribuì all’ampliamento dell’operato del padre e all’ulteriore evoluzione dello stato moderno spagnolo. Inoltre, la sua scelta politica influenzò positivamente anche gli stati più piccoli che si stavano lentamente affacciando nel quadro europeo.
Filippo II ereditava un impero tra Mediterraneo e Atlantico senza non poche difficoltà.  Cosicché, egli provvide subito anche a riorganizzare il dominio sui territori italiani che erano oggetto di continua contesa con i francesi: infatti il 3 aprile 1559 venne firmato il Trattato di pace di Cateau-Cambrésis con Enrico II, in base al quale la Francia restituì gran parte dei territori italiani, riconfermando il controllo spagnolo su gran parte della penisola.
 La Spagna non era più solo un impero, non solo «una potenza – ha scritto Musi - che assume particolare rilievo storico e politico, per l’ampiezza dei suoi domini, per le forze di cui dispone ma anche per la preponderanza che esercita in un determinato ambito geografico e storico, per la connessione tra le sue dimensioni politiche e quelle economiche culturali» , ma diventava un vero e proprio “sistema”, nel quale l’immagine del sovrano “itinerante” veniva sostituita da una corte con fissa dimora, in una regione guida come la Castiglia, da cui partivano forze centrifughe che controllavano l’intera rete dei sottosistemi. Il trasferimento del sovrano in Castiglia nel 1559, infatti, portò ad una novità istituzionale: la cittadinanza sovrana diventava castigliana, mentre il sovrano, non potendo più esercitare direttamente il suo potere nei vari territori, iniziava a delegare tale gestione ai governatori ed ai vicerè. Le restanti cariche imperiali venivano, comunque, occupate da personale appartenente all’aristocrazia castigliana.
Al vertice della politica, direttamente in contatto con la Corte era il vicerè che, durante l'età di Filippo II (1556-1598), divenne il governador de mayor porte, ossia il capo di governo . Tale carica durava tre anni e, in genere, ciascun vicerè veniva riconfermato almeno una volta, fatta eccezione per Pedro De Toledo, che venne riconfermato nell'incarico per sette volte.
A stretto contatto con il vicerè lavoravano gli uffici di palazzo, ovvero il complesso degli organi ausiliari che formavano la corte vicereale. Al vertice della struttura consiliare era il Consiglio Collaterale, istituito da Ferdinando il Cattolico in partenza da Napoli nel 1507 e che comprendeva l'ufficio del sigillo di cancelleria, tassatori, esattori, cancellieri archivisti, scrivani di registro e di forma, i portieri. In realtà questa struttura non aveva solo una funzione politica, ma anche normativa, partecipando all'elaborazione delle prammatiche, che comprendevano bandi, regolamenti, nomine, approvvigionamenti, assunzione di prestiti, politica fiscale .
I consigli giudiziari e finanziari erano:
- Sacro Regio Consiglio, formato da un presidente, ventiquattro consiglieri, trentadue uffici subalterni e nove tavolari eletti dai seggi nobili;
- Vicaria, con un reggente, due consiglieri caporuota, dodici giudici, un avvocato fiscale, diciassette razionali e cinquantasette uffici subalterni;
- Consiglio Collaterale, presieduto dal viceré, cinque reggenti, un segretario del Regno, quarantadue uffici subalterni a cui corrispondevano le Udienze di campagna, generale dell'esercito, delle galere della dogana e di Foggia.

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