In Basilicata, all'inizio del 1799, quando nella provincia giunse la notizia della fuga della famiglia reale in Sicilia il generale clima di tensioni sociali – in genere legate alla gravità della situazione economica – si tradusse nelle speranze ed aspirazioni delle avanguardie repubblicane che, ovunque, diedero maggiore impulso alle proprie iniziative senza attendere direttive dalla capitale del Regno .
Il 2 febbraio era nata, dopo sanguinosi scontri tra diverse fazioni politico-sociali, la Municipalità di Tito; il giorno successivo erano state costituite quelle di Pietragalla, Cancellara e Tolve ed erano stati eletti i rappresentanti della Municipalità di Potenza, presidente della quale, lo stesso vescovo Serrao propose il vicario diocesano don Domenico Maria Vignola. Il 5 febbraio, venne ufficialmente costituita la Municipalità di Avigliano, presieduta da don Carlo e don Giulio Corbo.
A Cancellara e Tolve la piantagione degli alberi della libertà fu accompagnata dall’elezione dei rispettivi presidenti: Saverio Gaetano Basile e Rocco Gennaro Balsamo, mentre, Daniele Carbonaro che già da sindaco di Vaglio era riuscito ad avere la meglio sulle più potenti famiglie gentilizie locali, si riconfermò, con l’acclamazione del popolo, presidente della nuova Municipalità e promotore degli ideali antimonarchici. La manifestazione popolare filorepubblicana di Castelmezzano incontrò l’ostacolo del sacerdote Nicola Auletta che rese possibile, poi, la costruzione del governo municipale solo a distanza di alcuni giorni, con l’elezione, di comune accordo, di uno dei suoi “parenti stretti”, Giovanni d’Amico.
Mentre nei comuni di Albano, Brindisi, Trivigno venivano eletti, rispettivamente Vito Molfese, Benedetto Montulli, Nicola Sassano, a Calvello fu necessario trovare un punto di equilibrio tra la posizione repubblicana e quella più radicale, pertanto l’elezione di Diego Falcone, fu affiancata a quella di Don Saverio di Ruvo come suo segretario.
Le Municipalità di Picerno e Muro furono particolarmente significative all’interno di un contesto territoriale, quello al confine con il Principato Citra, dove si andavano già connotando iniziative antirepubblicane e filomonarchiche: a Picerno, fu il giovane Saverio Carrelli a restituire alla storia uno dei più importanti esempi di autogoverno democratico e popolare; mentre a Muro la sensibilizzazione ai nuovi ideali da parte di uno dei precettori di Filangieri, il vescovo Luca Nicola De Luca, sfociò nella calda acclamazione del peculiare Comitato repubblicano presieduto dal dottore in utroque jure Giovanni Martuscelli e dal segretario Ferdinando Farenga impegnati nella causa repubblicana anche nei centri abitati vicini.
A Balvano, tutt’altro che come una svolta, invece, si presentò la “costruzione” della Municipalità poiché vedeva riconfermati al potere gli stessi esponenti del capitolo della locale chiesa ricettizia.
Il Vulture-Melfese si distinse come altra peculiare realtà politica, presto connotata per la convivenza di ispirazione giacobina e repubblicana e indirizzi radicali: dopo la repubblicanizzazione di Melfi, Venosa, Palazzo e Spinazzola, a Montepeloso, odierna Irsina, la peculiare figura del vescovo della locale diocesi, Michele Arcangelo Lupoli, venne ricordata per la formidabile lettera pastorale al clero e al popolo che illustrava come “la bontà delle nuove idee” fosse in completa armonia con gli ideali della Religione Cristiana. Il presidente della nuova Municipalità, Giacomo D’amati, accompagnò la piantagione dell’albero della libertà sul quale erano sistemati anche coccarda e berretto frigio alla francese.
Tutt’altra cosa fu invece la Municipalizzazione del capoluogo di provincia, Matera dove prevalevano indirizzi filomonarchici tali da reprimere le pur significative spinte repubblicane: solo con l’ufficiale «ordine di democratizzare la provincia» , si giunse alla conversione del contesto istituzionale-amministrativo presieduto da Fabio Mazzei.
Una forte corrente filomonarchica era presente anche a Tursi da dove, in seguito alla costruzione della Municipalità, fuggì il marchese Giulio Cesare Donnaperna, alla volta del feudo di Colobraro.
A Montalbano, la piantagione dell’albero della libertà, fu accompagnata da una festosa manifestazione di popolo guidata dal dott. in legge Luigi Lomonaco, devoto alla causa giacobina e attivo nella municipalizzazione delle vicine Università.
Assai peculiare e significativa fu la figura del barone di Brancalassi di Episcopia che presentandosi in piazza, recando sul cappello la coccarda del tricolore francese, dichiarò di rinunciare alla giurisdizione, al privilegio del suo nome, proclamandosi cittadino.
Nella città di Lagonegro fu lo stesso sindaco in carica, Nicola Francesco Rinaldi a promuovere la svolta repubblicana: il parlamento cittadino elesse all’unanimità il sacerdote Nicola Tortorella.
Rotonda, Miglionico, Moliterno e Rionero assunsero invece una municipalizzazione di «facciata», resa possibile, dunque, non dall’acclamazione del popolo o dal trionfo di un’opera di proselitismo dei nuovi valori, ma dall’attività dei commissari che, da Napoli, si dipartirono in tutto in regno per uniformare il territorio alla novità francese: a Rotonda, il commissario don Andrea Bianchemani, giunto a cavallo tra la folla, cominciò a nominare ufficiali, presidente e deputati del nuovo governo municipale, addirittura dall’alto della sella; a Miglionico, l’ albero della libertà fu piantato solo in seguito alla minaccia di fucilazione; a Moliterno la proclamazione del Governo Municipale fu pilotata dal capoeletto in carica, Michele Arcangelo Parisi, detto «Michelone», che riconfermò il suo potere e la devozione ai Borbone. A Rionero la Municipalizzazione fu una scelta forzata dall’assenza di alternative, circondato da paesi tutti democratizzati.